Il caso di Eric, racconto psicologico

Antonio Limoncelli ha presentato recentemente una delle sue ultime pubblicazioni, a cui ho preso parte con un racconto, benché  l’argomento non mi fosse congeniale.
Si tratta di un’antologia di quaranta autori che nell’arco di cento pagine raccontano… Ansia e distruzione. Questo il titolo.
La monografia cartacea è a cura di Antonio Limoncelli e Anna Maria Zingales (Il Rabdomante, 2021).

Ho partecipato perché sono convinta che, nonostante la tensione vitale del creato tenda più o meno coscientemente alla felicità, a volte o molto spesso per acquisire questa tensione occorre passare attraverso l’infelicità. O meglio, quello che accade di spiacevole o tragico, può e dovrebbe essere senz’altro la spinta potente a instradarci verso la felicità. La felicità non è qualcosa che ci cade sulla testa così, senza un motivo. È una scelta, a volte molto coraggiosa.

La morale è che dalla distruzione ci si può risollevare. Anzi, in questo intento spietato ‒ dove la spietatezza è intesa non nel senso di crudeltà, ma di una determinazione che non conosce abbandono ‒ avviene una rinascita potente che permette al nuovo di sbocciare e spazzare via il passato, dando luogo a qualcosa di più grande, diverso, positivo. Se non altro per la nostra nuova posizione attiva di fronte al creato.

È singolare, per esempio, che il Libro dei Mutamenti (traslitterato dall’originale cinese in YìjīngP oppure I Ching) termini con il segno “Prima del compimento”, e non “Dopo il compimento” (che invece è il 63). Il motivo è che l’ultimo segno, il 64, rassomiglia alla primavera che conduce dal ristagno dell’inverno al tempo fecondo dell’estate. Il segno raffigura, cioè, il trapasso dal caos all’ordine, e sta alla fine del Libro perché richiama l’attenzione sul fatto che in ogni fine è insito un nuovo principio.

Il Libro dei Mutamenti è il primo dei testi classici cinesi redatto prima della nascita dell’impero cinese, intorno al decimo secolo a.C., e presenta nei suoi 64 capitoli l’esistenza e le sue connessioni.

Su questo presupposto, ho raccontato una storia. Una storia psicologica, il cui protagonista è un ragazzino a cui è successo un fatto. Poteva essere qualsiasi fatto, non ha importanza quale. L’importante non sono le condizioni, tutti hanno delle condizioni e per alcuni certe condizioni, che ad altri paiono insostenibili, per altri non lo sono. Dipende dalla percezione. Ma da qualsiasi condizione si può uscire.

A fine racconto, che riporto di seguito, ci sono l’indice della monografia e le coordinate tipografiche.

 

Il caso di Eric
racconto psicologico

 

Il dottor Carl si bloccò sul quel passo illuminante: “E voglio che tu scelga un momento nel passato in cui eri una bambina piccola piccola.
E la mia voce ti accompagnerà. E la mia voce si muterà in quelle dei tuoi genitori, dei tuoi vicini, dei tuoi amici, dei tuoi compagni di scuola e di giochi, dei tuoi maestri.
E voglio che ti ritrovi seduta in classe, bambina piccolina che si sente felice di qualcosa, qualcosa avvenuto tanto tempo fa, qualcosa tanto tempo fa dimenticato.”

Chiuse gli occhi e lasciò fluire i pensieri, il libro aperto in grembo. Alzandosi dalla poltrona, si risolse e pronunciò a mezza voce: «Milton Erickson era un genio!».
Aveva trascorso l’intera serata preoccupato perché, all’indomani, avrebbe ricevuto Eric e ancora non sapeva come provocare il ricordo nel ragazzo. Temeva un’abreazione troppo violenta, un rivissuto emozionale scioccante, un riaffiorare del passato così traumatico da invalidare il lavoro di tre anni. Ed Eric non poteva permetterselo. Lo aveva trovato e preso sull’orlo del suicidio, isolato, incapace di stare con gli altri, ma ora aveva persino ricominciato ad andare a scuola e forse gironzolava attorno a una ragazzina.
D’altra parte, non poteva nemmeno comunicargli che la terapia era conclusa. Il vero dramma non era ancora uscito e restava nell’ombra, rimosso, pronto a riagguantarlo.
Stirandosi lentamente la poca barba, lo psichiatra valutò e rivalutò tutte le opzioni possibili per l’ennesima volta. Infine, decise come svelargli quello che un tempo era stato dimenticato.

