punto di vendibilità

Cos’è il punto di vendibilità?
Mi capita abbastanza spesso di trovare sulla rivista FilmTV commenti e riflessioni sul cinema che si adattano perfettamente anche al fumetto.

Alcune settimane fa il sempre acuto Filippo Mazzarella, nella sua rubrica Mulholland drive, ha affrontato l’argomento del “selling point”, punto di vendibilità, che il dizionario Cambridge così definisce: “A characteristic of a product that will persuade people to buy it”. Cioè, per i non anglofili, “la caratteristica di un prodotto che persuaderà il pubblico ad acquistarlo”.

Se questo elemento è importante per il prodotto film, credo non lo sia da meno per il prodotto fumetto.

Ma qual è il punto di vendibilità del fumetto? Quale è stato in passato e quale è o può essere oggi, in un momento di crisi del medium che lo vede relegato a interesse per ultracinquantenni?

Un tempo i “giornalini” erano, come li definiva Sergio Bonelli, un po’ il “cinema dei poveri” (ecco l’affinità tra i due media che ritorna). In una Italia povera che usciva da una guerra disastrosa e poi negli anni del boom industriale, con una cinematografia il cui punto di vendibilità erano le storie e non certo gli effetti speciali, tutti abbastanza artigianalmente “poveri”, il fumetto, poco costoso e potenzialmente senza limiti quanto a “effetti speciali”, poteva ben rivaleggiare con il concorrente in pellicola.

 

punto

Fin negli anni settanta, le possibilità di mostrare in modo convincente il fantastico sulle pagine disegnate erano decisamente maggiori che non sul grande schermo. Ricordo i film dell’Uomo Ragno di quel periodo: uno spettacolo penoso (anche se, per essere sinceri, in America erano trasmessi dalla televisione). Per far credere che si arrampicasse sui muri facevano camminare l’attore a quattro zampe su un pavimento disegnato a mattoni e poi raddrizzavano l’immagine. Non ci poteva credere nessuno, mentre nelle immagini di John Romita, per dirne uno, Peter Parker volava davvero tra i grattacieli appeso a una ragnatela, e si arrampicava sui muri. La differenza di spesa faceva il resto e pesava sulla bilancia delle preferenze anche nei confronti dei cartoni animati che, se ben fatti, dal punto di vista della “credibilità del fantastico” rivaleggiavano senza problemi (anzi, con il vantaggio del movimento) con il fumetto. Due selling point in una botta sola. Sulle storie, invece, cinema e fumetti se la giocavano alla pari: erano i bravi sceneggiatori a determinare, per parte loro, il “punto di vendibilità”.

Oggi la situazione è ribaltata. Già negli anni ottanta la massiccia invasione degli anime sulla Rai e sulle reti private hanno dato una mazzata al medium cartaceo: erano gratis e vincevano su molti altri fronti.

 


Quando a questi cartoni si sono aggiunti i videogiochi e poi i film “recitati digitalmente” (“Jurassic Park” ha reso più reali del reale le creature più fantastiche di sempre, i dinosauri), per il fumetto italiano è iniziata l’agonia.


Non più cinema per i poveri, non più contenitore insuperabile della fantasia più sfrenata, ha smesso di essere appetibile per le nuove generazioni che sono andate a cercare altrove l’intrattenimento senza degnare più nemmeno di uno sguardo la Nona Arte.

Eccoci così alla domanda delle cento pistole: quale può essere oggi il selling point del fumetto?

A proposito del cinema, Mazzarella si chiede: “Bastano, nell’ordine, il look GoPro/YouTube, un fenomeno di semi-nicchia come Zerocalcare, il metacinema con cast composito, il teatro filmato da un racconto di Pessoa, un mezzo scimmiottamento di Poveri ma ricchi, una coppia di comici tv semi-carneadi, Abatantuono in Svizzera, e un ennesimo libro di Luca Bianchini adattato con primi nomi in cartellone Preziosi e la Felberbaum? Non sto entrando nel merito del valore del film, alcuni di questi sono anche rispettabili: parlo di selling point. La risposta è no. E ovviamente quasi tutti vanno male”.

Si può parafrasare l’intera riflessione sostituendo ai film citati uscite fumettistiche come Il commissario RicciardiDeadwood DickMercurio Loi, le storie di Topolino con il Totti o il Montalbano di turno disneyzzati, o serie pluridecennali che scimmiottano libri, film e telefilm di successo sperando di prendere almeno una fettina del loro successo?


In chiusura del suo articolo, Mazzarella aggiunge: “Noi che i film dobbiamo solo vederli ci chiediamo ovviamente come sono; ma sarebbe bello che qualcuno a monte si chiedesse anche per chi sono”.

Già. I fumetti che escono attualmente, per chi sono? Il dibattito è aperto.
(Per intellettuali ed esperti del settore, non certo per il pubblico generico – NdR).

