IL TURCHESE MALEDETTO

“Il turchese maledetto” è un fumetto scritto e disegnato da Laurent Theureau, uscito in Italia nel 1997 nella collana L’Eternauta presenta della Comic Art. In Francia, i quattro episodi da cui è costituito erano stati pubblicati dalla rivista (A suivre) dell’editrice Casterman tra il 1992 e il 1994, e poi raccolti nel volume “La turquoise maléfique” nell’agosto del 1994.


Per la precisione l’episodio intitolato “Florida Shuffle ’65” in Italia fu pubblicato sul numero 115 di Corto Maltese della Rizzoli nell’aprile 1993, appena due mesi dopo l’edizione originale sulla rivista francese.
La rivista diretta da Fulvia Serra non accompagnò il fumetto con una presentazione: nell’editoriale si limitava alla constatazione un po’ piagnucolosa che la sorte del giornale era ormai segnata (la sua fine avverrà nel luglio di quell’anno), né vi era la consueta nota redazionale introduttiva. Quel fumetto buttato lì senza la “legittimazione” della redazione, alla quale il lettore era abituato, sembrava effettivamente abbandonato a se stesso e destinato a passare inosservato.

La collana L’Eternauta presenta, a sua volta, per abitudine non riportava nessuna informazione sui fumetti e gli autori che presentava. L’Eternauta presenta è il proseguimento della rivista L’Eternauta, che nel 1995, dal numero 149, diventa un albo monografico. Contestualmente l’altra rivista dello stesso editore, Comic Art, dal numero 131 del settembre 1995 fino al numero 143 cambia testata in L’Eternauta & Comic Art. Trasformazioni ed esperimenti pasticciati nel disperato tentativo di adeguarsi a un mercato che nel giro di pochi anni costringerà le riviste antologiche “di prestigio” a chiudere una dopo l’altra.

Quindi “Il turchese maledetto” viene presentato nel momento sbagliato, malgrado si tratti di un prodotto originale, maturo e compiuto che avrebbe senz’altro meritato più attenzione. E con il trascorrere del tempo è stato raggiunto dall’oblìo quasi totale.

La storia del Turchese, suddivisa in quattro parti autoconclusive ambientate dal 1919 al 2027, segue le tracce del gioiello che gli dà il titolo: un antico pendente che passa di mano in mano e i cui poteri soprannaturali condizioneranno irreversibilmente le vite dei possessori.


Oltre al gioiello che fa da filo conduttore, la storia ha elementi trasversali che arricchiscono la trama e ne moltiplicano le possibili interpretazioni.
Non è chiaro se i poteri del turchese siano reali e questo forse non è neppure importante. L’amuleto è semplicemente presente in tutte le fasi della storia, testimone silenzioso e inanimato. Lo ritroviamo appeso al collo dei vari inconsapevoli personaggi e la vera magia che è in grado di evocare è la complicità che si crea tra il lettore e questo misterioso oggetto.

Lo sfondo dei racconti è il deserto, nelle sue diverse rappresentazioni. C’è quello tradizionale e polveroso del Nuovo Messico e dell’Arizona abilmente tratteggiato da Theureau nei primi due capitoli, dove l’ancestrale equilibrio che i nativi hanno instaurato con la natura viene grossolanamente calpestato dall’insensibilità degli occidentali. C’è poi il deserto urbano nelle ampie e vuote architetture di lussuose e inaccessibili abitazioni: la villa sotterranea di fronte a Cape Canaveral, dove nel terzo episodio si consumerà un delitto dai risvolti inquietanti, e la casa immersa in un lago dell’Oregon, nell’ultimo capitolo, dove vive l’eccentrico collezionista di sveglie tutte uguali, disposto a tutto pur di completarne la serie. E c’è poi il deserto interiore, quello che ognuno dei protagonisti si trascina con cinismo e rassegnazione.

In questi luoghi di sabbia e silenzio a muoversi con naturalezza sono soltanto i nativi superstiti, e ancora di più gli spiriti dei loro avi (i cosiddetti Chindi), con cui deve fare i conti chi ne attraversa il territorio.
Un incontro-scontro tra due visioni della vita che poco o niente possono condividere.


