Jupiter’s Legacy di Netflix è l’ennesima produzione nell’attuale guerra dei contenuti ad alta visibilità tra piattaforme streaming.

Da un lato c’è Disney, che spinge a tutta forza con WandaVision e The Falcon and the Winter Soldier.
Dall’altro Warner con Titans, Doom Patrol e Watchmen.
Dall’altro ancora si mette Amazon coi The Boys e Invincible.

Chiaramente, Netflix non poteva reggere un assalto del genere con il solo The Umbrella Academy.
Quindi, cosa fai quando sei in guerra?

 

Jupiter’s Legacy l’arma definitiva…

JUPITER'S LEGACY, SUPEREROI CON SCARSI MEZZI

Alan Moore è un personaggio atipico ma, volente o nolente, la roba sua sta in mano alla Warner. Garth Ennis, se lo palleggiano Amc e Amazon. Stessa cosa per Robert Kirkman. Disney, poi, la Marvel se la è comprata direttamente.
Chi rimane?

La risposta: Mark Millar. Saranno una quindicina d’anni, a partire da Wanted, che fanno film sui fumetti suoi. Kick-Ass e poi Kingsman: The Secret Service, per non parlare di Logan, sono andati parecchio forte.
Millar è “l’arma segreta” definitiva. Con lui, niente potrà andare storto. Alé.

Ecco, in teoria la pensata di Netflix di tirare fuori una serie basata su Jupiter’s Legacy di Millar non è sbagliata.
Ogni numero del fumetto su Comic Book Roundup  (una specie di Rotten Tomatoes dedicato ai comics) ha uno score del 9.0 basato su oltre duecento recensioni. Centocinquanta delle quali sono state scritte da professionisti.

Allora come mai su Rotten Tomatoes e su Metacritic l’adattamento di Netflix arriva a un miserabile 37% di gradimento su uno e al 45% sull’altro?
Un fatto del genere significa che qualcosa dev’essere andato terribilmente storto con Jupiter’s Legacy, no?
Uhm… non proprio.

Il punto è che chiunque abbia letto un paio di fumetti in vita sua sa che la fiction supereroistica è un genere autoreferenziale. Quello dei “supereroi realistici” alle prese con “super-problemi realistici”, poi…
Roba con cui abbiamo a che fare da minimo trent’anni.

In questo senso Millar, pur d’intrattenere, non s’è mai fatto problemi su nulla. Jupiter’s Legacy è il corrispettivo della scoperta dell’acqua calda. La conosce lui, la conosco io, la conosciamo tutti quanti.

La regola è che in scena non ci vai se la grana non ce l’hai. Prendi Trono di spade, con le sue otto stagioni da dieci episodi ciascuna (tranne le ultime due, che di episodi ne contano rispettivamente sette e sei).

Nel suo complesso è, al momento, lo spettacolo più costoso in assoluto nella storia del piccolo schermo. Ogni stagione oscilla fra i cinquanta e i sessanta milioni di petroldollari. Arrotondando per difetto, in quasi dieci anni di milioni sono arrivati a spenderne circa quattrocentocinquanta.

In questi giorni, ha fatto notizia un’intervista di Hollywood Reporter a Jennifer Salke, ex presidente della Nbc Entertainment attualmente a capo degli Amazon Studios. In quanto la prossima serie Amazon basata su Il Signore degli Anelli pare sia arrivata a sfiorare il mezzo miliardo in soli costi di produzione.

Se non fosse sufficientemente chiara la dimensione di questa cifra metti che si tratta del corrispettivo di quanto speso, in quasi dieci anni, per fare l’intero Trono di spade. Se tanto mi dà tanto, la conclusione è che l’offerta di serie tv ha superato la domanda.

Se una serie la cancellano, altre quattro te le schiaffano in faccia. Siamo arrivati al punto che seguirne una, nessuna o centomila non fa differenza. Niente è unico, praticamente tutto è nulla e tanto c’è un oceano di roba in cui annegare.

L’imperativo per le compagnie di produzione è spendere nel continuo gioco al rialzo. Tuttavia, continuare a spendere soldi all’infinito non è come lanciare un incantesimo. Le cose non si risolvono per magia.

Jupiter’s Legacy si ritrova, giocoforza, a essere una specie di giustapposizione. Giustapposizione di una predominante monocultura tardiva, l’equivalente del paradosso di Pinocchio. “Adesso il mio naso si allungherà”, dice Pinocchio.

Affermazione, questa, che porta alla contraddizione qualsiasi tentativo di assegnargli un normale valore di verità binario. In altre parole, su carta la serie è un grande affresco familiare che fa avanti e indietro nella Storia, mentre affronta il tema dell’eredità.

Cosa ci lasciano i nostri genitori, le colpe dei padri che ricadono sui figli è storia antica, di Shakespeariana memoria. Negli otto episodi dell’adattamento Netflix di Jupiter’s Legacy la trama si divide e si alterna in due linee temporali interconnesse.

Ci sono i fratelli Sheldon e Walter, i supereroi conosciuti come The Utopian e Brainwave.
I due, insieme a Grace, moglie di Sheldon nonché supereroina conosciuta come Lady Liberty, sono tre dei sei supereroi originali che hanno fondato L’Unione.

Loro sono il supergruppo che in virtù dei grandi poteri che hanno ottenuto si è dato lo scopo di difendere la giustizia e mantenere la pace nel mondo. Anche per questo hanno stilato Il Codice, voluto soprattutto da Sheldon: una specie di costituzione che tutti devono impegnarsi a rispettare.

