Non bisognerebbe mai lavorare in coppia. Nella maggior parte dei casi, insegna la Storia, si finisce con lo scontro, le recriminazioni reciproche, il tentativo di sminuire il contributo dell’altro.

Sono scoppiate coppie celebri nel campo della musica (Lennon e McCartney, Mogol e Battisti, Simon e Garfunkel), del cinema (da Laurel e Hardy giù giù a Boldi e De Sica), della tecnologia (Larry Page e Sergey Brin, fondatori di Google). E anche laddove la coppia ufficialmente non vi è stata, sono spesso nate discussioni sull’importanza dei diversi contributi a un comune progetto. Si sa, ad esempio, che lo sceneggiatore Cesare Zavattini si considerava il vero “padre” del neorealismo, avendo scritto alcuni dei film più celebri, ancorché dietro la macchina da presa vi fosse Vittorio De Sica. E se Walt Disney è considerato il padre ufficiale di Topolino, da anni si rivaluta la figura dell’ “uomo nell’ombra” Ub Iwerks.

Nel campo del fumetto la cosa è piuttosto complicata, perché è quasi impossibile operare da soli. Per lo più i comics sono un lavoro d’equipe, con uno scrittore, un disegnatore, un rifinitore, un colorista, un grafico. E dunque nemmeno in questo campo sono mancati scontri epocali, il più celebre dei quali forse è quello tra Stan Lee e Jack Kirby. I due firmarono insieme, come sceneggiatore e disegnatore, alcuni dei personaggi più celebri su cui ancora oggi si reggono le sorti economiche e artistiche della casa editrice Marvel; ma sin dal 1989 Kirby sparò a zero su Lee, accusandolo di aver usurpato i suoi meriti, giungendo ad affermare che l’ex partner non aveva mai scritto una riga in vita sua.

In Italia, uno dei casi più celebri di coppia fumettistica è quella di Luciano Secchi (Max Bunker) e Roberto Raviola (Magnus). I due lavorarono insieme, come scrittore e disegnatore, dal 1964 al 1975, creando personaggi celeberrimi come Kriminal, Satanik, Agente SS018, Gesebel, Maxmagnus, Alan Ford. Quando Magnus abbandonò quest’ultima serie, con il n. 75, iniziando una carriera solista che lo avrebbe visto quasi sempre anche autore dei testi, Bunker la proseguì con altri disegnatori, comportandosi da esclusivo titolare della paternità del personaggio.

Come in molti altri casi anche qui, con gli anni, si sono formati due partiti; chi tende a simpatizzare per lo scrittore, chi per il disegnatore. Ammiratori, famigli, seguaci, spesso si mostrano poco inclini all’obbiettività della ricerca storica, animati da simpatie aprioristiche. A complicare la cosa vi è la circostanza che Magnus è morto ancora nel pieno della sua maturità artistica, mentre Bunker prosegue nella sua opera, avendo raggiunto, proprio con Alan Ford, un risultato che ha dell’incredibile e che si tende spesso a minimizzare: quello di essere ancora presente in edicola, nonostante le cicliche crisi di mercato, dal 1969 ad oggi, con una sequenza ininterrotta di episodi mensili tutti scritti esclusivamente da lui.

Se, nell’ambito del civile dibattito e dello (spesso meno civile) scontro sui social network, ognuno è libero di dire la sua, esiste però una figura istituzionalmente chiamata a stabilire chi abbia ragione: il giudice. Quando infatti non si riesce a perseguire la soluzione di un conflitto, non resta che affidarsi al tribunale e confidare di trovarvi qualcuno in grado di assumere una decisione corretta. E così è stato anche nel nostro caso.

Per la verità, vivo Magnus, i due artisti non ebbero mai dei veri e propri scontri pubblici. Bunker anzi ottenne che l’antico partner tornasse ai disegni di Alan Ford per il n. 200, apparso nel 1986; e i rapporti non dovevano essere cattivi se Raviola, in una intervista a Fumo di China del 1991 (cinque anni prima della sua scomparsa), parlava con apparente bonomia delle nuove proposte di lavoro di Secchi.