 

9 pensiero su “QUAL È IL PUNTO DI VENDIBILITÀ DEL FUMETTO?”
  1. Ma voi sapete perchè la bonelli non ha mi provato a fare un fumetto sul calcio? Penso venderebbe a meno di non fare cazzate(la polizia fascista mena poveri ultra innocenti, l’asso della squadra è un povero nero o mussulmano messo ai margini ecc )

  2. Tutti i vecchi media sono più o meno in crisi con l’avvento dei computer, del web e soprattutto dei telefonini (intrattenimento portatile come i fumetti), però di fatto la crisi non morde in tutte le nazioni come in Italia, quindi il problema forse non è il media ma il tipo di mercato. In Giappone il fumetto non è in crisi e neanche il meccanismo tutto particolare di quel paese con le produzioni animate che seguono parallelamente i manga e che prosperano anche solo con il mercato nazionale. La Francia attraversa fasi altalenanti ma dalla sua ha di meglio, rispetto all’Italia, la presenza di molti editori grossi e altrettanti medio piccoli, inoltre muovendosi da sempre sul mercato delle librerie non teme la crisi dell’edicole. Negli Stati uniti il fumetto è in crisi quanto in Italia ma anche li gli editori grossi sono almeno due o tre. In sostanza il mercato italiano è quello messo peggio.

    P.s. E’ un po’ che non seguo il mercato Argentino ma la crisi economica di quel paese e l’esodo dei suoi autori verso gli Stati uniti e l’Italia (Tex) mi fa pensare che anche li le cose non vadano troppo bene.

  3. in Italia i fumetti vanno male perchè propongono sempre personaggi depressi, perdenti e schierati a sinistra. L’unico che va bene infatti è Tex

  4. Vanno male perché non seguono gli interessi dei lettori o probabili lettori ma degli autori/revisori.
    Io sono un appassionato di Zagor ma ho 28 anni e lo conosco causa mio padre che me ne parlo a 14 anni. Ho seguito della bonelli anche orfani (e adorato volto nascosto e seguito perché c’era un italiano invece di uno straniero, con la possibilità di sapere di piú del mio paese) ma come hanno ucciso il mio personaggio preferito nella seconda stagione ho smesso.
    Ho iniziato a 16 a leggere marvel (Wolverine e Deadpool come mensili ma ho smesso anni fà) e seguo alcuni personaggi che secondo me dovrebbero avere piú spazio che invece negli anni precedenti hanno diminuito (Punisher e Ghost Rider di cui ho tutta la produzione italiana o quasi).
    Adesso sto passando a batman che ritengo piú allineati ai miei interessi specialmente nella parte Detective.
    Ho letto topolino fino a qualche mese fà e ne ho circa 2400 numeri.

    Tutto questo per dire che ad oggi o leggo fumetti del passato di edizioni vecchie come sturmtruppen o di altri autori francobelghi come Blake & Mortimer.
    Perché il linguaggio dei fumetti é pensato per i 50enni e non per i giovani, oltre che le storie stesse. Basta vedere le tematiche delle serie tv di netflix per capire che gli interessi non sono piú il western ma fantascienza o horror. Infatti la bonelli sul secondo fronte tra dylan dog, dampyr, morgan lost ecc ha colmato mentre sulla fantascienza possiamo dire Nathan never (che se avessi spazio mi farei tutta la collezione), Orfani e anche Martin Mystere.

    Prendiamo gli editori che ad oggi fanno solo copie cartonate che costano il triplo che io odio (oltre al fatto che pesano) e quindi prendo solo quelle brussorato. Tanto nella mia libreria sono belli uguali e con gli stessi soldi ne prendo due. Lo stesso motivo per cui non sto prendendo i nuovi volumi cartonati di Zagor.

    CHiaro oramai che il pubblico dei fumetti è per i “vecchi” e che hanno soldi. Io a 14 anni andavo di paghetta o con lavoretti per i fumetti ma ad oggi che hanno tutti gli smartphone la paghetta la spendono in altro e mica fanno i lavoretti, figuriamoci poi per della roba che non gli interessa.

    Scusate il commentone ma ci voleva 🙂

  5. Interessanti considerazioni. Mi chiedo, però, se sia corretto ragionare in termini temporali istantanei per un fumetto seriale. Voglio dire che, una volta raggiunto il punto di vendibilità, il fumetto seriale gode di un (relativo) privilegio rispetto alle opere “fatte e finite”, quello di poter contare su una platea disposta a perdonare (entro certi limiti) picchi negativi di vendibilità nei singoli episodi.

