Giuseppe figlio di Mattia, ebreo di famiglia di sacerdoti, nasce nel 37-38 a Gerusalemme, visita Roma al tempo dell’imperatore Nerone e ritorna in Israele durante la rivolta contro la dominazione romana. Quando però le legioni soffocano il movimento di indipendenza, Giuseppe passa dalla parte del generale Flavio Vespasiano come suo confidente. Divenuto imperatore, l’omaggia assumendo il suo cognome: Giuseppe Flavio.

Da allora in poi come funzionario della corte imperiale a Roma, Giuseppe scrive un libro dove riassume la storia del popolo ebraico dal patriarca Abramo alla rivolta appena fallita. Negli ultimi capitoli fa menzione dell’esistenza di Gesù e della sua risurrezione (ma secondo gli studiosi si tratterebbe di un’interpolazione dato che un ebreo non avrebbe potuto aderire al punto di vista cristiano – NdR), subito dopo racconta un episodio accaduto a Roma nel 19. Una burla boccaccesca che però finisce in tragedia: l’imperatore Tiberio fa crocifiggere i furbastri e interessati sacerdoti di Iside la dea egizia, e una donna che ha fatto da tramite, Ida.

Ecco il tessto di Giuseppe Flavio tratto da “Antichità Giudaiche”, Libro XVIII.

 – Allo stesso tempo, circa, visse Gesù, uomo saggio, se pure uno lo può chiamare uomo; poiché egli compì opere sorprendenti, e fu maestro di persone che accoglievano con piacere la verità. Egli conquistò molti Giudei e molti Greci. Egli era il Cristo.

Quando Pilato udì che era accusato dai principali nostri uomini , lo condannò alla croce. Coloro che fin da principio lo avevano amato non cessarono di aderire a lui. Nel terzo giorno, apparve loro nuovamente vivo perché i profeti di Dio avevano profetato queste e innumeri altre cose meravigliose su di lui. E fino ad oggi non è venuta meno la tribù di coloro che da lui sono detti Cristiani.

Nello stesso periodo un altro orribile evento gettò lo scompiglio tra i Giudei e contemporaneamente avvennero azioni di natura scandalosa in connessione al tempio di Iside in Roma. Prima farò parola del’eccesso dei seguaci di Iside, tornerò poi in seguito alle cose avvenute ai Giudei.

C’era una signora Paolina che discendeva da un nobile romano e la sua pratica della virtù era tenuta in alta considerazione, godeva ancora del prestigio della ricchezza, aveva avvenenti fattezze ed era nell’età in cui le donne sono molto esuberanti e aveva indirizzato la propria vita a una buona condotta. Era sposata a Saturnino, uomo sotto ogni aspetto degnissimo della reputazione di lei.

Decio Mundo, persona distinta del’ordine equestre, si invaghì di lei. Ma, siccome non era donna che si lasciasse vincere da donativi, anzi non si curava dei moltissimi doni che le aveva mandato, in lui crebbe sempre più la passione fino a prometterle duecentomila dracme attiche purché per una sola volta potesse condividere il letto di lei.

Ma ella non si piegò neppure a tanto, ed egli, non reggendo alla propria passione non corrisposta, pensò che era meglio finire la vita d’inedia, a motivo del male che lei gli faceva soffrire. Egli, dunque, si condannò a una morte del genere ed era in procinto di risolversi così.

Tuttavia Mundo aveva una donna libera di nome Ida, che era stata emancipata da suo padre; lei non sopportava che il giovane avesse deciso di morire, perché era ovvio quello che lui voleva; andò da lui per consolarlo e dargli buone speranze promettendogli che lei sarebbe riuscita a fare sì che avesse successo nelle relazioni intime con Paolina.

Dopo che egli accolse con gioia l’opportunità, lei disse che le abbisognavano non meno di cinquantamila dracme per assicurarsi la donna. Le proposte incoraggiarono il giovane e lei ricevette la somma richiesta; ma la donna si avvide poi che quella signora non si poteva prendere con i denari e così non si attenne alla strada che aveva concertato. Conoscendo la grande devozione che aveva verso Iside, Ida macchinò un altro stratagemma.

Ebbe un incontro con alcuni sacerdoti, promise loro la sicurezza e soprattutto diede subito venticinquemila dracme, ne promise altre venticinquemila una volta riuscito l’inganno; palesò loro la passione del giovane, incoraggiandoli a tentare ogni mezzo affinché il giovane rimanesse soddisfatto.

Colpiti e abbagliati dall’oro, essi lo promisero. Il più anziano di loro andò in fretta da Paolina: introdotto, domandò un’udienza segreta e, ottenutala, le disse di essere inviato dal dio Anubi; dio che si era innamorato di lei e voleva che andasse da lui.