Ma i diritti sono sempre trasmissibili agli eredi; e così, nel 1999, la vedova Margherita Fantuzzi, e i figli Francesca e Riccardo, si sono rivolti al Tribunale di Milano per chiedere che Luciano Secchi personalmente, e la società Max Bunker Press, fossero condannati al riconoscimento dei diritti spettanti in vita al loro congiunto.

Di questa causa si è sempre parlato abbastanza poco sulle riviste di settore, e l’esito non è stato riferito in maniera completa, forse perché, tra i cronisti di vicende fumettistiche, non tutti hanno delle conoscenze di diritto.

Per la verità la vicenda è conclusa da tempo e non può certo dirsi di stringente attualità. Dopo la pronuncia del tribunale, del 2003, le parti andarono in appello; la Corte si è pronunciata nel 2011 (12 anni dopo l’inizio della causa… ma la disastrata giustizia italiana ci ha abituato a tempi biblici) e non c’è stato ricorso in Cassazione.

Il problema del rapporto tra i due artisti, però, torna periodicamente di attualità. L’ultima occasione è stata la recente ristampa in volume di Maxmagnus, con il nome del solo Bunker in copertina; una situazione che ha, ancora una volta, rinfocolato gli animi e dato vita a nuove discussioni sui social network.

Proviamo quindi a fare il punto della situazione, attingendo ai dati ricavabili dalla sentenza della Corte d’Appello di Milano (presidente Giuseppe Patrone, estensore Maria Rosaria Sodano), non senza ricordare che le sentenze sono pronunciate in nome del popolo italiano e sono pubbliche; chiunque ne può chiedere copia per ragioni di studio.

L’iniziativa legale degli eredi Magnus aveva a che fare innanzitutto con una richiesta di royalties, cioè di importi dovuti quali diritti di sfruttamento economico dei personaggi. Veniva richiesta una somma di denaro a tale titolo non solo per le ristampe degli albi disegnati da Magnus, ma anche per tutti quelli realizzati da altri autori utilizzando la creazione grafica originaria.

Questa domanda è stata rigettata sia in primo grado che in appello; i giudici hanno dato atto dell’esistenza di un accordo tra i due artisti del 2/1/1970, con il quale Raviola aveva ceduto a Secchi tutti i diritti di sfruttamento economico dell’opera.

Resta però quello che la legge italiana sul diritto d’autore (risalente al 1941, ma più volte rammendata negli anni, come tante altre leggi di era fascista mai abrogate) definisce diritto morale; e cioè il diritto a vedersi accreditati come autori, o coautori, di una creazione di fantasia.

In questo senso la domanda degli eredi Magnus è stata accolta. È stato dichiarato che Magnus è l’autore della realizzazione grafica di Kriminal, Satanik, Gesebel, SS 018, Maxmagnus, Alan Ford; ed è stato condannato Secchi, e la sua casa editrice (successivamente posta in liquidazione) a riportare, su tutte le future pubblicazioni dei personaggi, l’identificazione di Magnus quale autore della realizzazione grafica.

La Max Bunker Press è stata anche condannata a corrispondere agli eredi Magnus una somma per lesione del diritto morale (da non confondere, si ripete, con le royalties); somma quantificata in misura cumulativa per il passato (ma la Corte di appello ha ritenuto prescritta buona parte di essa) e in misura fissa ad albo (€ 200) per ogni numero apparso senza l’indicazione di Magnus quale autore della realizzazione grafica.

Chi ha vinto e chi ha perso? Certamente hanno vinto in parte gli eredi Magnus, i quali hanno ottenuto l’inserimento della dizione che compare ora sugli albi di Alan Ford (dizione peraltro modificata con il tempo, e che da ultimo è: “creato da Max Bunker, realizzazione grafica di Magnus”). Hanno però viste denegate buona parte delle richieste economiche.

