Alla Sergio Bonelli abbiamo sempre contestato una certa staticità e una difesa ossessiva di strutture narrative ormai obsolete. Tuttavia è doveroso riconoscere che, seppure lentamente, le cose stanno cambiando.

Partiamo da Orfani, la serie che nasceva con l’intento di essere lo spartiacque tra il prima e il dopo. Creata da Roberto Recchioni e, per la parte grafica, da Emiliano Mammucari, probabilmente non è riuscita a coinvolgere il numero di lettori che la casa editrice si augurava. Tuttavia la sua struttura a blocchi autoconclusivi ha permesso di presentare numerosi personaggi in ambientazioni diverse.

Dopo le prime tre miniserie lunghe nell’ottobre del 2016, è approdata in edicola la quarta stagione composta da soli tre numeri dedicata a Juric, la spietata sociologa (presidente del Governo straordinario di crisi, l’organo che si è fatto carico di salvare l’umanità) morta, uccisa dalla “Mocciosa” (uno degli Orfani originali) nella cataclismatica conclusione della stagione precedente.


Ora tocca al biografo Emile Bogdan ricostruire il passato di una figura umana e politica così controversa, attraverso un dossier di documenti segreti raccolto dalla donna stessa. Originaria di un Paese dei Balcani, la piccola Jsana vive con l’apparente normalità dei suoi anni una triste condizione di immigrata. Quando rimane orfana, la bambina viene adottata da Sandor Kozma, presidente di un’associazione umanitaria che intende sfruttarla per fini propagandistici.

Fin da piccola, Jsana dimostra come l’arte della manipolazione sia per lei una specie di seconda pelle: nulla le sembra incongruo o immorale. Perfino la sua festa di laurea diventa l’occasione per dare un’immagine di sé ad uso e consumo dei media. Jsana ha un’unica e inattesa debolezza: l’affetto che prova per il padre adottivo, anche se non esita a usare la figura di Kozma come facciata presentabile della propria organizzazione.

La sua mancanza di scrupoli le consente di muoversi tra i sentimenti con implacabile inflessibilità. E quando serve non esita a mettere in palio il proprio corpo, a usarlo come chiavistello per sedurre l’anziano magnate Tadao Kojima e coinvolgerlo nei suoi oscuri disegni.

La Juric deve, però, affrontare due prove terribili che coincidono con le prime vere “sconfitte”: la perdita del padre durante un attentato e, subito dopo, il suo rapimento da parte di una banda di criminali africani durante il quale deve subire le violenze più efferate. Trova la forza di resistere alla prigionia e i soccorritori che la traggono in salvo saranno i primi a vedere la trasformazione definitiva di Jsana.

Nella sua scalata al vertice si lascia dietro una scia di cadaveri, senza mostrare alcuna empatia per le sue vittime. La sua anima diventa un crogiolo in cui dolore e violenza si mescolano alla crudeltà. La giovane donna si sente una predestinata, ha la certezza di essere l’unica in grado di guidare una razza intera e una leader non può avere cedimenti.

Il mondo sembra non accorgersi minimamente del potere di manipolazione di quella che, invece, è vista come l’unica possibile salvatrice. Pian piano la tortura psicologica nei confronti di chi cerca di intralciarne l’ascesa diventa feroce e sfrenata. Persino l’adozione di Efia, una sfortunata ragazza africana per cui sembra provare del senso materno, diventa un pretesto per ribadire la sua abilità manipolatoria. La morte della ragazza spegne definitivamente in lei l’ultima tremula scintilla di umanità. Tutto diventa calcolo e strategia e, alla fine del gioco, anche la sua morte viene gestita con freddo raziocinio.

La decisione di far scrivere un’autobiografia la innalza dal ruolo di statista a Santa, garantendole l’immortalità che ambiva. Poco importa se ciò richiede un’ultima vittima, il biografo che lei aveva scelto, “indirizzato” verso una fine precoce per sua stessa mano. Jsana è morta, lunga vita a Jsana!

Il lavoro di sceneggiatura a quattro mani di Roberto Recchioni e di Paola Barbato (che riscatta alla grande la sua criptica e involuta miniserie Ut) ha saputo creare un passato credibile, tale da spiegare le ragioni che hanno portato la Juric a essere la mente più diabolica della serie; arricchendo il tutto con un corteo di scene spietate (difficilmente presentate in altri albi Bonelli), complotti politici e colpi di scena mai banali, e con quel pizzico di eros che ha contribuito a rendere il tutto una lettura scorrevole ed appassionante.

Prodotti come Juric e Nathan Never: Anno Zero dimostrano che in casa Bonelli i talenti ci sono, basta lasciargli un po’ di libertà creativa. Sarebbe ora.

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