JURASSIC PARK DIVENTA UNA SERIE MARVEL

“Nessuno di noi va da nessuna parte, dottor Grant”, disse Gutierrez sorridendo. Poi si voltò e si avviò verso l’uscita dell’albergo.

Con queste parole si chiude il romanzo “Jurassic Park”, pubblicato da Michael Crichton nel 1990. Come altre opere di questo autore, “Jurassic Park” è un romanzo autoconclusivo di genere fantascientifico “duro” (“hard science-fiction”).

Nonostante la vicenda si concluda con un finale aperto (il dialogo finale tra Grant e Gutierrez lascia aperta la possibilità che alcuni dinosauri siano ancora vivi sul continente, dopo la completa distruzione dell’isola Nublar in cui avviene la vicenda principale), l’autore non era intenzionato a realizzare un seguito del libro, né a svilupparlo in forma di serie.
Sarà il film ispirato dal romanzo a far cambiare idea a Crichton.

L’idea portante del romanzo, la clonazione di dinosauri e la creazione di un parco “zoo” a tema, era tanto accattivante quanto poco estendibile. I dinosauri sono sicuramente un tema di grande fascino, ma dal punto di vista narrativo sono poco versatili: in quanto animali (per giunta, non particolarmente intelligenti rispetto agli esseri umani), non possono svolgere che una manciata di ruoli avvincenti, e questo rende la creazione di una serie dinosauro-centrica molto poco fertile.

Una volta che i dinosauri hanno ucciso i personaggi minori in modi più o meno caricaturali secondo la biologia del dinosauro in questione, e una volta che i protagonisti si sono salvati in vario modo da situazioni pericolose associate ai dinosauri, l’universo di “Jurassic Park” si è esaurito narrativamente.

Il film ispirato al romanzo di Crichton è, in gran parte, fedele al romanzo. In particolare, il film si sforza (e ci riesce con successo) di restare coerente con l’impianto di fantascienza “dura” che fonda il libro.

Crichton riduce al minimo gli elementi “fantastici”, e cerca di restare il più possibile dentro l’alveo della plausibilità logico-fisico-matematica, in accordo con la concezione “dura” della narrativa scientifica che ha guidato anche altre produzioni dello stesso scrittore.

Sostenere che “Jurassic Park” nasce esplicitamente come romanzo di fantascienza dura è legittimo se lo inquadriamo nei tempi della pubblicazione del libro, la fine degli anni ottanta, in cui la possibilità di clonare animali estinti estraendo materiale genetico conservato in ambre fossili era considerato perlomeno meritevole di dibattito accademico.

Oggi, questa possibilità è stata quasi completamente smentita: nonostante gli enormi progressi nella paleo-genomica abbiano permesso di sequenziare e studiare frammenti genetici vecchi di molte migliaia di anni, l’idea che si possa clonare un dinosauro mesozoico è ormai considerata impossibile.

Ma 30 anni fa scrivere un romanzo basato su questa suggestione era ancora classificabile, saldamente, nel ramo della fantascienza dura, quindi “realistica” e non fantasy. Difatti, se si esclude il piccolo patto che autore e lettore sottoscrivono nell’accettare la possibilità della clonazione dei dinosauri, il resto del libro è, al netto dei colpi di scena e delle situazioni romanzate, abbastanza realistico.

In particolare, sono scientificamente “solidi” i dinosauri presentati e rappresentati. Anche in questo caso, l’idea di dinosauro che viene trasmessa è figlia di una esplicita e consapevole concezione scientifica. Pur con lievi licenze artistiche,

Crichton non vuole creare mostri, draghi, chimere o ibridi, ma dinosauri il più possibile plausibili, ovvero, il più possibile aderenti alla interpretazione scientifica a sua disposizione. I dinosauri di “Jurassic Park” sono ispirati alle ipotesi e alle interpretazioni di paleontologi come Bakker, Horner, Ostrom, e ai lavori illustrativi di Paul, Henderson, Gurche.