L’annunzio era quanto di meglio lei desiderasse. Non solo lei si vantò con le signore sue amiche di tale invito di Anubi, ma comunicò a suo marito l’invito a cena e la comunione del letto con Anubi; ed egli acconsentì ben conoscendo quanto sua moglie fosse una donna pudica.

Andò al tempio. Dopo la cena, quando giunse il tempo per dormire, le porte del tempio furono chiuse dai sacerdoti e le lampade vennero spente. Mundo, che fino allora era stato nascosto, non fu respinto e ottenne la comunione con lei. Fu il servizio di una lunga notte avvenuta con la credenza che egli fosse il dio.

Lui se ne andò via prima che si muovessero i sacerdoti non consapevoli dell’ inganno. Paolina, tornata per tempo a casa, narrò al marito l’apparizione di Anubi, e con le signore sue amiche ingrandì e si vantò del fatto.

Quelli che udivano, considerata la cosa in se stessa, restavano increduli; tuttavia, d’altra parte, valutata la pudicizia e la posizione sociale della donna, restavano stupiti.

Due giorni dopo il fatto, Mundo l’incontrò e le disse: “Paolina, tu mi hai fatto risparmiare duecentomila dracme, che avresti potuto aggiungere ai tuoi averi, e hai ancora portato alla perfezione il servizio che io desideravo compiere. Quanto alla tua voglia di burlare Mundo, io non mi interesso dei nomi, tuttavia per il piacere che mi è derivato dall’atto, ho adottato il nome di Anubi”. E con queste parole se ne andò.

Essa aprì finalmente gli occhi per conoscere la vile azione compiuta, si stracciò le vesti, manifestò al marito l’enormità della sua azione, e lo supplicò di acconsentire a rimediare. Egli portò la cosa a conoscenza del’imperatore.

Quando Tiberio accertò ogni cosa per mezzo dei sacerdoti, fece crocifiggere loro e Ida, poiché questa era all’origine dell’azione diabolica ed era stata lei ad architettare il complotto contro l’onore di una matrona. Indi abbatté il tempio e ordinò che la statua di Iside fosse gettata nel Tevere.

La condanna per Mundo fu l’esilio, giudicando che avesse peccato per la violenza della passione, perciò bastasse un tale castigo e non dovesse punirlo in modo più severo. Queste furono le azioni irrispettose, commesse dai sacerdoti del tempio di Iside. Ora ritorno a narrare la storia che ho promesso di raccontare su ciò che accadde ai Giudei in Roma. –

Fin qui il testo di Giuseppe Flavio sulla “beffa” orchestrata da Ida. L’esecuzione delle condanne di Ida e dei sacerdoti di Iside sarebbe avvenuta nel circo massimo di Roma. Ida è un nome che potrebbe ricordare una montagna della Grecia, ma più verosimilmente si tratta di un nominativo germanico. Lo stesso Tiberio e suo nipote Giulio “Germanico” avevano fatto razzia di schiavi germani nelle loro spedizioni militari.

Giuseppe Flavio inserisce l’episodio della beffa giocata a Paolina come esempio di falsità e inganno delle religioni pagane, in particolare il culto degli dei egizi rispetto alla serietà religiosa degli ebrei e la loro fedeltà alla Bibbia e al dio unico (il che pare strano tenuto conto del fatto che il suo protettore Vespasiano era devoto a Iside – NdR). Vengono poi riferite le persecuzioni che gli ebrei hanno dovuto subire in Roma e altrove a causa del dominio romano, un’anticipazione di ciò che succederà ai cristiani nei tempi posteriori con molte più vittime. Mentre gli ebrei non cercavano di avere nuovi proseliti, i cristiani fonderanno il loro apostolato sulla conversione di tutti i pagani alla nuova religione. Ci vorranno tre secoli e scorrerà molto sangue, ma i cristiani avranno partita vinta.
Tiberio fece arruolare a forza 4000 ebrei residenti a Roma e li trasferì in Sardegna. Qui molti morirono combattendo contro i briganti e ribelli sardi o per malattie e stenti.

Da questa storia si evince che le persecuzioni religiose non riguardarono solo il cristianesimo e l’ebraismo, ma anche i culti orientali come quello egizio di Iside, che alcuni imperatori favorirono, altri non tollerarono.

Nell’anno 19 Gesù era vivente, aveva poco più di venti anni e probabilmente lavorava come falegname a Nazaret. Potrebbe essergli arrivato all’orecchio quello che era accaduto a una donna di nome Ida nella lontana città di Roma, unica donna la cui crocifissione sia documentata.
Nella serie dei martiri cristiani è tradizione che solo santa Giulia di Cartagine abbia subito questa pena, ma è incerta l’epoca: la metà del terzo secolo o duecento anni dopo.

IDA CONDANNATA ALLA CROCIFISSIONE


Le immagini – Qui sopra: Santa Giulia, dipinto di Gabriel von Max; in apertura dell’articolo: particolare di un affresco nel tempio di Iside a Ercolano.



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