Joe Kubert nacque il 18 settembre 1926 a Yzeran, una piccola località della Polonia (oggi in Ucraina), da una famiglia ebraica. Suo padre Jacob era un macellaio kosher, preparava le carni secondo le prescrizioni delle sacre scritture per gli ebrei osservanti.

JOE KUBERT, DA TARZAN A TEX WILLER
Joe Kubert tra i personaggi della Dc Comics

 

In virtù di questo ruolo, la posizione sociale nella piccola comunità poteva dirsi benestante, ma Jacob voleva dare maggiori opportunità alla sua famiglia e decise di trasferirsi negli Stati Uniti. La prima volta avevano tentato il viaggio nella primavera del 1926, ma a Southampton le autorità inglesi avevano rifiutato loro il visto per imbarcarsi, perché sua moglie Etti era incinta di Joe, ed erano dovuti tornare indietro per attendere la sua nascita.

Joe aveva due mesi quando finalmente la sua famiglia emigrò a New York, stabilendosi nel quartiere di Brooklyn. Anche qui suo padre lavorò come macellaio kosher, mentre sua madre prestò servizio presso la comunità ebraica.

Il piccolo cominciò a disegnare da quando aveva tre anni di età, e mentre cresceva i suoi genitori lo incoraggiarono a coltivare il suo talento. I vicini gli compravano i gessetti per disegnare per strada.

Si appassionò ai fumetti prima di saperli leggere, guardando le figure delle strip giornaliere e delle tavole domenicali sui quotidiani degli anni trenta. Gli autori che più lo influenzarono furono quelli realistici, soprattutto Harold Foster, Alex Raymond e Milton Caniff.

I genitori raccontavano spesso a lui e alle sue quattro sorelle le storie del “Vecchio Paese”, la terra d’origine che non poteva ricordare, e dei bei tempi felici vissuti laggiù. Ma verso la fine degli anni trenta l’immagine idilliaca che associava al suo luogo natale fu sostituita da un incubo.

Vari amici e parenti giunsero dalla Polonia dopo essere fuggiti dai campi ai nazisti e raccontavano le persecuzioni antisemite. I ricordi di quelle storie, di cui non poteva ancora afferrare interamente tutto l’orrore, si impressero nella sua mente.

Il suo primo lavoro retribuito per gli albi a fumetti risale al 1938, quando aveva solo dodici anni. Fece apprendistato prima presso lo studio di Will Eisner e poi in quello di Harry Chesler, che aveva conosciuto frequentando la High School of Music and Art di Manhattan.

Nel 1940 già guadagnava più di suo padre e nel 1942, a soli sedici anni, pubblicò le prime storie di sua creazione.
Collaborò con diverse case editrici di comic book, come Holyoke Group, Mlj Publications e Quality Comics. Nel 1943 entrò in pianta stabile alla National Periodical Publications (la Dc Comics di allora), con cui manterrà sempre un rapporto privilegiato.

Tra le principali serie a cui collaborò negli anni quaranta ci furono Johnny Quick, Shining Knight, Doctor Fate, Flash, Zatara e soprattutto Hawkman, che è considerato il suo capolavoro di questo periodo. Lavorò anche a qualche episodio di Superman.

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All’inizio degli anni quaranta, quando aveva sedici o diciassette anni, si trasferì con la famiglia nel vicino New Jersey, dove suo padre divenne saldatore, lavorando alla costruzione delle navi.

Nel periodo della guerra di Corea, dal 1950 al 1952, prestò servizio nell’esercito e per un anno fu di stanza in Germania. Al congedo tornò a realizzare fumetti, per editori come la Harvey e la Ec Comics. A questo periodo risale la sua prima storia di guerra: “Tide” (Marea), pubblicata sull’albo Two-Fisted Tales di Harvey Kurtzman nel 1953.

A partire dallo stesso anno, insieme a Norman Maurer, si occupò per l’editore Archer St.John di adattare la tecnica del cinema in 3-D, che all’epoca furoreggiava negli Stati Uniti, ai fumetti.
Il primo albo “in rilievo” che produssero fu Mighty Mouse (il supertopo tratto dai cartoni animati di Paul Terry), che vendette più di un milione di copie e lanciò una nuova moda del settore.

