“Da giovane avevo visto posti che poi avevo abbandonato,
e quando li ho ricercati, ritornando, non li ho più trovati:
erano forse sensazioni che non era più possibile riavere”.
Hugo Pratt

 

 

L’avventura africana dalla letteratura alle strisce americane

L’Africa è stata tradizionalmente uno dei luoghi principali della narrativa avventurosa, almeno finché non si è conclusa la sua esplorazione ed occupazione da parte dei coloni (ma sarebbe più giusto dire invasori) europei.

Naturalmente agli scrittori anglosassoni o francofoni poco importava se l’Africa ha avuto da sempre una sua prolifica tradizione di narrativa orale, solo tardivamente raccolta per iscritto da studiosi come il tedesco Frobenius (1), quello che contava era che fosse uno scenario ancora abbastanza misterioso ed eccitante per i lettori avidi di emozioni.

Così dai romanzi dell’inglese Henry Rider Haggard (2), creatore del cacciatore bianco Allan Quatermain, a quelli dello statunitense Edgar Rice Burroughs (3), autore del ciclo di Tarzan, l’Africa è stata sfruttata anche come fonte d’ispirazione per una narrativa d’evasione che poco aveva a che fare con il vero volto di quel continente e in cui i suoi popoli, anziché essere mostrati obiettivamente e in primo piano, costituivano solo un elemento dello sfondo, insieme alle belve e alle “giungle” descritte sommariamente, quando non erano ridotti allo stereotipo del selvaggio antropofago.

Solo a metà del Novecento, in un romanzo come Orzowei (4), si poterono trovare descritti con più attenzione e cura usi e costumi di autentiche etnie africane, ma a discolpa almeno dei due scrittori nominati prima, che sono comunque tra i migliori esponenti del genere, si può dire che ciò che interessava loro non era tanto descrivere la vera Africa (in cui Haggard aveva trascorso alcuni anni in gioventù, mentre Burroughs non la conosceva per nulla), quanto usarla come ambientazione vagamente plausibile per le affascinanti avventure che scaturivano dalla loro fantasia. Narravano anche di ricche di città perdute, antichi tesori e popoli immaginari.

Ancora ai primi del Novecento dell’Africa se ne sapeva abbastanza poco da poterla usare come terra di confine in cui tutto poteva accadere, in cui si immaginava di poter ancora incontrare dei mostri, come nelle zone delle antiche mappe contrassegnate dalla scritta Hic Sunt Leones, un confine che si è oggi spostato dalle profondità delle oscure foreste africane alle profondità dell’oscuro spazio esterno della fantascienza.

Non a caso, i primi due fumetti propriamente avventurosi, entrambi ispirati a opere letterarie e diffusi contemporaneamente sui giornali statunitensi dal 1929, furono dedicati a questi due scenari dell’immaginario: la fantascienza dei viaggi spaziali di Buck Rogers e l’approssimativa Africa di Tarzan delle scimmie (5).

Anche se le sue giungle piene di liane, di feroci gorilla rapitori di fanciulle, di creature preistoriche e colonie nascoste di popoli antichi, non aiutano certo a conoscere l’Africa per quello che è, l’originale Tarzan letterario di Edgar Rice Burroughs era un personaggio né semplice né scontato, combattuto tra il suo lato selvaggio sempre in agguato e quello faticosamente riconquistato di uomo civile, nonché conoscitore di molti popoli e lingue, esistenti e non. Un personaggio, insomma, dallo spessore ben più solido e intrigante rispetto alla maggior parte delle sue blande imitazioni di celluloide, che con disappunto del suo creatore ne diedero un’immagine insulsa e ingenua.

Il Tarzan dei fumetti, per lo meno quello delle principali versioni statunitensi per i giornali quotidiani e in albo, riuscì a mantenersi fedele a quello dei romanzi, anche perché in entrambi i casi le sue prime storie disegnate costituirono un’accurata trasposizione delle sue avventure letterarie.

AFRICA NEL FUMETTO

Grazie anche alle grandi capacità grafiche del suo primo disegnatore, il canadese Harold Rudolph Foster (fondatore dello stile realistico dei fumetti), il Tarzan disegnato fu da subito un successo, confermato dalla successiva interpretazione di Burne Hogarth.

I due giovani orfani giramondo Tim e Spud, protagonisti della serie Tim Tyler’s Luck (La Fortuna di Tim Tyler) di Lyman Young e meglio noti in Italia come Cino e Franco (6), nel corso di un ciclo di storie realizzato con l’apporto sostanziale dell’allora giovane disegnatore Alex Raymond (7), si stabilirono in via definitiva nel Continente nero.

Dopo l’avventura “La misteriosa fiamma della regina Loana”, ispirata (per non dire copiata) da un romanzo di Rider Haggard (8), i due ragazzi si arruolarono nella Pattuglia dell’Avorio, un corpo speciale della giungla, o meglio un distaccamento di polizia coloniale.

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Le popolazioni indigene non svolgono qui ruoli determinanti, se non quelli di possibile minaccia o di aiuto di bassa forza per i personaggi principali. Anche i capi di banditi o bracconieri sono europei, come se gli africani fossero bambinoni privi di astuzia e doti organizzative.

Quest’ottica paternalistica delle nazioni che occupavano e sfruttavano l’Africa inizialmente influenzò le avventure dei due personaggi creati dall’impresario teatrale Lee Falk: Mandrake the Magician (Mandrake il mago), disegnato dal 1934 dall’ex scenografo Phil Davis, e The Phantom (“Il Fantasma”), disegnato dal 1936 da Ray Moore e conosciuto in Italia come L’Uomo Mascherato (9).

