JIMMY HOFFA, IL SINDACALISTA DELLA MAFIA

Detroit è diventata una metropoli parzialmente abbandonata, con enormi edifici che si stanno trasformando in ruderi. La città, che aveva iniziato a espandersi rapidamente all’inizio del Novecento grazie all’industria automobilistica fondata dal leggendario Henry Ford, l’inventore della catena di montaggio, all’inizio del nuovo secolo si spopola per la crisi economica e la delocalizzazione delle fabbriche. Tutto ciò è accaduto anche se, negli ultimi anni, si sta cercando di rianimarla in vari modi, per esempio aprendo tre casinò.

Difficile immaginare che Detroit sia stata uno dei centri più dinamici degli Stati Uniti. Erano i tempi in cui, da qui, dettava legge Jimmy Hoffa, il capo indiscusso del potente sindacato degli autotrasportatori. Conosciuto anche come “l’amico dei mafiosi”, in seguito è diventato “l’uomo svanito nel nulla”. Infatti, dopo essere uscito da un ristorante nel 1975, nessuno ha più saputo niente di lui.

Jimmy Hoffa nasce nel 1913 a Brazil, un paesino nello stato dell’Indiana. Suo padre, un minatore, muore quando lui ha sette anni. Con la madre si trasferisce a Detroit, dove Jimmy trascorrerà tutta la vita. Dopo gli studi, a 14 anni comincia a lavorare in un supermercato come garzone.

Diventa subito un sindacalista, lottando per avere aumenti salariali e migliori condizioni di lavoro. Per questo viene coinvolto nelle risse con i “crumiri”, disposti ad accettare qualsiasi condizione pur di lavorare, e infine licenziato da tutti i datori di lavoro.

Ma ormai il carismatico Jimmy ha un tale seguito che, a soli venti anni, diventa il numero due dell’Ibt, sigla di un sindacato dei camionisti dal nome curioso: International brotherhood of teamsters (Confraternita internazionale degli autotrasportatori). Eppure lui, prima di allora, non aveva mai avuto a che fare con i camion.

Si tratta di un sindacato locale, benché nel nome contenga la parola “internazionale”, che, grazie all’impegno di Jimmy Hoffa, negli anni successivi diventerà nazionale, passando da 75 mila iscritti a un milione e mezzo. Hoffa lotta fin dall’inizio perché gli autisti non vengano sfruttati, per esempio con straordinari non pagati. Ha la capacità di unire tutti nella lotta, così quando decide uno sciopero, negli Stati Uniti non si muove più niente.

Accanto a una genuina passione per la difesa dei lavoratori, Hoffa coltiva anche stretti rapporti con i gangster. Si serve di loro per spaventare gli imprenditori che non accettano le sue condizioni. Li manda contro i crumiri che vorrebbero lavorare durante gli scioperi.

La criminalità organizzata, a sua volta, sfrutta le battaglie dei lavoratori per costringere gli imprenditori a mettersi in affari con loro. Alla prima condanna in tribunale per l’uso di metodi poco ortodossi, Hoffa se la cava pagando una semplice multa.

Intanto il mondo degli autotrasporti si è profondamente modificato. Se prima era composto da tante piccole ditte, ora ci sono solo grandi aziende: le uniche in grado di soddisfare le richieste economiche della Ibt, e della mafia che gli sta dietro, senza fallire. Guadagnano bene anche loro perché possono alzare i prezzi come vogliono, dato che la concorrenza è sparita.

E a guadagnarci sono pure i lavoratori, che hanno stipendi più alti e migliori condizioni di lavoro. A rimetterci sono tutti i cittadini che, quando vanno a fare la spesa, devono pagare di più i prodotti trasportati a caro prezzo nel percorso dalla fabbrica al negozio.

Jimmy Hoffa mette su famiglia nel 1936, sposando Josephine Poszywak, che gli darà due figli: Barbara e James. Mentre lui riesce sempre a farla franca con la polizia, il suo capo, Dave Beck, nel 1957 finisce in prigione per corruzione.

A questo punto Hoffa è solo al comando. Dopo aver riunito sotto il suo sindacato tutti i conducenti di camion e di pullman, e persino i pompieri, riesce a fagocitare nell’Ibt anche altri settori, come quello in piena espansione delle linee aeree. 

Nei primi anni Sessanta, l’appena eletto presidente, John Kennedy decide che bisogna fare qualcosa per arginare il potere di quel sindacalista notoriamente legato alla mafia. Come abbiamo visto, le poche grandi aziende rimaste nel campo dell’autotrasporto fanno prezzi sempre più alti. Bisognerebbe tornare alla concorrenza tra molte compagnie, se si vuole ottenere efficienza e prezzi equi.

Siccome Jimmy Hoffa si opporrebbe alla liberalizzazione del mercato, organizzando uno sciopero dopo l’altro, il presidente Kennedy incarica il fratello Robert, detto Bob, a capo del dicastero della Giustizia, di trovare il modo per toglierlo di mezzo.

Bob Kennedy scopre gravi casi di corruzione per i quali, nel 1964, Hoffa viene condannato a 15 anni di prigione. Il nuovo presidente, Richard Nixon, lo grazia dopo solo sette anni, però con il divieto esplicito di occuparsi di questioni sindacali fino al 1980. Gli autotrasportatori, che fino a quel momento avevano votato per il Partito democratico, l’anno dopo votano compatti per la rielezione del repubblicano Nixon per ringraziarlo.