Contemporaneamente, la St.John gli lasciò ampia libertà per la creazione di un nuovo personaggio di cui poté realizzare testi, disegni, colori e (addirittura) possedere i diritti. Il risultato fu la serie preistorica Tor of 1,000,000 Years Ago (Tor di un milione di anni fa), dove cominciò a sviluppare elementi che si ritroveranno in molte sue opere: la natura selvaggia, la lotta per la sopravvivenza e il dinamismo dell’azione.
Ma Tor non durò a lungo, così come la moda del 3-D, che era stata applicata anche alle sue storie.

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Subito dopo tornò alla Dc creando l’eroe storico Viking Prince (Il Principe Vichingo), un probabile omaggio al Prince Valiant di Foster, che proseguì per alcuni anni con un discreto successo.
Nel 1956 collaborò con lo sceneggiatore Robert Kanigher e il disegnatore Carmine Infantino, inchiostrando la seconda versione di Flash, il Barry Allen classico della Silver age.

Lavorò anche altre serie, come quella del viaggiatore del tempo Rip Hunter, e 1961 esordì con i suoi disegni il nuovo Hawkman della Silver age, che lo sceneggiatore Gardner Fox e il supervisore Julius Schwartz avevano trasformato in chiave fantascientifica da supereroe egizio a poliziotto alieno.
Lo stile di Kubert, ormai completamente maturo e riconoscibile, decretò il successo dei primi episodi, ma l’anno seguente i troppi impegni lo costrinsero a lasciare la serie ad altri.

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Infatti, dalla fine degli anni cinquanta e per oltre dieci anni, si dedicò prevalentemente a storie di guerra, disegnando le serie scritte da Robert Kanigher, di cui la più importante resta Il Sergente Rock, pubblicata per molti anni sull’albo Our Army at War (Il nostro esercito in guerra).

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L’approccio degli autori non glorificava l’uso delle armi, evidenziava invece l’aspetto più “sporco” dei campi di battaglia e mostrava la guerra per quello che è: una mostruosa macchina che macina vittime (anticipando in parte il taglio di film molto successivi come Platoon e Full Metal Jacket).

Nel 1965 i due autori crearono Enemy Ace (L’Asso Nemico), un pilota tedesco della Prima guerra mondiale ricalcato sul modello del Barone Rosso. Una volta tanto un conflitto era mostrato dal punto di vista degli avversari.

La serie di strisce quotidiane e tavole domenicali disegnata da Joe Kubert dal 1967, Tales of the Green Beret, che appoggiava l’impegno americano in Vietnam, fu interrotta dopo appena due anni, forse anche per le proteste dei giovani contestatori.

JOE KUBERT, DA TARZAN A TEX WILLER JOE KUBERT, DA TARZAN A TEX WILLER

Nel 1968, Joe Kubert divenne direttore editoriale degli albi bellici della Dc e poi anche dell’albo western Son of Tomahawk.
Intanto, nel 1969, creò il personaggio di Firehair (Capelli di Fuoco), un giovane “indiano bianco” protagonista di storie originali che mescolavano western, fantasy e antirazzismo, ma di cui uscirono solo pochi episodi.

L’ultimo personaggio bellico che disegnò su testi di Robert Kanigher fu The Unknown Soldier (Il Milite Ignoto, tradotto da noi dall’Editoriale Corno come Il Soldato Fantasma), del 1970, su un soldato rimasto sfigurato che il Pentagono impiegava come agente segreto sul teatro della Seconda guerra mondiale.

Nel 1972 gli fu affidata la direzione degli albi di Tarzan e del figlio Korak, di cui la Dc aveva appena rilevato i diritti.
Di Tarzan inizialmente realizzò testi e disegni, riproponendo i romanzi e i racconti di Edgar Rice Burroghs in una versione fedele allo spirito delle opere originali, e al tempo stesso estremamente personale. Anche le scene più fantastiche furono da lui rappresentate con grande coinvolgimento e realismo.

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In qualità di direttore editoriale affidò a validi disegnatori come Frank Thorne, Murphy Anderson, Mike Kaluta, Alan Weiss e Howark Chaykin, la realizzazione di altre serie tratte da opere di Burroughs. Oltre alla preesistente serie di Korak, lanciò così in appendice alle due testate, le versioni a fumetti dei romanzi di John Carter of Marte, Carson di Venere e Pellucidar.

Mentre dirigeva Tarzan si occupò anche di altre testate della Dc: Rima, the Jungle Girl (di cui realizzò testi e copertine) e The Bible (La Bibbia, di cui disegnò solo le copertine).
Nel 1975 lasciò i disegni di Tarzan ad altri (pur continuando a scriverne i testi) e avviò una nuova edizione del suo personaggio Tor, ridisegnandolo con tutta l’espressività di cui ora era capace.