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Nelle storie di Mandrake, il robusto Lothar, principe di una nazione africana ma descritto sempre più come un muscoloso bonaccione, abbandona le responsabilità politiche (e le mogli che avrebbe dovuto sposare) preferendo girare il mondo al seguito del simpatico mago come una sorta di servitore.

Phantom, le cui storie mescolano con disinvoltura scenari di diversi continenti che ricordano sia il Golfo del Bengala sia l’Africa Subsahariana, è un bianco che per tradizione di famiglia si assume il diritto-dovere di amministrare la giustizia nelle profonde foreste, lasciandosi adorare dagli indigeni come essere superiore e organizzando poi l’ennesima polizia della giungla in stile coloniale.

Le storie dei due personaggi hanno una notevole carica di ironia e sono costruite in modo impeccabile, limitandosi a riflettere in buona fede i tempi in cui furono realizzate. Del resto, in epoca post-coloniale Falk fece dimostrare a Lothar una maggiore presenza di spirito, collocandolo su un piano di amicizia paritaria con Mandrake, e conferì un’autorità super partes a Phantom, trasformandolo in agente dell’Onu e mettendo a capo della sua polizia della giungla ufficiali africani.

 

L’avventura coloniale del fumetto italiano

Di fatto l’Africa autentica non si trova nelle prime strisce avventurose americane (né, spostandosi in Belgio, nelle prime storie del Tintin di Hergé, in cui oltretutto  l’approssimazione umoristica era ancora predominante sulla componente documentaristica).

Per trovarla bisogna guardare agli autori di un Paese che, tra tragiche vicende belliche ed esagerati entusiasmi per la costituzione del cosiddetto Impero, visse le ultime avventure coloniali in terra africana, invadendo quei paesi non ancora occupati da altri stati europei.

Ovviamente il paese in questione è l’Italia, che una porzione d’Africa finì per conoscerla direttamente, il che non si può dire degli autori delle strisce americane.
Già quella che è considerata la prima serie a fumetti del nostro paese, apparsa sul Corriere dei Piccoli fin dal primo numero del 1908, aveva per protagonista un piccolo africano, Bilbolbul, a cui ne capitavano di tutti i colori, mentre le deliziose vignette di Attilio Mussino davano forma concreta a ogni sorta di modi di dire metaforici riportati nelle didascalie in rima.

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Dopo il 1934, con la pubblicazione nel nostro paese delle prime strisce esotico-avventurose americane con tanto di nuvolette, apparse sul giornale a fumetti L’Avventuroso e in appendice a Topolino, per imitazione cominciarono a essere realizzate da autori italiani analoghe storie realistiche.

Nel 1935, con l’inizio della campagna d’Etiopia, una delle ambientazioni preferite divenne proprio l’Africa. Così l’avventura coloniale invase anche i giornali per ragazzi, L’Avventuroso compreso, con gli autori nostrani condizionati dalla propaganda coloniale del fascismo.

Accanto agli autori più vicini al regime, come Caesar, Cossio o Vichi, ce ne furono altri, come Albertarelli, Caprioli e Molino, che si limitavano a racconti genericamente patriottici, in cui gli Italiani insomma non potevano che fare bella figura.

Una delle serie più imitate fu Cino e Franco di Lyman Young, che col suo ingenuo tono coloniale si prestava facilmente a essere rivisitata in chiave fascista. Uno dei suoi primi epigoni, se non il primo in assoluto, fu il racconto “I Due Tamburini”, con cui il grande sceneggiatore Federico Pedrocchi (10) e il disegnatore di origini tedesche Kurt Caesar (sotto lo pseudonimo autarchico di Cesare Avai) esordirono nel 1935 sul settimanale La Risata, nato l’anno precedente come giornale umoristico e trasformato rapidamente in rivista avventurosa seguendo l’onda del successo delle strisce statunitensi.

Quando poi, nel 1938, cominciò a essere proibita la pubblicazione dei fumetti stranieri (inizialmente eccetto Topolino), le storie di propaganda ambientate in Africa scalzarono quelle degli eroi americani anche nelle prime pagine a colori de L’Avventuroso.

In una storia apparsa quello stesso anno sul Topolino giornale di Mondadori, “I Predatori del Guardafui”, Federico Pedrocchi e il disegnatore Rino Albertarelli raccontando di “pirati” somali che assalivano pacifiche navi italiane, ma avendo ambientato il racconto nella Somalia del 1918 sfuggivano agli elementi propagandistici più attuali.

Al giovane Gianni, protagonista di questa storia, si aggiunse poi l’amico Gino, dando inizio alla serie di Gino e Gianni, in pratica un’ennesima imitazione di Cino e Franco, realizzata però, grazie alle doti artistiche di Albertarelli, con maggiore accuratezza iconografica nel ricostruire gli ambienti naturali africani e le specie animali che li abitano.
Dopo l’ingresso dell’Italia nella Seconda guerra mondiale anche in questa serie furono imposti elementi sempre maggiori di retorica.

Intanto, intorno al 1937, un bambino veneziano di dieci anni di nome Ugo Prat (non ancora Hugo Pratt) si era trasferito in Africa con il padre, che aveva trovato lavoro. Ci restò cinque anni e, dopo il ritorno in Italia e la fine della guerra, iniziò ad esprimere la sua passione per l’avventura dedicandosi al fumetto.