Luciano Secchi ha perso nella sua pretesa di vedersi riconoscere come esclusivo autore dei personaggi; ma la sconfitta non deve essergli pesata più di tanto, se ancora in una intervista di qualche anno fa, sul settimanale Sette (supplemento al Corriere della Sera), dichiarava con serenità: «Magnus è sempre stato un grandioso interprete delle mie sceneggiature. Che sono sempre e solo un mio parto. Nel bene e nel benissimo. Sono finito in causa con gli eredi di Magnus e sia in primo grado sia in appello è stato santificato che Max Bunker è l’autore di Alan Ford. Io creatore letterario e Magnus realizzatore grafico».

Ma come ha provato a sostenere la sua tesi in giudizio il Bunker nazionale? Così la Corte d’Appello sintetizza la sua posizione: <<l’unico effettivo autore delle opere doveva essere ritenuto Secchi Luciano, avendo il Raviola operato una mera traduzione grafica delle precise indicazioni impartitegli e non avendo, la sua opera, alcuna caratteristica di creatività>>. Il tutto era affidato alla richiesta di sentire, come testimoni, Paolo Piffarerio e Thea Valenti, i quali avrebbero dovuto rispondere a vari capitoli di prova, come: <<vero che, dopo aver consegnato il primo soggetto e la prima sceneggiatura a Paolo Piffarerio, Luciano Secchi incaricò Roberto Raviola di eseguire i disegni dell’opera Alan Ford>>; <<Vero che Roberto Raviola disegnò tutti i personaggi del Gruppo TNT in base alle descrizioni minuziose contenute nella prima sceneggiatura dell’opera?>>.

La Corte di Appello risolve la questione con poche, semplici parole: <<Non si può non ritenere come i personaggi creati dalla mente del Secchi e da lui descritti a Magnus perché prendessero corpo nel disegno, non possano non essere considerati come il frutto della felice collaborazione di due diverse e correlate creatività, l’una attinente alla sceneggiatura e ideazione dell’opera e l’altra attinente alla sua rappresentazione grafica. Né appare fondato ritenere che l’apporto di Magnus possa essere relegato ad un ruolo meramente esecutivo, pur se definito “molto pregevole dal punto di vista tecnico”. Infatti la realizzazione del tratto figurativo dei personaggi – fornita da uno stile inconfondibile e tale da caratterizzare l’opera come un vero e proprio “marchio di fabbrica” – seppure suggerita dal suo ideatore, non poteva non essere il frutto della fantasia e dell’immaginazione del disegnatore che per primo la pose in essere e cioè di Magnus, che ha, nel caso di specie, inventato e dunque creato – insieme a Secchi e in una posizione assolutamente paritetica – personaggi sino a quel momento inesistenti>>.

Fatta la tara dalle formule consuete del giuridichese (tra cui l’uso della doppia negazione), la Corte dimostra scioltezza di ragionamento nel definire l’essenza dei comics come linguaggio artistico. Mentre in altre, tra le rare sentenze del panorama giurisprudenziale italiano, si percepisce un imbarazzo e si usa il termine “fumetto” tra virgolette come se fosse una parola gergale o inelegante, la Corte milanese si dimostra convinta che il fumetto sia frutto di una collaborazione paritetica tra uno sceneggiatore e un disegnatore, per la semplice, ma in fondo incontrovertibile ragione, che l’idea di uno sceneggiatore resta nella sua mente fino a quando un disegnatore non la traduce in segno grafico.

Tanto ciò vero che la Corte nemmeno ammette le testimonianze richieste, dando per scontato che, se anche i testimoni richiesti da Secchi avessero confermato i capitoli di prova, non per questo sarebbe stato messo in discussione il diritto morale di Magnus come coautore.

Vi è anche una certa ironia nel percorso argomentativo dei giudici, i quali, per rinforzare il loro ragionamento, riportano, usandole contro di lui, proprio le stesse parole di Secchi. Essi infatti citano <<Un articolo giornalistico dal titolo “Dietro le quinte del primo numero”>>, dal quale estrapolano due frasi di Bunker: <<Il disegno assolutamente grottesco di Magnus era una novità assoluta>>; ed ancora: <<Nel frattempo Magnus continuava nella sua ricerca grafica per trovare un volto idoneo al personaggio che fosse bello ma non statico e il viso di Peter O’Toole fu quello che ispirò la matita del divino>>.