Così, l’archeologo che riceve il turchese in regalo da un indiano zuni riesce forse a conquistare il favore dei Chindi, ma non a vincere gli incubi con cui il suo lavoro lo costringe a confrontarsi giornalmente. E la disinvoltura con cui il cantante folk attraversa il deserto (e la vita) gli permetterà di raggiungere il successo a Hollywood, ma non di decodificare l’inquietudine che lo pervade quando ritrova qualcosa di sé nelle avventure a fumetti di “Bullit Joe” di cui è avido lettore. Bullit Joe è un ingenuo cagnolino tormentato dall’invadente generosità dell’amico Pinguinuin, che nel quarto capitolo (ormai un racconto di “fantascienza”, dato che siamo nel 2027) diventa l’ossessione del collezionista miliardario. Ma è proprio una tavola ingiallita e rovinata del vecchio cartoon che distrae l’ultimo killer solitario e lo rende vulnerabile. Perché “Il turchese maledetto”, tra tutte le possibili chiavi di lettura, ha anche quella della celebrazione del fumetto, che riesce puntualmente a catturare l’anima del lettore, e nel momento stesso in cui la imprigiona la consegna all’immortalità.


Il Turchese è un fumetto che parla di fumetti, quindi. Ma non per quel capriccio autoreferenziale che talvolta è il comodo alibi di chi, non avendo niente da raccontare, sa parlare solo di sé e del proprio mondo professionale. Qui la tavola domenicale, che riproduce la grafica e l’umorismo degli anni quaranta, è elemento essenziale per lo svolgimento dei fatti.
Bullit Joe è letto un po’ da tutti e la sua fama è in crescita continua. Nell’ultimo capitolo scopriremo che il bonario bull terrier diventerà protagonista di un cartone animato della Rko e le insignificanti sveglie con il suo logo, prodotte ottanta anni prima, raggiungono quotazioni esorbitanti. C’è un dettaglio che da subito allarma il lettore attento: anche Spoky, il cane dello spregiudicato Doc Mac Donald, protagonista del secondo episodio, è un bull terrier. Una coincidenza innocua, sicuramente.


Ma sono le coincidenze che ci indicano nuove possibilità e suggeriscono riflessioni. Spoky morirà dopo qualche pagina, ma il suo alter ego di carta proseguirà le sue avventure indisturbato. I due mondi, però, continueranno a sfiorarsi e richiamarsi a vicenda. Lo stesso turchese maledetto si ritrova misteriosamente protagonista di una storiella di Bullit Joe, in un geniale corto circuito spazio-temporale.


Laurent Theureau, nato a Tours nel 1965, appartiene alla generazione di autori francesi che concretizza la nuova concezione di fantascienza e fantasy tramite la casa editrice Les Humanoïdes Associés, fondata tra gli altri da Moebius e Jean-Pierre Dionnet. È proprio grazie a Dionnet che Theureau inizia a pubblicare fumetti su Metal Hurlant, la rivista dei Les Humanoïdes. Non è un autore particolarmente prolifico. Nella sua bibliografia, oltre a “Il turchese maledetto” ci sono solo altri tre albi: “Ciao, Jessica”, su sceneggiatura di Patrick Galliano; “L’angelo della misericordia” e il primo capitolo di “Dei e uomini” sceneggiati da Dionnet.

Nelle pagine del Turchese, il fatto di essere autore di se stesso gli permette forse di esprimersi al meglio. Nei suoi disegni ogni dettaglio è importante. Molti elementi che inizialmente appaiono abbellimenti fini a se stessi rivelano il loro significato nelle letture successive, perché i diversi racconti si intrecciano l’un l’altro, i personaggi si citano, gli eventi si concatenano.

Le tavole doppie, che raccordano gli episodi successivi, sono delle storie a sé, indispensabili per seguire il contorto percorso dell’amuleto stregato.

L’autore rivela una grande abilità di regista, oltre che di sceneggiatore: la sua visione dei fatti avviene dall’alto, il controllo degli eventi è totale. Solo apparentemente i personaggi esauriscono il proprio ruolo alla conclusione del capitolo che li riguarda: ognuno ha qualcosa da trasmettere al futuro, ognuno lascia tracce suo malgrado, ognuno continua a vivere per sempre, come sanno fare solamente gli eroi dei fumetti. E i fantasmi dei nativi.

 

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