Quella che si può considerare la sua versione di Cino e Franco la realizzò in Argentina nel 1959, con la serie Ann y Dan, nota in Italia come Anna nella giungla (11). Date le sue esperienze dei luoghi, è naturale che questa serie, ambientata poco prima della Prima guerra mondiale, abbia un fascino particolare, rispetto ai fumetti “africani” precedenti.

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La coppia di ragazzi è formata questa volta dalla giovane inglese Anna Livingston, figlia di un medico, e il giovane italiano Daniele Doria, appena sbarcato in Africa Orientale, mentre tra i comprimari troviamo il marinaio veneziano Luca Zane, protagonista dell’episodio “La Città Perduta di Ammon-Ra”, che sotto vari aspetti anticipa il successivo e più famoso Corto Maltese.

Costumi e idiomi degli indigeni sono verosimili (anche Pratt non resiste alla tentazione di farli esprimere in veneto), per non parlare delle impeccabili divise coloniali, per le quali l’autore aveva un’autentica passione.

Comunque anche in questa serie certi luoghi comuni dei precedenti fumetti avventurosi sono ancora abbastanza rispettati e i popoli africani che insorgono contro le autorità coloniali britanniche sono descritti come feroci selvaggi, svolgendo di fatto il ruolo dei cattivi della situazione.

Ben diverso sarà l’approccio delle successive storie di Pratt, come gli episodi di Corto Maltese appartenenti al ciclo “Le Etiopiche” (12) , realizzato tra 1972 e 1973 ma ambientato in Arabia e Africa durante la Prima guerra mondiale, il cui titolo è lo stesso di una raccolta di poesie del senegalese Sédar Senghor (13), ma i cui contenuti si ispirano vagamente a un romanzo omonimo scritto nel III secolo d.C. dal greco Eliodoro di Emesa. Il romanzo mescola situazioni avventurose e sentimentali.

Nel ciclo di Pratt, autore e protagonista non possono che simpatizzare con i popoli oppressi di turno che difendono la loro terra da invasori stranieri, nessuna delle parti in causa è più vista in modo ingenuo come del tutto “buona” o “cattiva” e nessuno deve necessariamente vincere o perdere.

Anche l’amore contrastato tra due giovani, nell’episodio “E di Altri Romei e di Altre Giuliette”, è il mezzo per riconciliare due popoli nemici. In questo senso Corto Maltese si può considerare il punto di arrivo del percorso di maturazione narrativa iniziato da Pratt con Anna nella Jungla, dove alla fine inglesi e tedeschi, nonostante lo stato di guerra appena dichiarato tra i loro due paesi, sceglievano di lasciarsi da amici.

Del resto, a sancire la fondamentale unità e coerenza della poetica di Pratt, nomi e volti dei personaggi di Anna nella giungla ritornano non solo nelle avventure africane di Corto Maltese, ma anche nel ciclo Gli Scorpioni del Deserto (14), pubblicato dal 1969, ennesima opera dell’autore ambientata in Africa, ma che questa volta si svolge in piena Seconda guerra mondiale, narrando in modo particolarmente realistico ed introspettivo le avventure di un gruppo speciale di soldati alleati.

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Anche l’inquietante e misterioso personaggio di Samael, l'”angelo caduto”, un vecchio stregone africano che potrebbe essere Lucifero stesso, dopo aver esordito ne “Le Etiopiche”, ritorna ne L’Uomo della Somalia, pubblicato nel 1978 nella collana Un uomo un’avventura (15), in cui Pratt rievoca i miti del giardino dell’Eden in una chiave ben più affascinante di quella biblica, ispirandosi a versioni etiopiche di quelle leggende.

Tra il 1984 e il 1988, con la collaborazione di Lele Vianello, sempre Hugo Pratt realizza i due episodi di Cato Zulù (16), ambientati nella seconda metà del 1800, in cui avvenimenti della storia del Sudafrica, che vide contrapposti coloni boeri e guerrieri zulu, sono visti attraverso gli occhi di un misterioso avventuriero realmente esistito: l’ex soldato britannico Catone Milton.

Il primo episodio di Cato Zulù, intitolato “La fine del principe” è dedicato alla tragica fine del giovane Luigi Eugenio Bonaparte, il figlio di Napoleone III, ucciso dagli Zulu nel 1879 mentre era in Sudafrica come osservatore.

Lo stesso episodio storico era stato disegnato anche da Dino Battaglia in un breve fumetto intitolato “Napoleone IV” (17), in cui si fa notare come la morte del principe sia dipesa da una sella finta vendutagli da un truffatore. Quando gli Zulu attaccarono la piccola pattuglia a cui era aggregato si ruppe, impedendogli di mettersi in salvo insieme ai soldati inglesi.

Nella collana Un uomo un’avventura dell’Editoriale Cepim sono apparse anche altre storie d’ambientazione africana, come “L’Uomo dello Zululand”, scritta e disegnata da Gino D’Antonio, dedicata anch’essa alla guerra coloniale tra gli anglo-boeri e gli zulu, che perfettamente organizzati furono in grado di sconfiggere più di una volta le moderne armi degli europei.

Il protagonista è un mercante tedesco che si trova coinvolto, suo malgrado, nel bagno di sangue della battaglia di Isandhlwana, in cui su millecinquecento soldati inglesi nessuno si salvò, ma riesce a fuggire prima dell’assalto e a raggiungere l’unica compagnia superstite dell’esercito inglese nella zona, prendendo parte così all’episodio storico della difesa di Rorke’s Drift, in cui appena un centinaio di soldati riuscì miracolosamente a fermare l’avanzata di quattromila zulu.