  6. e se si ammettesse che il fumetto classico, cioè il fumetto, è morto? come se stessimo qui nel 2019 a scrivere tonnellate di sonetti in stile petrarchesco perché quelli del Petrarca/Walt Disney erano belli; io ci provo a comprare fumetti attuali, li compro e poi li rimando indietro ad Amazon perché sono piuttosto brutti, disegni manierati, storie che ho già letto e straletto e che ti dimentichi subito – anche perché manca la serialità; buona parte dei fumetti che ho letto da piccolo li ho letti per fortunata disperazione; la televisione era “Il magico Alverman” quando andava bene, tre quarti d’ora alla settimana, e va bene leggere “L’isola del tesoro” e “Alice”, ma una volta letti erano letti, e poi? anche il cinema, un paio d’ore alla settimana, e poi? per un bambino-ragazzino urbano non c’erano campi in cui correre e giocare a pallone, quindi e poi fumetti, costavano poco e c’era il percorso degli acquisti: prima Topolino, poi l’Almanacco di Topolino, poi con horror vacui crescente gli Albi di Topoplino e se proprio proprio Nonna Abelarda; Linus & C. furono una salvezza, c’era tanto da leggere, ma davvero tanto, fino alle recensioni dei libri, e poi Dick Tracy era scritto piccolo, durava un sacco; lo stesso più avanti, Monello, Intrepido, Corrierino, costavano poco e si leggeva per ore e ore; i fumetti che vedo in giro adesso sono roba da fighetti che pensano di acculturarsi in modo giusto, ma suvvìa, i fumetti erano intrattenimento puro, contribuivano a crearsi mondi interiori fantastici, la notte sognavo di vivere a Paperopoli e da ragazzino ammiravo Crystal per il suo machismo delicato; come per tanti se sono sopravvissuto al mondo del lavoro lo devo a Bristow; e via di fumetti di guerra, quelli western, ecc.; i fumetti di adesso non raccontanto storie, sono barocchismi narrativi e grafici fini a se stessi e costano troppo, insomma due palle così; se avessi oggi da cinque a vent’anni non leggerei manco morto un fumetto, e farei bene;

  7. E se invece ad essere in crisi non è il mezzo ma il contenuto UChe poi è un pò quello che dice Antonini ) ?
    In Italia poi non siamo mai stati in grado di creare grandi personaggi, e lo di mostra che da noi, molti dei grandi successi editoriali a fumetti, erano legati a personaggi stranieri (Asterix, Superman, Uomo Mascherato, Mandrake, Topolino, Braccio di Ferro.. ) .
    Quelli made in italy che hanno fatto il botto, chi erano ?
    Capitan Miki, Blek, Diabolik, Kriminal, Satanik, Alan Ford , Ranxerox , Zanardi , Dylan Dog, Tex, Zagor , Nonna Abelarda, Geppo e…. e basta (Zerocalcare non lo conto perché lui parla di se stesso e dei suoi amici , non ha “inventato” nulla ).
    Un pò pochi, in 100 anni di fumetto , no ?
    Magari dimentico qualcuno , ma non credo chissà quanti da far la differenza .
    Specie se li confrontiamo con tutti quelli creati da americani e nipponici.
    E di questi personaggi menzionati , ben pochi brillano per fantasia ( nel senso che , a parte forse i fumetti ” neri ” , non hanno creato un genere a livello mondiale , come i supereroi americani, o i robot giappoensi ).
    Insomma, lo ribadisco : il difetto micidiale del fumetto italiano, è che non c’è gente capace di creare persanaggi “giusti ”
    D’altronde non sappiamo fare neppure i film “giusti “, i telefilm “giusti “, o i cartoni “giusti ” (tranne le Winx, ma scoppiazzando Sailor Moon ed Harry Potter . Insomma per fare qulcosa di buono, sempre all’ estero dobbiamo guardare , mai anticipare ).

    1. “Magari dimentico qualcuno” … robetta, Corto maltese e Valentina che poi sono anche tra i pochi venduti all’estero e ristampati in Italia di continuo (pure troppo).

  8. Sam, credo che sia già stato un miracolo se in Italia sono potuti nascere personaggi come Diabolik e Alan Ford; sulla censura morale del fumetto in Italia è stato scritto molto, eppure provo ancora stupore quando la incontro direttamente: leggevo ieri alcuni scritti del tanto osannato Adriano Olivetti e a proposito della costruzione di una nuova società cultural-social-cristiana sono arrivato a questo capoverso: “Affinché questo fosse possibile [la formazione di una coscienza personalista, e comunitaria] era necessario anzitutto elevare il grado di cultura di quegli uomini sperduti che, dopo il fugace contatto della giovinezza con il maestro elementare e più tardi le avventure dei giornali a fumetti, avevano completamente perduto il contatto con la forza liberatrice della cultura”; noi qui su GP siamo almeno in parte “uomini sperduti”; difficile che in un clima politico e culturale di questo genere potesse svilupparsi una vera e propria scuola fumettistica; d’altra parte la stesssa cosa è accaduta per la letteratura poliziesca – il “giallo”: genere letterario nobile e popolare negli Stati Uniti, in Italia è sempre stato declassato a lettura da treno, addirittura i Gialli Mondadori e affini non sono neppure libri ma periodici – con qualche vantaggio fiscale, certo, ma anche a indicare che non sono cose da tenere, ma da buittar via un avolta consumate; e così a parte qualche mediocre giallista degli ultimi tempi, nessuno scrittore italiano ha mai scritto alcunché sul genere, e anche Scerbanenco poverino, insomma, non è stato un granché; ma questa è un’altra storia;

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