Che vi aspettate da lei? Lei è l’Intelligenza Artificiale (IA).

In questi giorni mi è stato chiesto, per un articolo che uscirà su una rivista cartacea, quale fosse il mio punto di vista su quanto detto dal grande animatore Hayao Miyazaki in merito alla IA. Infatti, gira in rete da diversi giorni un commento lapidario dell’autore giapponese: “Le immagini generate dall’IA sono un insulto alla vita”.

Però, se si va a controllare (qui) il contesto in cui è stata fatta questa affermazione ci si rende conto che è riferito alla proiezione di un video davvero brutto dove una figura semiumana si muove in modo “spastico”, e Miyazaki (per quello che posso capire) mi sembra più scandalizzato per la mancanza di rispetto verso chi soffre di quell’handicap che di altro.

Siccome da qualche settimana rimugino sul fenomeno e su quale impatto questo possa avere nel mondo delle immagini, dove lavoro da più di cinquant’anni, ho deciso comunque di dedicare un post alle mie riflessioni sull’argomento. Sia chiaro: non possiedo nessuna verità, faccio solo qualche considerazione personale. Come dicono gli inglesi, my two cents.

Nel quotidiano dibattito che ogni giorno di più vede radicalizzarsi le posizioni tra avversari e sostenitori dell’Intelligenza Artificiale, ritengo utile osservare quanto succede da diversi e separati punti di vista.

Il progresso tecnologico

Non data da oggi l’invenzione di miriadi di strumenti e macchine che servono per rendere più semplice e veloce il lavoro degli esseri umani: dal carro tirato dai buoi al mulino a vento. Le macchine hanno migliorato la vita quotidiana delle persone, in certi casi “distruggendo” dei mestieri.

Pensiamo ai pony express che percorrevano le sterminate distanze tra una città del West e l’altra per recapitare la posta, affrontando pericoli e intemperie. Con l’invenzione del telegrafo senza fili e lo sviluppo delle ferrovie, il servizio è letteralmente scomparso. Che fine hanno fatto quegli audaci cavalieri? Forse sono tutti finiti a piantare pali telegrafici nel deserto o a fare i controllori sul treno.

Le tecnologie, sempre più sofisticate, hanno lasciato dietro di sé macerie di mestieri e persino di intere industrie. Le automobili hanno fatto sparire carrozze, allevamenti di cavalli, stalle e maniscalchi, sopravvissuti nelle ristrette nicchie di concorsi ippici e scuole di equitazione.

Quando pubblicavo con alcuni soci la rivista Fumo di China, ci servivamo di un fotocompositore per mettere in forma di strisciate stampabili gli articoli dattiloscritti dai collaboratori. Quando, quasi subito, passammo al desktop publishing comprando un computer e i necessari programmi di impaginazione, lasciammo di colpo senza lavoro il poveruomo che ci aveva fin lì servito con puntualità e cortesia. E naturalmente non fummo i soli.

La fotocomposizione (che d’altronde aveva a sua volta fatto tabula rasa dei produttori di caratteri a piombo e messo fuori dal mercato la categoria degli operai specializzati che nelle tipografie componevano le righe di testo e le pagine negli appositi telai di legno) divenne di colpo obsoleta. Il nostro fotocompositore, rimasto senza lavoro, finì sotto i ponti? No, lo incontrai qualche anno dopo e mi disse che si era riciclato in service editoriale per chi lavorava con il computer.

Anche il fotolito di cui ci servivamo all’epoca, la Gfb dei fratelli Capizzi di Sesto San Giovanni, dovette affrontare lo stesso problema. Oggi realizza le colorazioni di quasi tutti gli albi a fumetti della Bonelli e di altri editori.

Dunque, le prime considerazioni che si possono trarre è che invenzioni e nuove tecnologie sono quasi sempre inarrestabili, mutano il nostro modo di vivere e distruggono spesso mestieri e metodi di lavoro e di vita precedenti. L’unico modo per sopravvivere ai cambiamenti portati da questi tsunami tecnologici è quello di adeguarvisi.