In “L’uomo della legione”, disegnato da Dino Battaglia, nel 1921 è un piccolo contingente della legione straniera a trovarsi impegnato e infine circondato senza speranza dagli algerini che si ribellano contro l’occupazione francese al grido di “Algeria libera!”.

Il protagonista, il legionario Moreau, costantemente in conflitto con il proprio capitano, che durante la guerra in Europa l’aveva coinvolto in un episodio di vigliaccheria di fronte al nemico, sarà l’ultimo a vendere cara la pelle, rifiutando di arrendersi ad ogni costo.

La definitiva vittoria dei ribelli è però ancora lontana, visto che per ottenere la liberazione dell’Algeria ci vorranno altri quarant’anni, durante i quali la legione non si comportò sempre in modo altrettanto eroico.

Nel volume “L’Uomo del Nilo”, scritto da Decio Canzio e disegnato da Sergio Toppi, sono i dervisci, ribelli sudanesi guidati dal capo religioso islamico detto il Mahdi, a sferrare un duro colpo all’impero britannico occupando nel 1885 la città di Khartoum, rimasta isolata e difesa da uno sparuto gruppo di europei agli ordini del governatore Gordon.

In questo contesto storico si inserisce l’avventura immaginaria del giornalista Bob Wingate, che seguendo il Nilo giunge fortunosamente a Khartoum, in Sudan, per intervistare Gordon ed è da questi inviato per la stessa via per sollecitare i soccorsi.

Lo sceneggiatore potrebbe essere stato ispirato da due episodi storici con la stessa ambientazione che Toppi aveva già disegnato su testi di Mino Milani: “Le parole del fucile”, in cui l’esploratore Romolo Gessi è inviato da Gordon Pascià a combattere i negrieri del Sudan, e “Fino al Nilo”, in cui, anni dopo la caduta di Khartoum, viene organizzata la fuga dell’ex-governatore del Darfur dal Sudan occupato dai dervisci (18). Anche il nome Wingate sembra essere stato ripreso da quest’ultimo fumetto: nella realtà storica era quello del capo dei servizi d’informazione inglesi in Egitto.

 

Viaggi africani nel fumetto italiano ed europeo di fine Novecento

Si svolge sempre in Africa Orientale, ma più a sud, una storia di Sergio Toppi appartenente alla serie Il Collezionista: “L’obelisco abissino”, nota anche come “L’obelisco della terra di Punt” (19).

Qui troviamo le truppe abissine del ras Menelik che si preparano ad affrontare gli invasori italiani, mentre il protagonista della storia non ha niente contro i due contendenti, essendo interessato alla ricerca dell’antico e misterioso manufatto che dà il titolo alla storia.

È ambientata in Sudafrica una storia di Sergio Toppi del 1985, “M’Felewzi” (20), il cui protagonista è un battitore indigeno a cui viene ucciso il fratello per un gioco crudele tra il suo padrone e un altro cacciatore bianco. Da allora parla con lo spirito del fratello morto, aspettando pazientemente l’occasione di vendicarlo.

L’occasione arriva con la partenza per un nuovo safari insieme ai due responsabili. In entrambi i racconti il pennino di Toppi cesella magistralmente un’Africa d’epoca, con i suoi affascinanti scenari naturali ancora quasi intatti.

Sono invece dei safari fotografici, che spesso prendono tutta un’altra piega, quelli di cui è protagonista Johnny Focus (21), un’affascinante fotoreporter creato da Attilio Micheluzzi nel 1974, il cui lavoro lo porta in giro per il mondo, Africa compresa.

Di volta in volta, del tutto casualmente, ha a che fare con uomini leopardo, ladri di diamanti, trafficanti d’avorio, viaggiatori inesperti, complotti petroliferi o colpi di stato, mentre scenari e costumi indigeni sono sempre raffigurati dall’autore con grande intensità, accuratezza e realismo.

Qui l’Africa non è più quella delle imprese del passato ma quella contemporanea, degli anni settanta del Novecento. Nonostante i soggetti immaginari è a tutti gli effetti l’Africa reale, descritta con un po’ d’ironia alla Pratt ma con meno romanticismo.

È l’Africa di oggi con tutte le sue contraddizioni di continente sospeso tra un passato di dura lotta con la natura, un presente di “civili” conflitti e speculazioni e un futuro incerto ancora tutto da scrivere.

Anche Micheluzzi realizzò un paio di volumi della collana Un uomo un’avventura, tra cui, nel 1978, L’Uomo del Tanganika. Qui, all’inizio della Prima guerra mondiale, il pilota americano Ian Fermanagh è incaricato dagli inglesi di individuare un inafferrabile incrociatore tedesco nascosto tra le paludi: il Konigsberg, che all’epoca costituì una spina nel fianco per l’esercito britannico.

Il viaggio che intraprende prima sul suo idrovolante e poi a piedi tra le paludi dell’attuale Tanzania superando vari pericoli, non si svolge solo in uno spazio fisico, ma anche dentro di lui, poiché dopo aver trovato l’incrociatore ed essere stato trattato dai suoi occupanti con umanità e fiducia, ben al di là della semplice correttezza, scoprirà che i suoi propositi ostili verso di loro sono cambiati.

