“Una parola decisamente nuova e geniale, quale fino a quel momento non era mai stata assolutamente detta in nessun luogo”.
Questo scrisse Fëdor Dostoevskij in una lettera indirizzata al filosofo Nikolaj Strachov nel 1870 (in Dostoevskij, Lettere sulla creatività, 1991), riferendosi ai racconti di Puškin L’arabo di Pietro il Grande e I racconti di Belkin.

Dieci anni più tardi lo stesso Dostoevskij, il 6 giugno, giorno di apertura delle celebrazioni puskiniane e inaugurazione del monumento eretto sulla via Tverskaja, lesse un discorso divenuto celebre, che si apriva con queste parole: “Puškin è un fenomeno straordinario, e forse un fenomeno unico nell’anima russa, come ha detto Gogol’. Aggiungerò da parte mia: un fenomeno anche profetico”.

IL WESTERN NASCE DA PUŠKIN
Aleksandr Sergeevič Puškin (1799-1837), nel volto si intravedono i lineamenti ereditati dagli avi etiopi di parte materna

 

Il 26 maggio (rifacendosi al calendario Giuliano, utilizzato allora in Russia, poiché secondo il calendario gregoriano oggi utilizzato diventa il 6 giugno) cade l’anniversario della nascita di Aleksandr Sergeevič Puškin, che venne alla luce a Mosca nel 1799.
I genitori erano Sergej Puškin, discendente da una famiglia di antichissima nobiltà, e Nadežda Gannibalova, nipote del principe abissino Ibrahim Hannibal.

Puškin morì il 27 gennaio del 1837, ucciso da un colpo di pistola in duello dal barone francese Georges D’Anthès.
Lo scrittore, roso dalla gelosia, l’aveva sfidato ritenendolo l’amante della moglie, la bella Natalja Goncarova, che aveva sposato quando la ragazza aveva diciotto anni e dopo che lei aveva respinto la prima proposta di matrimonio.

Dedicandosi alla prosa, come ha scritto Serena Vitale, Puškin “creò il linguaggio (non solo in senso lessicale) della narrativa”. Un capolavoro dell’altro gigante della letteratura russa, Gogol’, Le anime morte, su cui lo scrittore lavorò per ben diciassette anni, era ispirato a Puškin.

“Pietra miliare della letteratura russa”, secondo Valeria Bottone, Puškin è stato il padre della migliore narrativa d’avventura, dallo Stevenson di Il signore di Ballantrae al Conrad di Lord Jim.
Quasi tutte le opere di Puškin raccontano vicende di guerra, con assedi, atti eroici, combattimenti, e non mancano nemmeno le situazioni sentimentali. Di conseguenza, anche il cinema deve molto alle invenzioni puskiane.

Prendiamo uno dei racconti lunghi più belli di Puškin, Dubrovskij (scritto tra il 1832 e il 1833 e uscito postumo nel 1841). Ne sono stati tratti alcuni film.
Tra gli altri, Aquila nera, diretto nel 1946 da Riccardo Freda. Uno dei maggiori successi del regista, nonostante l’iniziale difficoltà a trovare un produttore: “Nessuno credeva che in Italia si potesse riprodurre l’ambiente russo e cosacco dell’Ottocento” (Riccardo Freda, Divoratori di celluloide, Edizioni Il Formichiere, 1981).
Nel 1959 esce la coproduzione, realizzata da Italia, Jugoslavia e Germania Ovest, Il vendicatore, per la regia di William Dieterle.

Entrambe le pellicole, per la verità, non sono del tutto fedeli al testo puskiano, che non ha un finale lieto.
Il protagonista, Vladìmir Dubròvskij, divenuto un bandito per vendicare la morte del padre, non riesce a sposare Màr’ja Kirìlovna, figlia del suo nemico, di cui è innamorato e che lo ricambia. Cosa che invece ovviamente accade nei film.

Al di là di quelli tratti ufficialmente dal racconto, in Dubròvskij si possono trovare sviluppi e personaggi che hanno senza dubbio ispirato vari film, soprattutto western.
A un certo punto del racconto Vladìmir incendia la casa padronale appartenuta alla propria famiglia piuttosto che lasciarla all’usurpatore Kirìla Petròvič.

Si comporta più o meno alla stessa maniera il colonnello sudista James Langdon in I due invincibili (The Undefeated, Usa 1969), diretto da Andrew W. McLaglen e interpretato da John Wayne e Rock Hudson. Brucia la tenuta di sua proprietà per non vederla confiscata dai nordisti vincitori.

In un altro western con John Wayne, L’uomo che uccise Liberty Valance (The Man Who Shot Liberty Valance, Usa 1962), di John Ford, lo sceriffo pusillanime Link Appleyard (Andy Devine) non trova il coraggio di arrestare il bandito Liberty Valance (Lee Marvin), che terrorizza la piccola città di Shinborne.

IL WESTERN NASCE DA PUŠKIN

In un brano del racconto di Puškin, si legge il seguente dialogo.
“Ebbene, signor commissario, lo acchiapperete presto Dubrovskij?”.
Il commissario si spaventò, s’inchinò, sorrise, s’impappinò e, alla fine, proferì: “Faremo del tutto, eccellenza!”.
“Uhm! Faremo del tutto! Da un pezzo, da un pezzo fate del tutto per liberare la nostra regione dai briganti, ma non ne viene fuori nulla”.

La somiglianza tra il commissario di Puškin e lo sceriffo di Ford è piuttosto evidente.
Come risulta evidente, infine, che alla base di Wade Hunnicutt, protagonista del film di Vincente Minnelli A casa dopo l’uragano (Home from the Hill, Usa1960), ci sia Kirìla Petròvič.
Anche se il ricco proprietario del Sud e padre dispotico interpretato da Robert Mitchum è più morbido del personaggio creato da Puškin, prototipo di tanti “cattivi” dei western e non solo.

 

 

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