La natura dell’IA

Una buona fetta del dibattito che impazza in rete verte sulla domanda: quella prodotta dalla IA può essere considerata arte? Per parte mia, non ho alcun interesse per questo aspetto. Sono un ragioniere prestato per passione al fumetto, che ho imparato a fare da autodidatta, e di arte so poco o niente. Ho anche difficoltà ad ammettere che abbia un reale significato chiamare così qualcosa.

Ho l’impressione, per quelli che sono i miei limiti, che se la parola poteva avere un significato fino all’Ottocento, da quando il consumismo industrale ha trasformato tutti noi in clienti, anche l’arte è diventata un’attività mossa prevalentemente da motivi economici. Un mero affare, insomma.

Da diversi anni anche il fumetto è stato assorbito nelle categorie artistiche come opera Concettuale. Se da un certo punto di vista questo riconoscimento può far piacere agli operatori, fin lì considerati solo artigiani al servizio di produzioni editoriali soprattutto da edicola di scarsissimo valore artistico, bisogna prendere atto che la medaglia è stata alfine assegnata a una creatura ormai agonizzante, e dunque ben poco utile.

In ogni caso io non mi sono mai considerato un artista, ma solo un “raccontatore per testi e immagini”. Produco intrattenimento più o meno intelligente, più o meno ben realizzato (magari talvolta con valenze didattiche) all’interno di un meccanismo commerciale, anche se a volte mi dedico alla realizzazione di opere motivate dal puro piacere. Piacere mio e spero, manzonianamente, almeno dei miei venticinque lettori. Dunque, se quanto viene prodotto dalle IA si possa considerare arte o meno, per me è ininfluente.

In questi giorni leggo che “artisti” e organizzazioni di concorsi del settore si sono mobilitati per impedire che opere realizzate con l’IA possano partecipare alle varie competizioni. Mi sembra giusto. Sarebbe come se auto teleguidate partecipassero a qualche Gran Premio di Formula Uno.

Ritengo però che non ci sarebbe nulla di strano se, oltre alle gare coi piloti, venissero organizzate gare riservate ad auto teleguidate o gestite direttamente dall’Intelligenza Artificiale. Se facessero ugualmente spettacolo, perché no? Così, troverei normale che accanto a mostre e concorsi riservati agli artisti “tradizionali” si potessero organizzare esposizioni e competizioni riservate alle opere degli utilizzatori di IA.

Mi interessa invece di più sapere se l’IA si debba inserire nella categoria degli strumenti o se è qualcosa di sostanzialmente diverso.

Non ho mai utilizzato una delle applicazioni che, da MidJourney in là, spuntano ormai come funghi, e tutto quello che so in merito (per sentito dire) è come funzionano: un utilizzatore fornisce al “programma” un testo scritto nel quale definisce in modo più o meno accurato l’immagine che vorrebbe veder realizzata, e “l’Illustratore Digitale” gli spiattella nel giro di pochi istanti vari esempi di quanto ha capito della richiesta.

Più la persona fisica saprà “comunicare” efficacemente con la macchina scrivendo una descrizione (un prompt) funzionale, migliore sarà il risultato rispetto alle aspettative.
In che modo l’IA realizza le sue “opere”? Qui bisogna andarsi a leggere le spiegazioni tecniche di chi è più addentro di me ai meccanismi di programmazione dell’Intelligenza Artificiale.

Da quel che ho capito al momento, non “copia” né “assembla pezzi di” immagini altrui pescate in rete, ma una parte del programma mette insieme dei pixel che un’altra parte del programma verifica essere più o meno attinenti alla richiesta ricevuta, in un continuo (ma rapidissimo) lavoro di realizzazione e correzione del tiro.