Ma il capolavoro africano di Micheluzzi è Bab-el-Mandeb (22), un romanzo a fumetti storico in forma di diario pubblicato nel 1986 che racconta come, dopo varie vicissitudini, nel 1935 i membri di uno strano quartetto, composto da un sergente inglese disertore, un fuoriuscito italiano antifascista, una danzatrice egiziana e una lady anglosassone filofascista, sottrassero due autoblindo all’esercito britannico e riuscirono a portarle in Abissinia, dopo un rischioso e avventuroso viaggio per mare e per terra, appena in tempo perché potessero essere usate nella difesa contro l’invasione italiana.

Resta dubbio se le fonti dichiarate dall’autore siano del tutto autentiche, ma la sua ricostruzione, per quanto rocambolesca e avvincente, è abbastanza realistica, storicamente dettagliata e fuori dalle convenzioni narrative perché qualcosa di vero possa effettivamente esserci.

Sono invece chiaramente irreali le parodie, che non potevano mancare, sulle avventure africane. A partire da quelle che prendono in giro Tarzan, come a “Melvin delle Scimmie” di Harvey Kurtzman e John Severin sulla rivista americana Mad (23) a “L’Onorevole Tarzan” di Benito Jacovitti sul Il Vittorioso (24).

Meritano d’essere citati due romanzi satirici a fumetti sul tema africano con due donne protagoniste.
In Lili Fatale (25) pubblicato dal francese Gérard Lauzier nel 1974, una casalinga si rivela essere all’insaputa del marito un’agguerrita e disinibita spia, esperta in “solletico da combattimento”, costretta a tornare in missione nell’immaginario stato africano di Bobocalandia per capeggiare la guerriglia contro il locale dittatore, caricatura di regnanti davvero esistenti.

È una spassosa e paradossale parodia delle storie alla 007, con riferimenti alle cronache d’attualità che sfociano in feroce satira politica, ai danni tanto dei militaristi quanto dei rivoluzionari.

Ada nella giungla (26), pubblicato su Linus da Altan nel 1978, tratta di una prosperosa orfana cresciuta in collegio che intraprende un viaggio in Africa alla ricerca di un cugino là abbandonato in tenera età, unico erede delle ricchezze di famiglia.

Qui la parodia riguarda i feuilleton ottocenteschi, a cui vengono ricondotti anche certi elementi del primo romanzo di Tarzan, opportunamente deformati e dissacrati dall’umorismo nero dell’autore. Entrambe le parodie mettono in evidenza le tante esagerazioni, assurdità e mistificazioni del genere, rispetto all’autentico volto del Continente nero.

Lo stesso concetto si ritrova in “Le avventure africane di Giuseppe Bergman” di Milo Manara (27), che come le altre storie dello stesso ciclo, si colloca a metà tra la parodia di certi romanzi contemporanei alla Castaneda, i surreali viaggi di formazione alla Fellini e puro erotismo.

Come in una situazione pirandelliana, vi si rendono evidenti fin dall’inizio le tecniche narrative normalmente nascoste tra le pieghe della storia: i personaggi stessi sono consapevoli di vivere in un fumetto, di essere manovrati da una regia occulta e di doversi sottomettere alla sceneggiatura, come gli attori di un film.

Una valigetta di progetti segreti che passa di mano in mano è la scusa che conduce in Etiopia l’antieroe Bergman, controparte disegnata dell’autore, e una ragazza arruolata all’ultimo istante come protagonista. Il viaggio li porta attraverso un’Africa sordida e realistica, ma piena di elementi sconclusionati e improbabili.

Nella seconda parte del fuetto, ambientata in Kenia, a essere analizzate sono le tecniche con cui si possono impostare e stilizzare i disegni. Anche in questo secondo viaggio, Bergman è coinvolto in disavventure paradossali ed erotiche dai personaggi che incontra, molti dei quali hanno una loro storia nella storia da raccontare.

L’autore dedica qui una maggiore attenzione all”ambiente e ai costumi locali, ma benché affascinante, l’Africa che disegna è poco più d’uno scenario per l’ennesima avventura dai contenuti stravaganti, che mescola alchimia e musica rock, con appena qualche breve citazione degli usi africani.

Una maggiore cura documentaristica e storica caratterizza il ciclo Les Passagers du Vent (I passeggeri del vento) (28), noto in Italia anche come Le avventure di Isa, del francese François Bourgeon.

Pubblicato tra il 1979 e il 1983 ed ambientato nel Settecento, parla di un piccolo gruppo di spiriti ribelli fuggiaschi, composto da una coppia francese (l’ex marinaio Hoel e l’ex dama di compagnia Isabelle de Mamaye, privata in gioventù del suo vero nome e dei suoi beni) e una inglese (la giovane madre Mary Hereford e l’ex tenente John Smolett).

Costoro, dopo varie peripezie e tre viaggi via mare, per sfuggire ai rispettivi problemi personali, nel terzo episodio giungono in Africa su una nave negriera, sbarcando nella colonia francese di Juda.

La sfrontata ed emancipata Isa, più decisa delle donne e degli uomini della sua epoca, fin dall’inizio disapprova apertamente la schiavitù e si ribella come può alle violenze a cui assiste.

Viene poi invitata dal re Kpengla nella capitale del regno nero di Abomey, i cui costumi ed ambienti sono rappresentati nel quarto episodio in tutta la loro bellezza e dignità, con correttezza e rispetto per la cultura africana, pur senza omettere di mostrare le locali ingiustizie sociali e usanze disumane.

Sul confine sottile che unisce e separa lo sfarzo ed il fascino di ogni antica civiltà dalle sue terribili sopraffazioni, troviamo qui la vera Africa, un’Africa né denigrata né idealizzata, ma storicamente verosimile.