«… Stai andando benissimo, Eric. Continua… Ti ho indotto uno stato di ipnosi vigile, sei consapevole. Vorrei che adesso continuassi a raccontarmi la fiaba di Ror. Quella fiaba che non hai mai terminato. Ricordi? Ti fermavi sempre sulla porta. Eppure il tuo grande desiderio è sempre stato quello di aprirla e vedere che cosa ci fosse dietro. Mi piacerebbe ascoltarla dall’inizio e sapere anche come si conclude.»
Tutto era cominciato il giorno in cui gli aveva fatto il test di Rorschach. Era finita che il paziente ci aveva costruito una storia e il protagonista era stato chiamato Ror.
«Ah, sono in trance, dottore? Non me ne ero accorto. La fiaba… certo… ora lo faccio…»
Il dottor Carl tornò a sedersi e aspettò che Eric cominciasse. Il ragazzo riprese a parlare.
«Ror era un bambino che aveva uno strano talento: quando incontravi i suoi occhi era come vedere un bagno di riflessi, di se stessi, come quando ci si guarda in uno specchio, incapace di nascondere le virtù, ma anche i difetti. Pochi riuscivano a sostenere il suo sguardo silenzioso e diritto.»
«Interessante, Eric. Continua.»
«Per lui il mondo era diventato complicato. C’era chi aveva troppo e chi nemmeno il necessario, chi piangeva per futilità e chi sapeva ridere di niente, chi compiva delitti ed era onorato, e chi faceva del bene e veniva imprigionato. Ror guardava e taceva, mentre il suo giovane cuore tremante si gonfiava di pianto. In giro parlavano di una terra favolosa dove i giorni e le opere della gente erano protetti dalla pace; ma Ror non poteva lasciare quella casa. Non poteva abbandonare i suoi due fratelli nella casa del mostro. Un giorno, quando sarebbe diventato più grande, li avrebbe difesi e liberati, e loro lo avrebbero portato nella terra promessa.»
«Chi era il mostro, Eric?» lo interruppe il dottor Carl, staccando la pipa dalle labbra. E le mani gli tremarono un poco.
«Il Rospo, un enorme rospo peloso e dalla pelle butterata. Li teneva schiavi: i fratelli lavoravano per lui, Ror cucinava e puliva la casa. La sera, quando tornava, tutti dovevano essere pronti ad accoglierlo, altrimenti li picchiava. Spesso rientrava ubriaco e la cena restava abbandonata sul tavolo, non toccata. Spingeva i due fratelli più grandi in cantina, reso pazzo da una rabbia cieca che lo consumava, e per un certo periodo Ror sentiva i fratelli piangere e urlare. Il cuore gli si spezzava ogni volta. La mattina li vedeva tornare in cucina silenziosi e disfatti. Mangiavano e uscivano senza nemmeno il coraggio di levare gli occhi su Ror.»
«E il Rospo che faceva, Eric? Restava in casa con Ror?»
«Oh no, il Rospo usciva subito dopo di loro. Neanche lui osava guardare negli occhi Ror. Gli parlava poco, solo per dirgli quello che doveva fare.»
«Capisco… Vuoi continuare, Eric?»
«Sì… Be’, una notte le urla dei fratelli chiusi in cantina furono più alte del solito e Ror non ce la fece più a sentirli piangere in quel modo disperato. Si avvicinò alla porta e guardò dal buco della serratura.»
«E cosa vide?» gli chiese il dottor Carl, stringendo forte tra i denti il cannello della pipa.
Eric aveva preso a stropicciarsi le dita con fare nervoso, mentre tendeva il busto in avanti. Il dottor Carl intervenne subito: «Qualcosa non va, Eric?»
«No, tutto bene… Sto guardando dal buco della serratura.»
«E cosa vedi?» tornò a chiedergli il medico, cogliendo al volo le parole del ragazzo che d’improvviso stava raccontando in prima persona.