Intanto Jimmy Hoffa cerca di riprendere il controllo del sindacato, sia pure usando un prestanome a causa del divieto. Attualmente a capo dell’Ibt c’è Frank Fitzsimmons, che del suo predecessore non vuole saperne nulla. Hoffa pensa di contare sull’aiuto di suoi due vecchi complici, i potenti boss della mafia Tony Giacalone e Tony Provenzano, che nel frattempo sono entrati personalmente nel sindacato occupando posizioni importanti, anche se periferiche.   

Passano alcuni anni senza che Jimmy Hoffa riesca a realizzare il suo piano. I vertici sindacali lo rispettano sempre, ma lo considerano solo una vecchia gloria e non gli concedono potere effettivo. Chi lo ostacola? Il 30 luglio 1975 decide di chiarire la situazione con Giacalone e Provenzano.

L’appuntamento dovrebbe tenersi in un ristorante alla periferia di Detroit, il Machus Red Fox. A portarlo a bordo della sua Mercury è il giovane Charles O’Brien, uno stretto collaboratore che Hoffa considera quasi un figlio. Nel ristorante non c’è nessuno ad aspettarli e dopo un po’ i due escono, pensando che qualcosa sia andato storto. Sono le 14.45 quando rientrano in auto, dopo di che di Hoffa non si saprà più niente.

L’ex sindacalista è scomparso, svanito, non è rimasta alcuna traccia di lui. Gli agenti dell’Fbi vanno a interrogare Charles O’Brian, il quale nega tutto: non è mai andato in quel ristorante e, soprattutto, non ha accompagnato Jimmy Hoffa da nessuna parte. Dalla Mercury la scientifica non ricava alcun elemento utile, perché i suoi interni sono stati appena lavati a fondo. O’Brien spiega di averlo dovuto fare perché l’aveva sporcata con un carico di salmone.

Gli agenti fanno annusare alcuni vestiti di Hoffa ai loro cani da fiuto, che corrono subito dentro l’auto riconoscendone l’odore. Ma non è una prova valida per il tribunale, quindi la scientifica si limita a mettere in una busta un capello raccolto all’interno dell’auto, sperando che, un giorno, i progressi tecnologici permetteranno di analizzarlo.

Solo nel 1982 viene dichiarata la morte presunta di Hoffa, e bisogna aspettare fino al 2001 perché l’esame del dna stabilisca che il capello trovato nella Mercury apparteneva al sindacalista. Il suo braccio destro, Charles O’Brien, ora 66enne, viene trascinato in tribunale per essere interrogato. Con quattro bypass al cuore e malato di cancro, O’Brien morirà da lì a poco senza ammettere nulla e andando così a fare compagnia a Giacalone, deceduto nel 1982, e Provenzano, scomparso nel 1988.  

Secondo un dossier dell’Fbi degli anni settanta, reso pubblico solo nel 2006, Jimmy Hoffa era stato fatto uccidere proprio da Giacalone e Provenzano. I due boss controllavano il sindacato più di quanto immaginasse Hoffa, perché il nuovo capo ufficiale dell’Ibt, Frank Fitzsimmons (morto nel 1981), era un loro prestanome.

In particolare, i mafiosi ci tenevano a non perdere la gestione dei fondi pensione degli iscritti, che potevano investire a loro piacimento. Insomma, ormai la mafia non considerava più Hoffa un alleato, ma un potenziale concorrente.

Nel 2009, nella sua autobiografia, il famoso killer Richard Kuklinski, soprannominato “Uomo di ghiaccio”, rivela che l’omicidio di Hoffa era stato commissionato a lui. Ha ucciso l’ex sindacalista con un coltello da caccia e bruciato il cadavere all’interno di un bidone metallico, sul quale ha poi saldato il coperchio. Lasciato in un deposito per il compattamento dei rottami ferrosi, il bidone è stato rifuso e rivenduto a un’azienda giapponese che costruisce automobili.

A oggi, questa sembra la fine più probabile di Hoffa, anche se la polizia, nel 2012, ha inutilmente cercato i suoi resti in un terreno alla periferia di Detroit dove un casuale testimone, che per tutti questi anni aveva taciuto per paura, avrebbe visto seppellire il corpo. Ancora nel 2013, un vecchio gangster, Tony Zerilli, ha indicato un diverso punto della città, ma neppure questa volta gli scavi hanno trovato niente.  

Su Hoffa sono stati girati due film poco aderenti alla realtà, perché nessun magistrato è mai riuscito a fare luce sui retroscena della sua attività sindacale. Il primo, del 1978, è Fist, con Sylvester Stallone, dove i nomi dei protagonisti, a partire da quello di Hoffa, sono stati cambiati per evitare querele. Invece, nel 1992, quando è uscito il film Hoffa: santo o mafioso? (nell’immagine di apertura dell’articolo), con Jack Nicholson, i tempi erano abbastanza distanti per poter chiamare i personaggi con il loro nome.

Oggi la figlia di Jimmy Hoffa, Barbara, fa il giudice, mentre il figlio James è diventato presidente dell’Ibt. Per la Confraternita internazionale degli autotrasportatori, suo padre Jimmy rimane pur sempre un eroe.



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Di Sauro Pennacchioli

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Un pensiero su “JIMMY HOFFA, IL SINDACALISTA DELLA MAFIA”
  1. Tra i film aggiungerei anche The Irishman, diretto da Martin Scorsese qualche anno fa e interpretato, tra gli altri, da Robert De Niro e Al Pacino.

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