Purtroppo, nonostante l’alto livello, nessuno di questi albi ebbe il successo sperato, Tarzan compreso. Anche in Europa gli editori e i giovani lettori, abituati al re della giungla disegnato da Russ Manning, non sempre seppero apprezzare l’interpretazione più adulta di Joe Kubert.

Nel 1976 fondò a Dover, nel New Jersey, la Joe Kubert School of Cartoon and Graphic Art, la prima scuola professionale dedicata esclusivamente all’insegnamento del fumetto. In quello stesso anno interruppe la produzione delle proprie storie e, a parte qualche piccola apparizione speciale, fino alla fine degli anni ottanta disegnò esclusivamente copertine, per la solita Dc Comics.

Dalla sua scuola sono usciti disegnatori come Rick Veitch e Steve Bissette, senza contare Adam e Andy Kubert, due dei cinque figli avuti dalla moglie Muriel che hanno seguito le sue orme, senz’altro avvantaggiati dal fatto di avere in casa uno dei più grandi insegnanti di fumetto del mondo.

All’inizio degli anni novanta, pur continuando a gestire la scuola, riprese a lavorare alla realizzazione di singoli progetti. Di questi il primo è stato Abraham Stone, una serie ambientata nel 1912 e nata per il mercato europeo, di cui uscirono tre episodi.

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Il protagonista è un giovane orfano che vagabonda da un punto all’altro dell’America, tra affaristi senza scrupoli, infidi produttori cinematografici e guerriglieri messicani. È una trasposizione in chiave moderna delle insidie della giungla preistorica, a cui invece tornò nel 1993 con un’altra miniserie di quattro numeri dedicata a Tor.

Per la prima volta “tradiva” la Dc, pubblicando Tor sotto l’etichetta Epic della concorrente Marvel, qui raggiunse il livello grafico più alto con il primo personaggio importante da lui creato.

Verso la metà degli anni novanta disegnò una breve versione alternativa di Batman per la collana Batman Black and White e un episodio in due parti di Ghost Rider su testi di Howard Mackie.

Nel 1994 realizzò graficamente un episodio di The Punisher (Il Punitore), “Fiume di sangue”, scritto da Chuck Dixon per Punisher War Zone dal n. 31 al n. 36. In cui una scia di sangue, droga e armi conduce il protagonista e una sua controparte russa da New York a Sarajevo. Il periodo è quello della guerra in Iugoslavia e gli autori mostrano gli orrori dell’odio etnico.

Ha la stessa ambientazione la sua graphic novel del 1996, Fax from Sarajevo, basata sulla corrispondenza con l’amico Ervin Rustemagic tra il 1992 e il 1994.
Trasformando in disegni i fax che questi gli spediva ogni giorno, vi racconta di come Ervin era rimasto intrappolato con la famiglia nella città assediata di Sarajevo, della vita che sono stati costretti a condurre sotto i bombardamenti e di come siano infine riusciti a fuggire, dopo che la loro casa era stata distrutta. È la guerra vista dalla parte delle vittime. Tutto ciò che è raccontato nel volume corrisponde ai fatti reali.

Nel 2001, dopo circa sette anni di lavoro, uscì la sua versione di Tex: “Il cavaliere solitario“, una lunga storia scritta da Claudio Nizzi per la collana dei “Texoni” della Bonelli. È l’unico fumetto che Kubert ha realizzato espressamente per l’Italia (ma è uscito in contemporanea anche negli Usa suddiviso in più albi).

A parte l’altissima qualità dei disegni, la differenza principale rispetto alla serie regolare è che il ranger agisce da solo, con una dinamica più vicina ai film di Clint Eastwood che alle storie abituali, questo perché la storia potesse essere apprezzata anche dal pubblico americano, che non conosceva il personaggio originale.

Nello stesso anno realizzò una versione afroamericana di Batman, disegnando l’albo Just Imagine Stan Lee with Joe Kubert Creating Batman (“Immagina soltanto Stan Lee che crea Batman con Joe Kubert”), all’interno di una collana in cui Stan Lee ha reinterpretato a modo suo i classici supereroi Dc, coadiuvato ogni volta da un disegnatore diverso.

