L’esorcista e Vivere e morire a Los Angeles, due tra i migliori film di William Friedkin, hanno molti punti in comune. In particolare, il regista americano li costruisce in modo esemplare su una situazione narrativa che caratterizza il suo cinema: la rappresentazione del male.

IL MALE NEI FILM DI WILLIAM FRIEDKIN

L’esorcista (The Exorcist, 1973) è sostanzialmente diviso in due parti. Nella prima, la dodicenne Regan MacNeil comincia a mostrare i sintomi di quelli che i medici ritengono sia una malattia. Pur sottoponendo la ragazzina a tutta una serie di analisi, non riescono a diagnosticarla con precisione. Dopodiché inizia la parte, sapientemente preparata, che in fin dei conti più interessa lo spettatore.
A dividere in due il film c’è la scena in cui uno psichiatra usa per la prima volta il termine “esorcismo”. Ecco le sue battute, in inglese e tradotte in italiano, che forniscono una possibile lettura.

“Of course, there is one outside chance for a cure”.
“Think of it as a shock treatment”.
“As I said, it’s a very outside chance”.
“Have you evere heard of exorcism?”
“Well, it’s a stylized ritual in which the rabbi or the priest try to drive out the so-calling invading spirit. It’s a been discarded these days except by the catholics, who keep it in the closet as a sort of embarrasment. But it has worked, in fact, although, not for the reason they think. It’s a purely force of suggestion. The victim’s belief in possession is what helped cause it, so in that same way, the belief in the power of exorcism can make it disappear”.

“Una remota possibilità di guarigione c’è”.
“Lo considero un trattamento shock”.
“È una possibilità molto remota”.
“Ha mai sentito parlare di esorcismo? È un rito che si basa su pratiche prestabilite, nel quale il rabbino o il prete tentano di scacciare lo spirito maligno. Oggigiorno non è più praticato, esiste ancora però tra i cattolici, che lo tengono nascosto come fosse un parente scomodo. Ma in realtà a volte ha funzionato, anche se naturalmente non per le ragioni che credono loro. È un fenomeno di forza di suggestione. È la convinzione della vittima di essere posseduta che le provoca quello stato, e allo stesso modo la convinzione del potere dell’esorcismo può farlo sparire”.

Da questo momento in poi niente più ambientazioni ospedaliere. La scienza medica lascia il posto alla Chiesa. Damien Karras, la cui vicenda fino a ora è scorsa parallela a quella di Regan, diventa protagonista assoluto insieme a padre Merrin. In varie inquadrature la madre di Regan, Chris MacNeil, resta sullo sfondo e in una di esse (dopo 1 h e 40′ circa) Karras la esclude dalla narrazione chiudendola fuori dalla porta della stanza di Regan.

Le parole dello psichiatra non sono pronunciate a caso. Evidenziano la convinzione della scienza che l’esorcismo praticato da un prete sia sostanzialmente frutto della credenza del posseduto o, se vogliamo, del malato. Sia quindi un falso.
Il malato crede di essere posseduto da un demone e di conseguenza crede che l’esorcista possa liberarlo. In realtà è solo suggestione, o una falsa consapevolezza di natura psichica.
D’altronde la stessa Chris, pur non credendo in Dio, accetta l’idea che l’esorcismo possa guarire sua figlia.

Come ha scritto lo studioso Luigi Pareyson nel saggio “Il male in Dostoevskij”, nel male “si annida un elemento di falsità, di menzogna, di impostura”.
L’esorcista consegna dunque una visione del male come falsificazione, induzione a credere nel falso: dopotutto il demone possiede Regan, ma per metà narrazione le visite mediche alle quali viene sottoposta la ragazzina non riescono a stabilire la presenza dell’entità demoniaca.
Solo Chris capisce che “Regan non è Regan”.

Se il male è falsità e menzogna, in Vivere e morire a Los Angeles (To Live and Die in LA, 1985), il denaro falso è la concretizzazione del male, e Rick Masters, che lo produce e lo mette in circolo, è l’equivalente del demone che s’impossessa di Regan.

Nel dialogo che precede l’esorcismo, padre Merrin istruisce padre Karras dicendogli che il demone è bugiardo, che mentirà e che alle menzogne mescolerà anche la verità.
Gli effetti del male spingono padre Karras alla disperazione e al nichilismo (la perdita della fede). Nella scena che conclude l’esorcismo Damien vede l’immagine della madre morta e si getta dalla finestra.

In un’intervista William Friedkin ha sostenuto che “il mondo è un posto terribile dove il male prevale. Questo pensiero non è mai stato nella mia mente, né in quella di W. P. Blatty. Questa è una storia dove il bene trionfa sul male”. E ancora: “Lo spirito della vittoria del bene sul male”.
Merrin però non riesce a sconfiggere il demone, e Karras lo fa uscire dal corpo di Regan prendendolo dentro di sé, ma per avere la meglio si getta dalla finestra. È con il suicidio quindi che padre Karras riesce a liberare Regan.

In Vivere e morire a Los Angeles la diffusione del male pare endemica. Nessuno dei protagonisti ne è immune. Masters viene ucciso, certo, ma l’agente dei servizi segreti Chance, che gli dà ossessivamente la caccia (come Merrin con il demone Pazuzu), e il suo partner John Vukovich non sembrano incarnare il bene. Tanto è vero che che rapinano e sono responsabili della morte di un infiltrato dell’Fbi.

Gli sguardi attoniti dei vari personaggi, che contrappuntano la pellicola (se ne trovano, altrettanto numerosi, ne L’esorcista), testimoniano l’ineluttabilità del male: da quello iniziale di Chance che assiste all’esplosione del terrorista islamico, allo sguardo dell’informatrice Ruth nell’enigmatico finale (quando forse immagina che lo spirito di Chance abbia preso possesso di Vukovich), e di nuovo il primo piano di Chance che, dopo i titoli di coda, chiude il film.

 

 

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