 

La guerra d’Africa duecento anni dopo

Altrettanto ben ricostruita sul piano storico, anche se artisticamente meno unitaria ed affascinante essendo realizzata da vari disegnatori, è la miniserie bonelliana Volto Nascosto (29) scritta da Gianfranco Manfredi, in cui i viaggi in Etiopia di due italiani, il contabile Ugo Pastore e il tenente di cavalleria Vittorio de Cesari, entrambi personaggi di fantasia, si sovrappongono agli eventi della guerra d’invasione italiana del 1894-96.

I due possono così conoscere personalmente la regina Taitù, affascinante e volitiva moglie del sovrano Menelik II, e vedere le proprie vite e il proprio futuro influenzati in modi diversi dall’esito delle battaglie dell’Amba Alagi e di Macallé, in cui l’esercito italiano fu definitivamente sconfitto.

Nonostante la storicità di molti eventi, non si risparmiano i colpi di scena da romanzo d’appendice, con tanto di triangolo sentimentale e misteri da risolvere. Uno su tutti quello dell’identità del capo etiope Volto Nascosto, che cela il suo viso dietro una maschera d’argento.

È il feuilleton, con i suoi pregi e i suoi difetti, che dopo aver subito tante critiche e parodie nei decenni passati si riprende il proprio spazio nella letteratura d’evasione, come accade con i tanti cicli di romanzi storici ora nuovamente in voga.

Sempre Gianfranco Manfredi tenta di rilanciare il fumetto d’ambientazione africana nel 2014, con le avventure di fine Ottocento dell’esploratore Adam Wild, ispirato a eroi cinematografici come quelli interpretati da Douglas Fairbanks e Erroll Flynn, in chiave più attuale.

Adam Wild è uno scozzese antischiavista che si batte contro negrieri e cacciatori di frodo, ed è l’amante della principessa bantu Amina, a sua volta una guerriera in grado di battersi abilmente.

Così si profila un tipo di avventuriero a metà tra la tradizione e certe nuove tendenze, che ricordare Alan Quatermain quanto Indiana Jones.
Il personaggio non è comunque riuscito a trovare il riscontro dei lettori, chiudendo con il n. 26.

Il continente africano resta in attesa di qualche nuovo eroe, che magari una volta tanto sia africano lui stesso per tentare di affrontare le complesse problematiche dell’Africa di oggi.

 

Note

1) Leo Frobenius (1873-1938) fu il primo etnologo a raccogliere racconti direttamente dalla voce dei cantori africani, pubblicandoli nel volume “Das Schwarze Dekameron” (Il Decamerone nero), nei dodici volumi di “Sammlung Atlantis” (Collezione Atlantide) e nei tredici di “Und Africa Sprach…” (E l’Africa parlò…). In italiano una sintetica raccolta di cinquantacinque racconti è reperibile nel volume “Il Decamerone Nero”, Rizzoli 1971.

2) Henry Rider Haggard, scrittore nato in Gran Bretagna nel 1836, è famoso soprattutto per il romanzo “Le miniere di re Salomone”, da cui sono state tratte diverse versioni cinematografiche. Le città perdute abitate da popoli antichi o misteriosi dei suoi romanzi hanno costituito una delle principali fonti d’ispirazione di Edgar Rice Burroughs.

3) Edgar Rice Burroughs (1875-1950), ex-cavalleggero, ex-cowboy, ex-cercatore d’oro, ex-vigile urbano, ex-poliziotto ferroviario, ex-commesso viaggiatore, a partire dal 1911 pubblicò, prima su rivista e poi in volume, oltre novanta romanzi d’avventure e fantascienza, tra cui i ventisei volumi di Tarzan. Solo una parte di questi è stata pubblicata in Italia, soprattutto nelle edizioni economiche dell’editrice Giunti negli anni settanta.

4) Il romanzo Orzowei, pubblicato da Alberto Manzi nel 1955, narra di un ragazzo bianco abbandonato in Africa che viene allevato in un villaggio bantu col nome di Isa, ma è oggetto di razzismo ed emarginazione da parte degli altri ragazzi che lo chiamano spregiativamente Orzowei, “il Trovato”.
Negli anni settanta ne furono tratti un famoso sceneggiato televisivo e un film. Il testo originale è reperibile su hinomaru.megane.it/cartoni/orzowei/

5) Le prime strisce a fumetti di Tarzan, disegnate da Harold Foster e da Rex Maxon, tratte dai primi tre romanzi del ciclo, sono state pubblicate in Italia dall’Anaf (Associazione nazionale amici del fumetto) nel 1991, in un volume amatoriale, dalla tiratura limitata a 500 copie, intitolato “Tarzan delle Scimmie” dal titolo del primo romanzo.
Le prime tavole domenicali a colori di Tarzan, disegnate a partire dal 1931 da Rex Maxon, Harold Foster e Burne Hogarth, sono state pubblicate in Italia sulle collane Tarzan Extra e Tarzan Gigante dell’editrice Cenisio tra il 1974 e il 1977, in albi amatoriali dell’Anaf degli anni ottanta e sul volume di Mondadori “Tarzan il Re della Giungla” del 1971. Negli anni duemila sono pubblicate in una serie di album cartonati dalla Planeta De Agostini.

6) La serie Cino e Franco di Lyman Young fu pubblicata in Italia da Nerbini nel 1934 sul giornale Topolino, a partire dall’avventura del 1933 “Sotto la Bandiera del Re della Giungla”. Dal 1935, dopo la cessione di Topolino a Mondadori, proseguì su Il Giornale di Cino e Franco. Subito dopo Nerbini raccolse gli episodi in album. Questi dal 1971 furono ristampati in edizione anastatica, insieme alle storie precedenti che erano ancora inedite in Italia.

