Il Punitore (The Punisher) è il flagello della malavita dell’Universo Marvel. Il suo vero nome è Frank Castle, un ex berretto verde che ha giurato guerra al crimine organizzato dopo aver perso la famiglia durante un regolamento di conti tra cosche mafiose.
Ma è veramente solo per questo?

 

Le origini del Punitore

Il Punitore è uno di quei personaggi occasionali che ha un successo inaspettato perfino al suo creatore, com’è accaduto anche nel caso di Wolverine.
Come il mutante con gli artigli, nato come avversario occasionale di Hulk, il Punitore compare per la prima volta in Amazing Spider-Man n. 129, creato dallo sceneggiatore Gerry Conway e dal disegnatore Ross Andru, sebbene il bozzetto originale del personaggio sia dell’art director John Romita Sr.
Nasce come sicario dello Sciacallo, che lo ingaggia per eliminare l’Uomo Ragno, accusandolo di essere l’assassino di Norman Osborn.

IL PUNITORE DELLA LINEA MARVEL MAX

Il suo primo scontro con l’Uomo Ragno lo mostra come un antieroe con un forte senso dell’onore.
Dopo aver capito di essere stato manovrato dallo Sciacallo, il Punitore se ne va lasciandosi alle spalle l’immagine di un duro solitario e misterioso.

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I fan rimangono colpiti da questo tenebroso personaggio e ne vogliono sapere di più.
Così il Punitore inizia ad avere insoliti team-up con lo stesso Uomo Ragno, con Capitan America e soprattutto Devil, specie durante la gestione di Frank Miller.

Lo sceneggiatore Gerry Conway afferma di avere preso ispirazione da Mack Bolan, il protagonista della lunga serie di romanzi intitolata The Executioner, scritta da Don Pendelton a partire dal 1969. Mack Bolan è un veterano del Vietnam che diventa un killer di criminali in seguito alla morte dei suoi familiari.

L’origine del Punitore infatti, è la medesima. Figlio di due emigrati siciliani, Frank Castle (nato Castiglione) è un ex berretto verde che ha visto la propria famiglia uccisa in un regolamento di conti tra mafiosi durante un pic nic a Central Park. In seguito alla tragedia, Frank decide di dedicare la propria vita allo sterminio dei criminali.

Visto il consenso ottenuto presso il pubblico, la Marvel negli anni ottanta gli dedica alcune serie personali: The Punisher, Punisher War Journal e Punisher War Zone, sulle cui pagine si sono alternati nel corso degli anni disegnatori di prima grandezza come Mike Zeck, Joe Kubert, Klaus Janson, John Romita Jr., Jim Lee e Mark Texiera.

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Il Punitore agisce in maniera diversa dagli altri eroi Marvel: vede il mondo in bianco e nero e si erge a giudice, giuria e boia dei criminali.
Questo lo mette in contrasto con la maggior parte dei supereroi, con cui spesso è in conflitto ideologico anche quando combattono dalla stessa parte.

Freddo, imprescrutabile, spietato, il Punitore non fa prigionieri e non conosce giurisdizione.
Le sue avventure sono state raccolte in Italia in una serie a lui dedicata della Star Comics, con spesso in appendice le storie di altri personaggi tenebrosi come Nomad e Foolkiller.

Il Punitore viene pubblicato con regolarità dal 1984 al 1995, anno in cui le sue serie chiudono per scarse vendite.
La Marvel prova a rilanciarlo in chiave “occulta” con la miniserie Punisher: Purgatory in cui, dopo la sua morte, Frank viene resuscitato dagli angeli del paradiso come loro sicario di demoni!

La serie scritta da Christopher Golden, che pure può contare sui disegni di Bernie Wrightson, si rivela un fiasco di lettori e di critica. Pure gli autori che in passato hanno lavorato sul personaggio si dicono contrariati, ritenendo che l’idea sia pessima e snaturi completamente il personaggio.