Tutti questi nomi sono menzionati nei ringraziamenti alla fine del romanzo. Pertanto, “Jurassic Park” nasce come romanzo di fantascienza dura avente come oggetto i dinosauri così come concepiti dai più noti paleontologi americani della fine degli anni ottanta. La clonazione (e il patto tra autore e lettore) è solo il pretesto per poter avere dinosauri vivi e reali nell’agosto del 1989, momento di ambientazione della vicenda principale del romanzo.

Il film omonimo ricalca questa impostazione, spostando la vicenda a un paio di anni avanti, ma restando sempre coerente con l’intenzione scientifica e “realistica” (al netto, ripeto, della manciata di elementi che occorre accettare per permettere la clonazione dei dinosauri e per far stare in piedi un minimo di avventura) esplicitata dall’autore del romanzo.

La conferma che anche nel film i dinosauri sono concepiti come animali (il più possibile) realistici in base alle concezioni dell’epoca è data dalla scena finale in cui i protagonisti sono “inavvertitamente salvati” dal Tyrannosaurus, il quale, entrando in scena per svolgere il suo naturale ruolo di predatore, si avventa sui raptor, permettendo così a Grant, Sattler e i ragazzi di fuggire.

La differenza più importante tra romanzo e film è che questo ultimo si conclude in modo più sfacciatamente aperto: l’isola non viene distrutta, i dinosauri sono vivi e vegeti, ora padroni di Nublar, che così acquisisce lo status (artificiale) di Mondo Perduto, inteso come “terra isolata dal mondo in cui vivono grandi animali preistorici”.
Il film, quindi, si chiude introducendo la sua riproduzione, la serialità e, pertanto, il rischio di scadere rapidamente nella ripetitività.

Di fronte alla richiesta del cinema di produrre un secondo romanzo che possa fare da “base” per un secondo film, Crichton si trovò di fronte al paradosso di dover inventare un seguito per una storia che egli aveva esplicitamente creato come autoconclusiva.

Per giunta, la sua libertà creativa era vincolata all’esigenza di scrivere un seguito che fosse sì, nelle intenzioni, la continuazione del romanzo, ma, nei fatti, doveva fungere da prosecuzione del film.
Da qui si spiega l’invenzione del “sito B”, della seconda isola che, nella continuità logica del romanzo, deve prendere il posto della distrutta Nublar, ma che nella logica del film è una forzatura del tutto ingiustificata, una palese ridondanza.

Il passaggio dalla ridondanza alla inutile moltiplicazione degli enti è stato breve. Questa schizofrenia insulare è il primo segno che l’elegante fantascienza hard del primo “Jurassic Park” autoconclusivo stava gradualmente decadendo nella serialità autoreferenziale (prima) e super-eroistica (poi) del franchise.

Fin da subito, l’idea di realizzare un seguito di “Jurassic Park” appare disperata. La prima opzione seguita è stata la moltiplicazione degli elementi del primo film. Due isole. Due tirannosauri. Due squadre di esploratori. Due parchi (uno sull’isola e uno a San Diego). Ma anche in questo caso, è difficile andare oltre il già visto, specialmente per i dinosauri, il cui repertorio comportamentale non può certo essere ampliato molto oltre il “cammina, mangia, uccidi, muori”.

Unica nota originale, difatti, è l’introduzione di elementi “parentali” tra i dinosauri, ma anche questi si esauriscono rapidamente, dato che persino ammettendo per i nostri dinosauri delle cure parentali intense, queste non consentono di creare una serie di situazioni cinematograficamente interessanti estendibile all’infinito.

Il terzo episodio della serie sancisce la definitiva trasformazione del franchise da “fantascienza hard, scientificamente ispirata” a “monster movie”: viene introdotto il gigantesco e psicologicamente disturbato Spinosaurus, non a caso ribattezzato “Spinozilla”. Il nuovo mostro è introdotto per dare un senso a un ulteriore secondo seguito, dopo l’esaurimento di quanto era stato duplicato nel secondo episodio.