7) Alexander Gillespie Raymond (1909-1956), ex-agente di borsa e uno dei più influenti disegnatori dell’età d’oro del fumetto avventuroso statunitense, all’inizio della carriera lavorò per lo studio dei fratelli Young, disegnando anonimamente e strisce di Blondie e Tim Tyler’s Luck, firmate rispettivamente da Chic e Lyman Young. Fu poi il creatore grafico di quattro serie fondamentali: Flash Gordon, Jungle Jim (Jim della Jungla), Secret Agent X-9 (Agente Segreto X-9), scritta inizialmente dal romanziere Samuel Dashiell Hammett, e Rip Kirby.

8) “She” (Lei) di Henry Rider Haggard, romanzo pubblicato in Italia con il titolo “La donna eterna”. Ne è stato tratto anche un film con Peter Cushing e Ursula Andress, distribuito in Italia col titolo “La dea della città perduta”.

9) Le versioni in strisce giornaliere delle serie Mandrake e L’Uomo Mascherato di Lee Falk, in Italia furono pubblicate da Nerbini, negli anni trenta su L’Avventuroso e subito dopo raccolte in album. La versione in tavole domenicali di Mandrake fu invece pubblicata da un altro editore su L’Audace, col titolo modificato in Drakeman. Oltre alle ristampe anastatiche degli anni settanta, importanti edizioni successive di vecchie e nuove avventure furono quelle dei Fratelli Spada negli anni sessanta e settanta e della Comic Art negli anni ottanta e novanta.

10) Federico Pedrocchi (1907-1945), nato a Buenos Aires da genitori italiani, autore pubblicitario e di novelle, da solo o insieme allo sceneggiatore cinematografico Cesare Zavattini, scrisse i più importanti fumetti italiani degli anni trenta e quaranta: Zorro della Metropoli, Saturno contro la Terra, Gino e Gianni, Virus, Il Dottor Faust e altri. Coadiuvato da importanti disegnatori come Walter Molino, Giovanni Scolari e Rino Albertarelli. Fu anche il primo a scrivere e disegnare, insieme a Mario Pinochi e Nino Pagot, alcune storie lunghe con protagonista Paperino, uscite sull’omonima testata di Mondadori dal 1937, ancor prima che il personaggio fosse sfruttato in tal senso negli Usa.

11) I quattro episodi di Anna nella Jungla di Pratt sono stati pubblicati in Italia sulla rivista Sgt. Kirk alla fine degli anni sessanta, in un Oscar Mondadori del 1973 e in un volume della collana “Avventura e Storia”, Fabbri 1979.

12) Dei quattro episodi del ciclo “Le Etiopiche” di Pratt, quelli ambientati in Africa sono: “L’ultimo colpo”, “E di altri Romei e di altre Giuliette” e “Leopardi”. Come le altre storie di Corto Maltese, sono stati pubblicati in volume da vari editori: Mondadori, Milano Libri, Bompiani, Lizard e Gruppo Editoriale L’Espresso.

13) Léopold Sédar Senghor, importante poeta e uomo politico africano nato nel 1906, fu eletto deputato del Senegal all’Assemblea Nazionale francese nel 1945. Tra il 1945 e il 1956 pubblicò in Francia le raccolte poetiche “Chants d’Ombre” (Canti d’Ombra), “Hosties Noires” (Ostie Nere), “Chants pour Naëtt” (Canti per Naëtt) e “Ethiopiques” (Etiopiche). Nel 1960 fu eletto presidente del Senegal.

14) Gli episodi de Gli Scorpioni del Deserto di Pratt sono stati pubblicati a puntate su Sgt. Kirk dal 1969, su Alterlinus dal 1974, su Alter Alter dal 1980 e poi raccolti in volumi dalla Milano Libri. L’edizione più recente di tutti e cinque gli episodi che compongono il ciclo (“Gli Scorpioni del Deserto”, “Piccolo Chalêt gaio come te”, “Vanghe dancale”, “Dry Martini Parlor” e “Brise de Mer”) è quella dei Tascabili Lizard uscita tra 2000 e 2001.

15) Gli album della collana Un uomo un’avventura sono stati pubblicati dalla Cepim alla fine degli anni settanta e ristampati dalla Hobby & Work con il titolo “I grandi del fumetto”.

16) I due episodi di Cato Zulù di Pratt (“La fine di un principe” e “La carovana dei boeri”) sono stati pubblicati sulla rivista Corto Maltese, rispettivamente nel 1984 e nel 1988, e poi raccolti in un volume della Milano Libri. L’edizione più recente è reperibile nel volume n. 54 dei Tascabili Lizard.

17) “Napoleone IV” di Dino Battaglia è contenuto con altre storie dello stesso autore nel volume “Caricaaa!”, pubblicato nel 1979 dalla Fabbri nella collana “Avventura e storia”.

18) “Le parole nel fucile” e “Fino al Nilo” di Milani e Toppi sono reperibili rispettivamente nei volumi “Cronache d’armi” e “Samurai e altre storie”, pubblicati dalla Fabbri nel 1979 e nel 1980, nella collana “Avventura e storia”.