 

L’arrivo di Garth Ennis

Nel 2000 la Marvel affida il Punitore alle mani dello sceneggiatore Garth Ennis, un nordirlandese di Belfast, creatore dell’irriverente Preacher e sceneggiatore di Hellblazer e Hitman per la Dc Comics.
Ennis riporta il personaggio alle origini, ovvero quello di uccisore di mafiosi a New York, dimenticandosi la parentesi “mistica”.

Caratterizza la serie con il suo stile a metà tra il cinema di Tarantino e quello di Danny Boyle (regista di Trainspotting), fatto di humor nero e personaggi grotteschi.
Il Punitore si batte con la cosca mafiosa degli Gnucci, guidati dalla matriarca Mà Gnucci, una sorta di incrocio tra Crudelia de Mon e Al Capone.

Ha a che fare con sicari bizzari quanto improbabili come il Russo, un bestione indistruttibile che verrà addirittura resuscitato come Cyborg con due enormi seni nel corpo da bodybuilder.

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La serie è all’interno della regolare continuity Marvel, in cui non mancano gli incontri con l’Uomo Ragno, Devil e Wolverine.
Garth Ennis, che non ama particolarmente gli eroi in calzamaglia, a questi supereroi fa fare delle figure barbine: vengono malmenati o comunque umiliati dal più serio e pragmatico Frank.

La scena in cui il Punitore incatena Devil a un comignolo e gli tiene una lezione sul fatto di eliminare o meno un mafioso è stata ripresa nella serie Netflix dedicata all’eroe cieco.

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Non mancano personaggi di contorno pittoreschi come il detective Soap, il poliziotto più sfortunato della città, e i vicini di casa di Frank, quali l’obeso Mr. Rotondi, il fissato con i piercing “Spacker” Dave e Joan “il topo”, una donna tanto fragile quanto insicura.
Questo ciclo di storie ispira in parte il film The Punisher del 2004, con Tom Jane nella parte di Frank Castle e John Travolta in quella del villain di turno.

La serie di Ennis, disegnata da Steve Dillon, ottiene un successo di critica e pubblico riportando in auge il personaggio dopo il passo falso del 1995.

La serie prosegue con successo fino al 2004, ma è nel 2005 che lo scrittore di Belfast va oltre, spingendo il piede sull’acceleratore.

 

Il Punisher Max

La linea Max è stata creata dalla Marvel per dare agli autori maggiore libertà d’espressione, realizzando fumetti rivolti a un pubblico adulto.
La serie di questo Punitore non è in alcun modo legata alla continuity classica dei supereroi, in quanto è ambientata in una linea temporale a parte.
Questo permette a Ennis di illustrare un mondo iperrealistico senza superuomini e tecnologie fantascientifiche.

In tal mondo Ennis descrive Frank come un uomo invecchiato in tempo reale.
Ha combattuto in Vietnam, dunque va per la sessantina.
Si tratta di un uomo ancora più freddo e indurito dalla vita rispetto al personaggio classico, spesso raffigurato con i tratti di Clint Eastwood.

Garth Ennis abbandona il suo tipico umorismo grottesco per narrarci un mondo oscuro dove la violenza non risparmia gli innocenti, che spesso muoiono in maniera violenta. Morte violenta che Castle restituisce ai criminali.

Nella visione del mondo del Punitore non c’è mai una sfumatura di grigio.
Non c’è alcuna speranza di redenzione per i criminali. Non patteggia con loro, li elimina con i metodi più spietati, talvolta ricorrendo alla tortura.

Spesso viene anche ferito durante le sue rappresaglie, ed Ennis è bravissimo nel descrivere il dolore di un uomo non più giovane alle prese con “bastardi che hanno la metà dei suoi anni”.

Durante il suo lungo ciclo al timone della serie per l’etichetta Max, Ennis mette il Punitore in lotta non solo con la mafia italoamericana e i gangster locali, ma anche con personaggi legati all’Fbi e al Kgb, terroristi mediorientali, schiavisti dei balcani e terroristi dell’Ira.
Nessuno dei suoi avversari, ben caratterizzati da Ennis, riesce a salvarsi.