Spinozilla uccide Tyrannosaurus, e il franchise abbandona ogni pretesa di realismo per approdare nel fantastico mondo dei supereroi. Spinozilla è palesemente un mostro, dato che si avventa ripetutamente sui protagonisti umani con una ossessione che non avevamo visto nei precedenti episodi. Qui non abbiamo più un animale reale che segue comportamenti naturali, ma una nemesi esplicitamente antagonista degli esseri umani. Un Nemico prima ancora che un pericolo.

Anche gli esseri umani subiscono la deriva presa dal franchise, e iniziano a manifestare i tratti tipici dei supereroi, in primo luogo, l’indistruttibilità. Supereroe è il ragazzino che sopravvive per settimane da solo sull’isola. Supereroe è il giovane paleontologo che sopravvive all’attacco mortale di più pterosauri ed alla caduta dalle rocce. Ma supereroe è anche l’esercito americano che accorre per soccorrere i protagonisti.

Ora che il franchise ha preso la direzione della serie a fumetti, della saga di supereroi, la logica da seguire è semplice: bigger, more teeth. Ciò è esplicito nel quarto episodio, il più ipocrita. Se non esiste un dinosauro carnivoro più grosso di Spinosaurus e Tyrannosaurus, nessun problema: basta inventare “Indominus rex”.

Con la banale pretesa di aver aperto il vaso di pandora genetico (nonostante che ormai sia chiaro che quel vaso non permette la clonazione dei dinosauri), si sdogana il mostro al posto dell’animale. In realtà, è solo una scusa: già dall’episodio precedente, il franchise non era più fantascienza dura, ma puro fumetto fantastico.

Se il protagonista originario è troppo realistico per svolgere il ruolo di eroe fumettistico, ecco ora introdotto il nuovo protagonista, il supereroe, domatore di raptor che attraversa la jungla in motocicletta, si cosparge di benzina per sfuggire al nuovo mostro (a sua volta indistruttibile), tamarro palestrato e senza alcuna qualifica scientifica, ma che ammicca sessualmente alla sua bella fino a conquistarla.

I dinosauri ora sono animali domestici con personalità e nomi propri (“Blue”), ex-nemici diventati una sorta di deux-rex-machina (“Rexy”), super-mostri finali (il mosasauro gigante), oppure mostri-alieni (Indoraptor), persino resistenti al magma bollente (il “Baryonyx”). Non ci sono più animali, solo personaggi di un fumetto.

La continuità logica tra terzo e quarto episodio nel processo di “fumettizzazione” smentisce la pretesa di chi vorrebbe separare una prima trilogia “originaria” da una successiva degenerazione del franchise. Il franchise è uno solo, e il suo processo evolutivo inizia con la scrittura del secondo romanzo.

La trasformazione dalla fantascienza dura del primo libro alla macchietta del cineuniverso Marvel che ha preso palesemente l’ultimo episodio in arrivo (macchietta esplicitata nel trailer già in circolazione) è stata un processo continuo, graduale e cumulativo. Non esiste Dominion senza episodi precedenti, non esiste seconda trilogia senza Spinozilla, e non esiste Isla Sorna senza il bisogno di correggere l’autoconclusione originaria del primo romanzo.

Chi (come me) ha amato l’idea originaria di una storia di fantascienza dura, con dinosauri realistici (al netto delle conoscenze del tempo) che non fossero mostri da fumetto, deve mettersi il cuore in pace: quell’idea si esaurisce con il primo romanzo/film, e non può (per la sua stessa costituzione) andare oltre. Essa difatti si dissolve gradualmente ed inevitabilmente con il progredire stesso del franchise, e non potrebbe essere altrimenti.

 

(Da Theropoda).

 

“Jurassic World – Il dominio” (Jurassic World Dominion), il sesto capitolo del franchise uscirà il 2 giugno 2022

 

 

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