In pratica, l’IA è un’autodidatta che sta facendo scuola a sé stessa svolgendo i compiti che le sono stati assegnati dai professori/prompter. E per adesso sta ancora all’asilo. Se date un’occhiata alle immagini che circolano, non prive di “errori” (la difficoltà maggiore sembra essere rappresentata dalle mani, dai visi nei personaggi di sfondo e a volte anche dal numero di arti che scappano qua e là), comincerete ad avere una vaga idea di cosa riesca a realizzare. Datele tempo, e vedremo quello che sarà in grado di fare una volta laureata.

Si tratta dunque di strumenti nelle mani di un prompter, o sono creatori autonomi di immagini? Visto che l’AI non fa niente senza specifiche richieste da parte di un operatore-committente, io propenderei per considerarlo uno strumento. Cambia il modo di operare nel settore come lo cambiò l’invenzione della macchina fotografica rispetto alla pittura.

Se prima solo l’abilità di un pittore poteva consentire di conservare memoria di persone, paesaggi e quant’altro, l’arrivo degli apparecchi fotografici “liberò” la pittura dalla costrizione della rappresentazione del vero facendo nascere, nel bene e nel male, surrealismo, dadaismo, cubismo e quant’altro.

Da allora in poi, il compito di “testimoniare” in immagini la realtà ha potuto svolgerlo chiunque, e anche se è vero che per avere fotografie “artistiche” serve l’opera di un professionista dotato di gusto e conoscenze tecniche particolari, è altrettanto vero che nelle nostre abitazioni esponiamo foto di familiari fatte “in casa” senza problemi né pretese.

Se un tempo solo i ricchi committenti potevano permettersi ritratti di famiglia da tramandare ai posteri, oggi ognuno di noi può farlo. E da quando ci sono apparecchi digitali e smartphone, senza più dover nemmeno investire in costosi e limitanti rullini di pellicola!

Allo stesso modo, per tutta una serie di necessità, l’IA mette nelle mani di chiunque la possibilità di ottenere, scrivendo poche parole, immagini ricche ed emozionanti per gli scopi più diversi.


Il problema etico e il diritto d’autore

Nelle scuole di fumetto (ma anche in quelle d’illustrazione e animazione, e pure nelle scuole statali) gli studenti copiano. Glielo chiedono i loro insegnanti. Per cominciare a “capire” come si lavora, il primo passo è copiare. Disegnare “usando lo stile di”, per prendere pratica dei diversi modi in cui si può realizzare un lavoro, confidando che dalla sperimentazione di diverse mani l’allievo arrivi poi a partorire uno stile personale.

Non diversamente hanno sempre fatto i professionisti. Hugo Pratt si ispirava a Milton Caniff. Il trio EsseGEsse ad Alex Raymond. Pensate che, per questo, avrebbero dovuto pagare dei diritti d’autore alle loro fonti d’ispirazione? Milo Manara e Al Williamson (e pure io, se è per questo) ricalcavano fotografie di fotoromanzi. Dovrebbero riconoscere delle royalty agli attori di quelle pubblicazioni (e a chi li aveva fotografati come pure all’editore)? Un pensiero del genere non ha mai neppure attraversato la mente di chi lavora nel settore.

Ci aspettiamo invece che l’Intelligenza Artificiale “paghi dazio” se si ispira allo stile di Pinco o di Pallino. Perché mai? Diverso sarebbe se copia-incollasse disegni o illustrazioni altrui, ma come abbiamo visto, sembra che non lo faccia, a meno che il Prompter/Descrittore non glielo chieda esplicitamente, e in quel caso sarà l’utilizzatore a doverne rispondere davanti alla legge.

Questo significa che dobbiamo lasciare l’IA libera di andare dove e come vuole? Può darsi che, nell’ambito delle leggi che regolano il Diritto d’Autore e le consuetudini professionali, ci siano dei limiti o degli accorgimenti da adottare per via legislativa o tramite normative di settore stabilite di comune accordo in ambito editoriale o altro.