«Il Rospo. I miei fratelli sono in un angolo con gli occhi sbarrati. Mugolano come gattini. Il Rospo si avvicina. Prende uno dei due e lo sbatte sul tavolo vicino; gli fa tanto male.»
«Hai capito che cosa succede ai tuoi fratelli?»
«Sì, lo capisco molto bene.»
Il dottor Carl tirò un sospiro prima di accingersi a fare la domanda decisiva.
«Eric, tu sai chi è Ror?»
«Ror… ehhh… Ror sono io!»
«È vero. Ora vuoi finire la storia, Eric?»
«Sì…»
Il ragazzo restò pensoso per lunghi attimi. Il medico ritenne di stare fermo e zitto. Stava giocando l’ultima carta. E fece bene, perché il ragazzo riprese senza essere invitato a continuare.
«La sera del giorno dopo, Ror…» il ragazzo fece una pausa, «cioè, io…» e poi riprese speditamente, «… si sciacquò per bene il viso fissandosi allo specchio. Il suo sguardo era fiero. Aveva deciso: era pronto a combattere. Uscendo sul pianerottolo di casa, si fermò qualche minuto a godersi il venticello del traffico che andava su e giù per la strada. Accucciato davanti alla porta, aspettava il ritorno del Rospo e dei suoi fratelli.»
«Hai paura, Eric?»
«Non sai quanta!» gli rispose il ragazzo, con una smorfia di terrore sul viso.
«Che cosa succede, dopo? Vai avanti» lo sollecitò il dottore. “O adesso o mai più” pensò tra sé, deciso anche lui.
«Li vedo rientrare insieme, il Rospo è ubriaco. Li prende per un braccio e li spinge in cantina. La cena è pronta, tento di dire io per fermarlo, ma il Rospo mi scosta con uno spintone e chiude la porta della cantina. Sento i miei fratelli piangere e urlare, ma stavolta non guardo dal buco della serratura.»
«E cosa fai, Eric? »
«Apro la porta, si è dimenticato di chiuderla a chiave! Prendo l’attizzatoio del camino, scendo le scale piano, ho tanta paura che si volti, il Rospo ha i pantaloni abbassati e spinge contro il tavolo, e poi alzo l’attizzatoio e, sbam!, glielo calo sulla testa. Glielo calo sulla testa un’altra volta. Lui si gira e vedo il suo volto grondante di sangue, viene verso di me barcollando, mi prende, mi alza e mi butta contro il muro. Non vedo più niente. Non sento più niente.»
«Sai anche che cosa succede, dopo?»
«Sì, il Rospo continua a colpirmi, allora uno dei miei fratelli prende l’attizzatoio che mi è caduto dalle mani e glielo sbatte addosso tante volte. Il Rospo mi dimentica e si gira, li prende a pugni, urlano tutti. Adesso è morto. Mi sento morto anch’io.»
«Tu non sei morto, Eric. Sei in coma. E ci resterai per due mesi, ma al risveglio non avrai più alcun ricordo di quello che è successo.»
Il viso di Eric si distese.
«Ma ora ho ricordato tutto. Che strano! È come se avessi sempre saputo. C’era questo, quindi, dietro quella porta!»
Il dottore guardò il viso stupefatto del ragazzo e tirò una boccata di tabacco, la prima di cui finalmente riuscisse a sentire il sapore.
Eric sorrideva, adesso. Liberato.
«Sì, Eric. Ora sai come andarono le cose e non lo scorderai più. Tra poco uscirai di qui e avrai bisogno di un po’ di tempo per abituarti all’idea. Ma noi ci rivedremo, e quando tornerai faremo un’ultima cosa. Scriveremo una bella lettera ai tuoi fratelli in cui gli dirai che stai bene, che li ringrazi del loro ultimo sacrificio, che sei vivo e felice. In pace, nella terra promessa. Quel giorno spedirai loro la lettera. Andrai sulla cima di una collina, in un limpido giorno di sole, e la brucerai. Darai loro l’ultimo addio. Siamo d’accordo?»