Menzione a parte merita Barracuda, l’enorme mercenario afroamericano che per il suo turpiloquio e il macabro senso dell’umorismo si avvicina di più ai tipici personaggi di Ennis.
Barracuda è l’unico avversario ricorrente del Punitore, e anche il protagonista di una serie personale sempre a firma di Ennis, prima di incontrare la fine per mano del Punitore.

Lo scontro tra i due è brutale e all’ultimo sangue, senza esclusione di colpi, ma alla fine anche il temibile Barracuda cade davanti a Frank Castle.
“Perchè sei una barzelletta dopotutto, e lui è l’uomo più pericoloso mai esistito”.

Garth Ennis, appassionato di storie belliche, è anche l’autore della drammatica miniserie Born, in cui narra la storia di Frank Castle durante la Guerra del Vietnam.
Frank è di base a Valley Forge, l’ultimo avamposto Usa in Cambogia.

La base è in totale degrado, composta perlopiù da comandanti menefreghisti e disillusi e soldati indisciplinati. Frank è intenzionato a mantenere il controllo della base e impedire l’avanzamento del nemico. Non vuole essere rimpatriato, dato che in Vietnam ha preso gusto a uccidere.
Per impedire la chiusura della base, fa uccidere un generale intenzionato a sbaraccare, portandolo a tiro dei cecchini vietcong.

Nei dialoghi con una sorta di “demone interiore”, Frank pare intenzionato a portare avanti una guerra che, in cuor suo, vorrebbe durasse per sempre.
Durante una battaglia sotto il bombardamento al napalm degli aerei americani, in un inferno di fuoco, Castle dichiara al suo demone interiore che è disposto a sacrificare tutto pur di continuare quel gioco al massacro.

Unico sopravvissuto, Frank viene riportato a casa, dove riabbraccia la famiglia. La voce dentro la sua testa, quel “demone interiore” che lo ha accompagnato in Vietnam, gli dice che il prezzo da pagare per la sua “guerra infinita” è proprio la famiglia.

Ennis ha spiegato questa scena come quella di un uomo che viene a patti con il proprio lato oscuro e il suo amore per la violenza, nella quale trascinerà tutta la famiglia.

Questo concetto verrà ampliato nell’ultimo ciclo della linea Max del Punitore, scritto da Jason Aaron.

 

La fine del Punitore

Impressionato dalle storie di Garth Ennis, nel 2011 lo sceneggiatore Jason Aaron, autore di Scalped, scrive una serie di 22 numeri in cui conclude la lunga guerra del Punitore.
Proseguendo sulla strada di Ennis, Aaron descrive un Punitore invecchiato, sulla sessantina, pieno di ferite e malori, che deve vedersela con l’arrivo in città del terribile Kingpin.

Wilson Fisk, nella versione Max, è il vero e proprio co-protagonsta della vicenda.
Criminale disposto a tutto nella sua scalata al potere, Wilson all’inizio è solo il possente bodyguard del boss Rigoletto, a cui suggerisce un’esca per attirare allo scoperto il Punitore: inscenare l’ascesa di un fantomatico Kingpin, leader di tutte le famiglie di New York.

All’insaputa di Rigoletto, Fisk sta veramente mettendo su una propria organizzazione, contando sul fatto che Frank Castle eliminerà la sua concorrenza.
Quando il boss Rigoletto lo scopre, non esita a rapire il figlio di Fisk, Richard. Wilson, davanti alle lacrime della moglie, non patteggia: la sua risolutezza costa la vita al bambino, traumatizzando la moglie Vanessa che lo ritiene il reale colpevole.


Wilson Fisk diventa dunque davvero il Kingpin della città, e questo lo mette in cima alla lista del Punitore. Per paura di essere ucciso, Kingpin decide di non uscire mai dalla sua torre in città.
Ha tutto: soldi, donne, potere, ma non può uscire dal palazzo, che diventa la sua gabbia.