Nel 2003 tornò al Sgt. Rock, con la graphic novel “Between Hell and a Hard Place” (Tra l’incudine e l’inferno) scritta da Brian Azzarello per l’etichetta Vertigo.
Nell’autunno dello stesso anno, pubblicò presso Byron Preiss la graphic novel Yossel: 19 April 1943, in cui cerca di rispondere all’interrogativo che lo ha assillato per anni: cosa gli sarebbe successo se la sua famiglia non fosse emigrata in America?


Il giovane ebreo polacco protagonista della storia non è altro che il suo alter ego, Yossel invece di Joe. Essendo rimasto in patria la sua vita viene sconvolta dalla terribile realtà dell’Olocausto: la sua famiglia è uccisa ad Auschwitz e lui deve lottare per la sopravvivenza nel ghetto di Varsavia.

Anche per la famiglia di Yossel l’autore si è ispirato alla propria, mentre per la rivolta di Varsavia si è ampiamente documentato. Per ottenere più immediatezza e coinvolgimento, ha lasciato i disegni sotto forma di schizzi, come se provenissero dalla mente del protagonista.

Nel 2005 confezionò un altro fumetto ambientato nella Brooklyn degli anni trenta, Jew Gangster (Un gangster ebreo), il cui protagonista, Ruby, è un ragazzo come tanti che, dopo aver assistito a un omicidio e non essendo entusiasta della sua vita che gli appare destinata alla miseria, preferisce un futuro più remunerativo nella malavita. Ruby è un ragazzo che ama la propria famiglia, ma che può aiutarla solo grazie ai proventi di attività illecite.

Tre anni dopo, l’ormai anziano ma sempre eccelso Kubert pubblicò un’altra miniserie in sei numeri di Tor, dal titolo “A Prehistoric Hodyssey” (Odissea nella preistoria). Il suo eroe viene scacciato dalla tribù, per la sua indipendenza che lo rende sospetto, e incontra un gruppo di esseri umani deformi e mutati, anch’essi scacciati dalle rispettive tribù.

Tor tenta di superare con loro le tante insidie del mondo selvaggio in cui si trovano costretti a vivere da perseguitati, tra feroci belve, ottuse creature scimmiesche, esseri albini del sottosuolo o delle nevi, gli ultimi superstiti dei grandi sauri e gli ostacoli naturali che incontrano sul loro cammino.
Alla fine di questo faticoso viaggio verso la speranza di un futuro migliore, i superstiti saranno sconsolatamente pochi, ma la loro marcia non si arresterà.

L’ultima, lunga fatica di Joe Kubert, è stata la graphic novel Dong Xoai, Vietnam 1965, realizzata nello stesso stile schizzato di Yossel. Uscita nel 2010, racconta la storia romanzata di una delle principali battaglie della guerra del Vietnam dal punto di vista dei soldati americani, ma comunque con toni meno propagandistici di quelli precedenti e con una certa attenzione alle popolazioni locali.

Da notare come l’autore, in molte di queste sue ultime opere, abbia eliminato del tutto le nuvolette dei dialoghi, affidando la narrazione, oltre che agli efficacissimi disegni, alle sole didascalie che sottolineano l’azione.
Anche quando qualcuno pensa o “parla”, ciò che dice o che intende dire viene riportato nelle didascalie, rimandando a fumetti d’altri tempi. Eppure le storie risultano sempre appassionanti, vitali e umanamente toccanti.

 

 

(Da Segreti di Pulcinella).

 

 

 

2 pensiero su “JOE KUBERT, DA TARZAN A TEX WILLER”
  1. Bell’articolo sulla storia di un grande autore. Sarebbe interessante che qualche editore trova il coraggio di pubblicare alcune sue opere. Il suo stile rimarrà sempre immutabile e attuale nel tempo

  2. Dirò forse una cosa poco popolare, ma secondo me molti disegnatori che sono passati a Tex dopo aver disegnato altri personaggi “propri” hanno finito per ingabbiarsi e perdere un bel po’ di libertà… Devo ancora capire cosa ci ha guadagnato Andreucci (stipendio a parte…) a finire a disegnare cavalli e sentieri polverosi dopo le storie fantastiche che faceva su Zagor e Dampyr 🤔… Ma anche il texone di Kubert, seppure in grande formato, rientra nel discorso…vuoi mettere con la giungla ariosa di Tarzan?🙂
    Poi vabbè Tex è un patrimonio del fumetto italiano e bla bla bla….Lo so, lo so…però però….

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