 

Questo racconto è World © di Tea C. Blanc. All rights reserved.

 

Autori Vari: Ansia e distruzione (Il Rabdomante, 2021)

 

AUTORI VARI: ANSIA E DISTRUZIONE, a cura di Antonio Limoncelli e Anna Maria Zingales (Il Rabdomante, collana “i Dorsetti”, 2021).
Proprietà letteraria riservata © il Rabdomante 2021.
Gli scritti restano proprietà degli autori.
Grafica di Anna Maria Zingales. Impaginazione di Antonio Limoncelli. Copertina: Foto di Antonio Limoncelli. Finito di stampare nel mese di gennaio dell’anno 2021 presso Arcadia Digital Press Capo d’Orlando (ME)

PREFAZIONE

Ansia e distruzione (Antonio Limoncelli)
La prefazione viaggia dentro le vostre opere.

FLUSSI E RIFLESSIONI

Fotografia di Sara Manotti
Diego Giovanni Paolo Greco Ansia e distruzione – Attitudine acquisita o dono elargito
Gerardo Sinatore – Ansia e distruzione
Francesco Vitale – Riflessioni su ansia e distruzione
Antonio Limoncelli – Chi uccide una giraffa non conosce Modigliani
Daniele Cacciato – Non lo so…
Selenia Bellavia – Ritratto di una semibreve appena nata [estratto]
Enrico Marra – Potrei essere un istante… / E così…
Pietro Romano – Io distorto esploso
Paolo Battista – Com’è bella via Piave alle sette di sera, bella e disperata
Nicoletta Pizzolo – Ansia e distruzione
Chiara Scarfò – Si apre il sipario… / L’uomo, la bestia…
Maria Teresa Simões – Vou partir sem voltar

STORIE E RACCONTI

Fotografia di Maria Serra
Tea C. Blanc – Il caso di Eric
Angela Botta – Nelle profondità insondabili
Oreste Bevelli – Respiro uno, due, tre
Giusy Capone – C’è una farfalla intrappolata nel cervelletto?
Keim Matteo Camarda – Juena Von Harnym
Lucia Ferrara – L’ora blu
Furio LC Rex – La cripta
Francesca Falco – L’amore malato
Paola Fagone – Ansia e prescrizioni
Izabella Teresa Kostka – Un atterraggio di emergenza
Maria La Bianca- Sarebbe bastato
Asia Limoncelli – Voci nell’anima
Gandolfo Li Puma – Cohiba
Pippo Montedoro – S.i.m.d.J.
Massimiliano Moresco – Edera
Ilaria Palomba – Calvario
Alma Passarelli Pula – Le voci di Xiara (Sciara)
Rosa Johanna Pintus – Ipsius
Gianni Priano – Zoofilia
Simonetta Pancotti – Le mie prime vacanze da sposata
Danilo Querenzi – Il teatro dell’immaginario
Regina Re – L’angelo
Alberto Sordi – Ingrid
Stefano Vitale – La lettera
Simone Volponi – Schizzo in mare

APPENDICE

Pensieri su “Passione e oblio” di Enrico Fracassi (Filomena Ciavarella).

 

L’immagine di anteprima è ©Kevin Pun

Un pensiero su “IL CASO DI ERIC, UN RACCONTO PSICOLOGICO”
  1. Estratto dalla prefazione di Ansia e distruzione: la monografia dell’agitazione concentrica
    In un bagno di riflessi il mostro, un rospo enorme, l’io doppio d’una fiaba con psichiatra aggiunto e un test di Rorschach, pretende dalla realtà la cura che trasformi il riaffiorare traumatico di violenze in un vissuto normale. Accettare il rimosso più o meno remoto consente di apprezzare un limpido giorno di sole. Dallo specchio cieco d’un rimando oscuro allo sguardo fiero che lo spinge a combattere l’orrore che ha dentro. (Antonio Limoncelli)

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