Soprattutto la regola di non uccidere, in nessun caso e per nessun motivo. Perché loro sono i buoni e devono sempre dare il giusto esempio.
Nel 1929, poco prima della Grande depressione economica, Walter e Sheldon sono i ricchi figli di un magnate dell’acciaio.

Walter è lo stacanovista che vive per l’azienda, mentre Sheldon si limita a godersi i soldi. Nel momento in cui la borsa di Wall Street crolla, tutto cambia all’improvviso. In sostanza, Jupiter’s Legacy è una saga generazionale. Quella ambientata negli anni trenta è una semplice storia delle origini. Semplice, ma comunque intrigante.

Roba tipo L’isola del tesoro, Lo Hobbit, King Kong o qualunque altra storia in cui i personaggi si imbarcano per un’avventura fantastica verso i limiti dell’ignoto.
Nel tempo presente, la storia si concentra sui cambiamenti del mondo e sulla spaccatura che divide la generazione di Sheldon e Grace da quella dei figli Brandon e Chloe.

Entrambi, così come tutti i ragazzi che formano la nuova generazione di supereroi, hanno ereditato gli stessi poteri, o quasi, dei genitori. Sfortunatamente, Brandon pare sempre sull’orlo di una crisi di nervi in quanto destinato a essere il prossimo Utopian.

Tutta la sua vita è un continuo sforzo per essere all’altezza delle aspettative di tutti, ma soprattutto quelle, impossibili, di suo padre. Chloe, invece, ha preferito la carriera di modella, anche per adulti, e darsi alla droga anziché condurre una vita all’ombra di quella dei suoi genitori.

Metti, che per quanto fosse considerabile derivativo, il fumetto Jupiter’s Legacy di Millar era una voce che riusciva a distinguersi dal coro proprio per questo. L’idea di un essere pressoché onnipotente le cui azioni siano regolate da un mucchietto di cazzate è roba vecchia.

I supereroi dei fumetti hanno sempre un codice, traducibile in restrizioni. Queste restrizioni, o meglio, l’esplorazione di queste restrizioni, costringe gli autori a essere creativi.

La storia, in sostanza, alla fine riguarda soprattutto Sheldon, che ormai dovrebbe avere circa centovent’anni. Si rifiuta in ogni modo di riconoscere che il mondo è irrimediabilmente cambiato. Il rigoroso Codice su cui ha basato la sua vita non ha quasi più senso.

Riportare a schermo questa idea, quasi dieci anni dopo il fumetto, non è sbagliato a priori. Così come non sarebbe giusto fare paragoni. In quanto Jupiter’s Legacy di Netflix mantiene il punto in modo piuttosto intelligente, mentre espone (e dilata ovviamente per allungare il brodo) la struttura a più linee temporali.

La serie gioca, forse troppo, con la divisione tra le due linee temporali, nelle quali i fatti ambientati nel presente risultano abbastanza moscetti. Questo a causa di una esposizione costretta a scendere a patti con troppe cose.

Ed eccolo qui il cruciale busillis: diventa giusto fare paragoni nel momento in cui ti ritrovi a essere l’ennemillesimo prodotto che va a inflazionare un mercato già oltre il suo punto di saturazione? Oggi uno spettatore ha le paranoie a cominciare una serie.

American Gods, I Am Not Okay with This, Le terrificanti avventure di Sabrina, Altered Carbon, Mindhunter, così, tanto per dirne alcune. Quante serie hai cominciato, ti ci sei appassionato, hai seguito una stagione, magari due e poi ta-daaa!… Cancellata.

Uno non può stare sempre a fare i conti con la frustrante delusione di mettersi a seguire storie che iniziano alla grandissima per trovarsi senza uno straccio di finale.

Fatto tanto più grave considerando che al mio segnale scatenate la povertà, potrebbe pure essere la tag-line della serie. Per carità, non che Jupiter’s Legacy sia scadente. No, questo no. Però i disegni immaginifici di Frank Quitely su schermo si traducono malissimo.

Non è l’unico, ma da questo problema di Jupiter’s Legacy ne derivano altri. Dai costumi alla Cgi, passando dagli effetti Vfx fino al trucco. Tutto fa veramente troppo “vorrei ma non posso”. Roba che sa di povertà a metri di distanza.

Ti ritrovi a essere l’ennesimo prodotto nel mare di “tutti uguali” che affollano il mercato e manco hai i superpoteri del dio denaro…

Eppure, in un mondo affollato di tutine e mantelline colorate in cui spendere soldi come se buferasse pare sia diventato l’unico modo per emergere, Jupiter’s Legacy riesce a farcela. In qualche modo.

A volte pare di vedere quasi una parodia tanto sono brutti certi effetti. Ciò non toglie che la serie sia un’esplorazione approfondita di certi elementi supereroistici già affrontati in passato, ma che raramente sono stati messi in discussione in questo modo.

C’è un mistero da seguire che tiene banco tutta la stagione. La storia delle origini ambientata negli anni trenta è piuttosto intrigante. La questione di genitori e figli sempre pronti a prendersi a sputi è un evergreen.
La carenza di pecunia è sopperita da temi interessanti sostenuti da dialoghi intelligenti.

Messa così, quell’aria da Oliver Twist che sta elemosinando una scodella di minestra alla tavola delle produzioni super-mega-wow, non pare più tanto brutta, no?

Ebbene, detto questo anche per oggi è tutto.

 

Stay Tuned, ma soprattutto Stay Retro.

 

 

 

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