19) “L’Obelisco della terra di Punt” di Toppi è stato pubblicato negli anni ottanta a puntate sulla rivista L’Eternauta e, in album, sul n. 8 della collana I Protagonisti delle Edizioni L’Isola Trovata; è reperibile con il titolo “L’obelisco abissino” anche nel volume del 2004 “L’arte di Sergio Toppi”, n. 54 de “I classici del fumetto di Repubblica”.

20) “M’Felewzi” di Sergio Toppi è stato pubblicato a puntate sulla rivista Corto Maltese, dal n. 9 al n. 11 del 1985, e in volume sul n. 42 dei Tascabili Lizard nel 2000.

21) Episodi africani della serie Johnny Focus di Attilio Micheluzzi sono: “Gli Uomini Leopardo”, “Quella Maledetta Bottiglia”, “Sulla Pista di Mombasa”, “La Ragazza del Fiume”, “La Montagna dei Serpenti di Pietra” e “Siamo con Voi”. Insieme agli altri della stessa serie, pubblicata sulla rivista Il Corriere dei Ragazzi tra il 1974 e il 1976, sono stati raccolti in tre volumi, prima da Ivaldi Editore negli anni ’80 e poi nei Tascabili Lizard dal n°61 al n°63 del 2004. Altri episodi dello stesso personaggio sono apparsi all’inizio degli anni ’80 sulle riviste Zodiaco e Orient Express, quelli di quest’ultima sono stati raccolti nel quarto volume di Johnny Focus, sul n°64 dei Tascabili Lizard. – Su Johnny Focus vedere anche l’articolo alla pagina www.segretidipulcinella.it/sdp8/art_02.htm

22) “Bab-el-Mandeb” di Micheluzzi è stato pubblicato a puntate sulla rivista Corto Maltese nel 1986 e raccolto in un volume della Milano Libri l’anno seguente.

23) Melvin, la parodia di Tarzan di Harvey Kurtzman e John Severin, apparve su Mad n. 2 del 1952 e n. 6 del 1953. Entrambe le storie sono state pubblicate in Italia nel libro “Classici Mad volume 1” della Planeta De Agostini, che raccoglie integralmente i primi 12 numeri di Mad.

24) “L’Onorevole Tarzan” di Benito Jacovitti fu pubblicato sul settimanale Il Vittorioso nel 1948.

25) Lili Fatale di Gérard Lauzier è stato pubblicato in Italia sulla prima serie della rivista Pilot, dal n. 9 del 1982 al n. 12 del 1983, e raccolto in volume dalla Bonelli-Dargaud nel 1985.

26) Ada nella Jungla di Altan è stato pubblicato a puntate sulla rivista Linus nel 1978 e in volume dalla Glénat Italia nel 1988. Nello stesso anno, in Francia, ne è stato tratto il film “Ada dans la Jungle”, del regista Gérard Zingg.

27) I due episodi de “Le avventure africane di Giuseppe Bergman” di Milo Manara sono stati pubblicati a puntate sulla rivista Totem all’inizio degli anni ottanta e poi in volume dalle Edizioni Nuova Frontiera.

28) I primi tre episodi del ciclo “I passeggeri del vento” di François Bourgeon (“I passeggeri del vento”, “La galera infernale” e “I negrieri di Juda”) sono stati pubblicati in Italia con il titolo Le avventure di Isa, in tre album della collana Metal delle Edizioni Nuova Frontiera usciti tra il 1981 e il 1982. Il quarto episodio (“L’ora del serpente”) è apparso a puntate sulla rivista Totem dal n. 25 al n. 29 del 1983 e il quinto (“Bosco d’ebano”) sulla rivista Corto Maltese dal n. 10 del 1984 al n. 1 del 1985. Il ciclo è stato poi ristampato in volumi dalla Milano Libri.

29) Volto Nascosto di Gianfranco Manfredi, è stato pubblicato da Bonelli in 14 albi dal 2007 al 2008.

 

 

(Da Segreti di Pulcinella).

 

 

2 pensiero su “IL MAL D’AFRICA NEL FUMETTO DA PRATT A MANARA”
  1. In quest’ambito ci sono anch’io.

    Nel 1984 avevo collaborato con Carlo Chendi al catalogo della mostra Il fumetto e l’Africa tenuta a Torino.

    Nel 1986 sul mensile Corto Maltese soggetto e sceneggiatura di Macbeth Africano, sul personaggio storico del negus Teodoros d’Etiopia. Disegni di Nives Manara.

    Nel 1987 su Corto Maltese tre episodi sulla vita di Teresa Naretti, personaggio storico delle colonie italiane nell’800. Testo Ressa, disegni Nives Manara. Ristampati sul Corto Maltese francese come Souvenirs d’Afrique nel 1988.

    Nel 1996-97 su Rivista Aeronautica due episodi di Sciré, personaggio storico, ultimo ascaro della colonia di Somalia. Testo Ressa, disegni Lele Vianello.

    Nel 2012 le storie di Sciré vengono edite in volume da edizioni Di col titolo Ali Eroiche.

    Quattro episodi africani in Cristiani, volume a fumetti autoprodotto, 2021.

    Nel cassetto ho un romanzo storico su Teresa Naretti di 161 pagine con 31 illustrazioni fuori testo di Nives Manara.

    Franco Ressa

  2. Bell’articolo, interessante rassegna della rappresentazione dell’Africa nel fumetto occidentale.
    Trattandosi sostanzialmente della ristampa dello stesso articolo già pubblicato nel 2009 su “I segreti di Pulcinella” mi chiedo se negli ultimi 13 anni non ci sia stato altro di significativo pubblicato in questo filone.
    Grazie

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