Bunker tradito da Bunker, dunque; proprio l’onestà nel riconoscere, nei suoi stessi scritti, l’importanza del contributo artistico dell’ex partner si è ritorta contro di lui quando la questione è finita in Tribunale e ha assunto una connotazione economica.

Volendo allargare il discorso più in generale ai rapporti tra ideatore letterario e grafico di un personaggio (e considerato che, come detto, questa sentenza rappresenta un caso piuttosto isolato in una giurisprudenza italiana poverissima di precedenti su cause simili), resta ovviamente qualche dubbio.

In primo luogo: la sentenza ha inteso realmente affermare che ogni disegnatore è coautore morale di un fumetto, o ciò ha affermato per Magnus in virtù della eccezionale caratura artistica di questi? La questione non è di poco conto se si pensa ad altri personaggi storici del fumetto italiano nei quali, tradizionalmente, l’aspetto letterario viene fatto prevalere su quello grafico. È il caso, ad esempio, di Diabolik, sempre presentato come ideazione delle sorelle Giussani e del quale, incredibilmente, non si conosce nemmeno l’identità del disegnatore del primo episodio.

Ma in un certo senso è il caso anche di Tex. Sebbene la casa editrice Bonelli non abbia mai inteso scendere in polemica con i propri disegnatori (Aurelio Galleppini da tempo è accreditato sugli albi come realizzatore grafico del personaggio), è anche vero che per anni il solo nome di Gianluigi Bonelli è apparso sulla serie. E non è mancato chi, nella critica fumettistica, ha accusato Tex di non avere nemmeno un vero e proprio viso riconoscibile; circostanza in un certo senso ammessa dallo stesso Galep, che confidava di essersi ispirato un po’ all’attore Gary Cooper, un po’ a se stesso, ma di aver sempre avuto qualche difficoltà a caratterizzare i volti e renderli diversi uno dall’altro.

Ed ancora: esiste comunque, per i giudici ambrosiani, una primogenitura della ideazione letteraria rispetto a quella grafica? Il dubbio potrebbe nascere dalla circostanza che sia stato imposto di riportare <<l’indicazione di Magnus quale autore della realizzazione grafica>> dei personaggi, e non quale coautore tout court. Così se sugli albi di Superman, ancora oggi e sin da un accordo stragiudiziale del 1978, si legge “Created by Jerry Siegel e Joe Shuster”, senza distinzione terminologica tra scrittore e disegnatore, l’attuale dizione sugli albi di Alan Ford (“creato da Max Bunker, realizzazione grafica di Magnus”) può sembrar lasciare un ulteriore margine per polemiche su chi sia effettivamente un “creatore”.

Polemiche che, si spera, non arrivino ancora nelle aule di giustizia.

© 2018 Francesco Lentano

 

LA SENTENZA

Un pensiero su “MAGNUS & BUNKER, LE CARTE DEL TRIBUNALE”
  1. I dissidi tra gli autori hanno purtroppo anche stoppato delle serie, come, in momenti diversi, le divertenti “Le ciccione volanti” ed “Harpo”; la sentenza descritta in questo interessantissimo articolo dà l’idea di come sia complessa da ricostruire la storia della serie e di come nacquero le idee; tante cose si potrebbero citare, dai personaggi simili a Grunf, Geremia ed Alan già apparsi sui “neri” sino al famoso Rob Robbea, dal ritardo di un anno nell’uscita di Alan Ford, da maggio 1968 a maggio 1969, sino allo stesso nome “Alan Ford”, già utilizzato dalla Corno nel 1961. Ed anche sui numeri successivi all’1 il discorso si farebbe complesso. Comunque si, Alan Ford ha raggiunto un traguardo di longevità invidiabile.
    Sui rapporti tra Magnus e la Corno, su un forum è apparsa una intervista tratta dal mensile “L’urlo” n.3 di aprile 1979.

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