Per esempio, l’obbligo di segnalare nei credit (come si fa per l’autore e l’agenzia relativamente alle foto) che l’immagine è stata realizzata tramite AI… anche se, considerando il software uno strumento, potrebbe risultare una forzatura: chi chiede a un illustratore di dichiarare se ha usato Photoshop per i propri lavori?


La concorrenza (sleale?)

Entriamo nel punto più dolente della questione: quali riflessi avrà l’utilizzo più o meno massiccio dell’IA nel settore che ci interessa più da vicino, cioè quello dell’illustrazione e del fumetto? Finiremo tutti in strada?

Come ho detto sopra, ogni nuovo strumento e tecnologia spazza via mestieri e professioni precedenti, o le costringe alla sopravvivenza in una nicchia.

Già al momento attuale, con l’IA che frequenta l’asilo, qua e là si iniziano a vedere utilizzi editoriali delle immagini create tramite essa. La “prima volta” in Italia è stata forse un’illustrazione a tutta grandezza su L’Espresso in apertura di articolo. Vi si indicava in didascalia il software utilizzato (MidJourney) e il nome del Descrittore che l’aveva suscitata. Subito dopo, a cogliere la palla al balzo è stato il copertinista di Nathan Never, Sergio Giardo, che l’ha usata per una variant cover della collana.

IA, INTELLIGENZA ARTIFICIALE OFFRESI


Ma all’estero era già stato pubblicato un volume di Dave McKean che raccoglie immagini e anche brevi racconti a fumetti realizzati per mezzo dell’Intelligenza Artificiale.

In futuro, l’utilizzo editoriale non potrà che crescere esponenzialmente. Al di là di chi si divertirà a usarla per il piacere personale (finalmente: è un po’ come dare le gambe a chi è nato senza; dobbiamo temere che corra più di noi?), l’IA verrà sicuramente sempre più utilizzata per copertine e illustrazioni, e a un certo punto anche per fumetti.

Gli illustratori subiscono da qualche decennio la concorrenza delle agenzie fotografiche che, fornendo immagini per copertine di libri e articoli di riviste a prezzi irrisori, si sono mangiate una discreta fetta del mercato rinchiudendo sempre più gli autori nel recinto di quello che esse non riescono a fornire.

Per esempio, se un editore vuole fare un libro per ragazzi sulla vita in Egitto al tempo dei faraoni o realizzare un libro illustrato sulla Divina Commedia non troverà le immagini che gli servono nei cataloghi di un’agenzia di foto e dovrà dunque servirsi dell’opera di un’illustratore, pagandolo secondo l’impegno richiesto.

Quello che le agenzie non riescono a fare, però, può (o potrà presto) farlo una IA, togliendo ulteriore ossigeno alla categoria. A quel punto l’alternativa sarà una sola: fare la fine dei maniscalchi all’arrivo delle automobili o, come il mio fotocompositore e fotolito, allearsi con l’avversario (“Se non puoi sconfiggere il tuo nemico, fattelo amico”) integrando i nuovi software nel proprio lavoro producendo per suo tramite un maggior numero di immagini a prezzi decisamente più bassi.

I più bravi, veloci e già introdotti nel settore toglieranno inevitabilmente spazio ai colleghi meno efficienti. A meno che l’abbassamento dei costi delle illustrazioni non consenta agli editori di stampare più libri che, con prezzo di copertina più basso, troveranno maggiori acquirenti.

Per chiudere tornando a Miyazaki, se quanto gli è stato proiettato non può che aver suscitato in lui disgusto e tristezza, nel settore della produzione di materiale video di tipo realistico l’Intelligenza Artificiale sta già facendo cose eclatanti, e sempre più e meglio. Lo dimostra la band sudcoreana delle Eternity, cinque ragazze che cantano anche se… non esistono.




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