Si crea così uno stallo. Frank non lo può uccidere dato che è blindato e protetto dai suoi uomini, ma Fisk è di fatto prigioniero in casa.
Per eliminare il Punitore, Kingpin ingaggia Bullseye, un sicario che non fallisce mai il bersaglio. Uno psicopatico che, per poter uccidere il Punitore, dice di dover “entrare nella sua testa”.

Ci riesce, perché trova tutti i nascondigli segreti di Castle e gli dimezza l’arsenale.
Bullseye rapisce famiglie di poveri malcapitati per ripetere più volte il massacro di Central Park che diede vita al Punitore, nel tentativo di capire quale sia la sua reale motivazione.

Durante il sanguinoso scontro tra i due, che alla fine li vede precipitare da un lucernario, Bullseye rivela a Frank di aver carpito il suo segreto, sussurrandoglielo in un orecchio prima che quest’ultimo cada in coma.

Qual è questo segreto? Per scoprirlo dobbiamo tornare indietro negli anni, attraverso un lungo flashback di Frank durante la convalescenza in ospedale: Aaron ci svela cosa gli è successo dopo gli eventi di Valley Forge, in Cambogia, riprendendo il filo narrativo da Ennis.

Questa parte della storia vede Frank ritornare a casa dalla sua famiglia con un forte stress post traumatico. Non riesce a integrarsi nella vita da civile, essendo completamente alienato dal resto del mondo e dai suoi stessi familiari. Totalmente incapace di esprimere un’emozione.

Svolge mestieri umili, come lavorare in un centro carni o il barista, sforzandosi di non pensare alla guerra e di voler tornare indietro. Cercando di autoconvincersi di essere un marito e un padre.

Viene avvicinato da Nick Fury, capo della Cia con cui ha collaborato in Vietnam, il quale gli propone di lavorare per lui.
Frank accetta e il giorno dopo porta la sua famiglia al parco.

Lì, mentre i bambini giocano, confessa alla moglie di volerli lasciare, di non poter più sostenere quella vita.
“Io me ne vado” è l’ultima frase che dice alla moglie, prima che lei e i bambini vengano colpiti dai proiettili dei mafiosi.
Questo è il punto debole scoperto da Bullseye: Frank si sente in colpa per averli abbandonati e condannati con quell’ultima gita al parco.

La fine della serie vede Frank evadere dal carcere dov’era stato rinchiuso e cercare di eliminare Kingpin, che nel frattempo ha assunto una nuova guardia del corpo, Elektra, non sapendo che quest’ultima in realtà fa il doppiogioco per conto della moglie Vanessa, ancora in collera per la perdita del figlio.

Nonostante tutto sia contro il Punitore, la sua enorme determinazione lo spinge a portare a termine l’obiettivo eliminando Elektra e tutti i sicari di Fisk, il quale muore per mano sua.

Le ferite riportate in quest’ultima, tremenda battaglia sono troppe, e Frank muore per strada, mentre cerca di tornare alla vecchia casa nel Queens dove viveva con la moglie e i bambini.

A seppellirlo è Nick Fury. Il quale pensa a come la vita di Frank sia stata sprecata e la sua guerra inutile, perchè i criminali continuano a prosperare e a “strangolare i deboli ogni volta che ne hanno occasione, e nessuno fa un accidenti per impedirlo”.

Proprio mentre Fury fa queste riflessioni, i telegiornali mostrano numerosi cittadini che stanno rivoltandosi contro i criminali locali, spesso indossando il Teschio suo simbolo.
Mostrando come, forse, la guerra del Punitore ha avuto senso.

 

 

 

3 pensiero su “IL PUNITORE DELLA LINEA MARVEL MAX”
  1. Marvel è finita negli anni 70. Dopo è stata solo una lunga agonia di scarsissimi illustratori e molte volte serie finite in ridicole parodie. Peccato!

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