In questo sorprendente documentario, seguiamo la rocambolesca carriera di Joe Sarno, misconosciuto regista pioniere dei film soft core che, prima dell’avvento del porno, riempivano i cinemini newyorkesi sulla 42sima strada negli anni sessanta.
Un regista che usava il sesso per indagare le complicate relazioni tra uomini e donne.

Dimenticate i budget milionari, le strapagate star di Hollywood, la distribuzione in centinaia di sale e il battage mediatico che circonda dive e divi. Dimenticate le code ai botteghini, le recensioni lusinghiere, il tam tam dei fan sulla rete: lasciatevi rapire dal fascino torbido del cinema di frontiera.

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Pessime sale, ormai leggendarie, sulla 42esima strada, a ogni ora del giorno e della notte hanno proposto a un improbabile pubblico di affezionati trame shock per temi pop: sessualità sbarazzina e disinvolta, terrore puro, violenza gratuita. Un film d’exploitation, per definizione, accentua ed esalta caratteri che parlano alla pancia e al cuore del suo pubblico, prima che alla testa.

In questo documentario, I Sarno – Una vita nel porno, conosciamo uno maestro assoluto del sexploitation, definito da alcuni, con meno sarcasmo di quanto potrebbe sembrare, “il Bergman del porno”. Joe Sarno è stato a suo modo un pioniere, regista misconosciuto che però ha diretto tanti di quei film soft core che, prima dell’avvento del porno, riempivano i cinema più popolari di New York negli anni sessanta.

A differenza dei lungometraggi esclusivamente incentrati sul sesso, nei film di Sarno questo elemento non è che una modalità, particolarmente autentica e disinibita, attraverso cui osservare relazioni e dinamiche tra uomini e donne, spesso dal punto di vista femminile.

Con un titolo come “I Sarno – Una vita nel il porno” sarebbe pienamente giustificato pensare ad un documentario sulla pornografia e magari passare oltre.

Ma nonostante il regista cult e sceneggiatore Joseph W. Sarno, sia l’autore di film come il Peccati in periferia, Notti Calde e Caldi Piaceri, Tutti i Peccati di Sodoma, Gola Profonda Parte II, Profondamente Annie, Little Oral Annie, Horneymooners II, Le Avventure Erotiche di Bedman e Throbbin, Venire in America e Fatti la cosa giusta (per citarne solo alcuni), il porno non è esattamente il genere per il quale questo regista abbia raggiunto una certa fama.

Il confine tra soft-core, sexploitation e pornografia può essere estremamente sottile, ma Sarno non ha mai voluto superarlo. Al contrario, ha sempre considerato volgare la pornografia, attribuendo a essa e al suo rifiuto di seguirne l’onda, dagli anni ottanta in poi, il declino del suo cinema.
Ma la storia è molto più complessa, e come sempre, riguarda l’arte, l’amore ed il denaro.

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Il documentario “I Sarno – Una vita nel il porno” si concentra soprattutto sul rapporto tra Sarno e la moglie, sua fedele collaboratrice fin dagli inizi, negli anni sessanta, l’attrice Peggy Steffans.

Il regista svedese Viktor Ericsson non si limita a seguire la declinante carriera di un vecchio regista di film di serie B, un pensionato di cui probabilmente non avete mai sentito parlare. Ericsson permette ai Sarno di raccontare la propria vita, l’amore, e la carriera, dal punto di vista di quella che è la loro vita, oggi.

Con un Joe Sarno prossimo ai 90 anni, dato che gran parte di questo documentario è stato girato nel 2010, si ripercorre la sua carriera professionale, che inizia nei primi anni sessanta.
A tal fine, Ericsson utilizza le memorie del regista per tracciare una storia del suo cinema dai primi esperimenti a oggi, quando lo seguiamo ormai anziano nei tentativi di tradurre nel suo ultimo film la sceneggiatura che ha appena terminato di battere alla macchina da scrivere.

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Dati il genere ed i titoli, si potrebbe pensare che i film di Sarno fossero opere volgari, indirizzate ad un certo specifico mercato. Ed in effetti, il sottogenere sexploitation non è esattamente roba intellettuale o da premio Oscar.

È dunque sorprendente scoprire il successo di critica di cui Sarno ha goduto nel corso degli anni per un genere di film che di solito viene valutato per le doti estetiche delle interpreti e per le situazioni pruriginose, più che per il valore artistico delle trame e delle inquadrature.

Sarno invece è presentato come un artista che si trova ad operare in un genere lascivo quasi per sbaglio: il genere è secondario, quel che importa è la sua arte, la capacità di indagare i caratteri femminili, la tecnica registica, l’uso del mezzo cinematografico.

Fin dai primi film più “bergmaniani”, in cui Sarno affronta il genere con uno stile malinconico e introspettivo che non entusiasma i produttori, protagoniste sono le donne, donne che a un certo punto della vita scoprono la propria sessualità e si emancipano attraverso di essa, conquistando una libertà che non è limitata al sesso ma riguarda la vita.

Gli uomini rimangono sullo sfondo, sono solo comparse quasi mai determinanti, se non come appassionati compagni o figure oppressive.

Le donne di Joe Sarno non vengono usate, e se sono vittime, ben presto si ribellano agli uomini e alla morale borghese. Nei suoi film non vi sono mai inquadrature hard-core, anzi, vi troviamo l’esplorazione appassionata del viso di una donna che ha un vero orgasmo, la sua fronte contratta dal piacere.

Le opere del periodo “sexploitation” sono caratterizzate da profondi chiaroscuri, lunghi piani sequenza, e dalla rigorosa messa in scena. Egli era anche noto per le trame, per lo più incentrate sulle ansie psico-sessuali e sullo sviluppo dell’identità sessuale.

A partire dal 1968, il lavoro di Sarno diventa un po’ più esplicito, assecondando l’emergere del genere soft-core.

Dopo il 1968, il lavoro soft-core di Sarno si divide tra film prodotti negli Stati Uniti e film prodotti in Europa, principalmente in Svezia, Germania e Danimarca, dove trova finanziamenti e maggiore libertà espressiva, anche se molte produzioni europee sono comunque realizzate con finanziamenti americani. In Europa, lavora con attrici come Marie Liljedahl, Christina Lindberg, Helli Louise e Marie Forsa.

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Ericsson non tralascia di mostrare il lavoro di Sarno. Il documentario è ricco di scene tratte dai film, molte delle quali potrebbero far impallidire i lettori di Cinquanta Sfumature di Grigio. Tuttavia, Ericcson si concentra di più sulla “vita” che sul “porno” del titolo.

Il rapporto tra Sarno e la moglie Peggy è esaminato più di ogni altro aspetto della sua vita e della sua carriera. Peggy Steffans è sempre stata profondamente coinvolta nel lavoro di Sarno come sua collaboratrice di produzione, ma anche il ricordo del passato si concentra molto più sul rapporto di coppia che sulla collaborazione professionale.

Un romantico rapporto di collaborazione, amicizia, amore e stima reciproca che perdura nella vecchiaia, ed è commovente osservare la coppia nel modesto rifugio svedese, portare alla luce vecchi ricordi, frugare nella cantina tra le vecchie scenografie (il cavalluccio a dondolo dalla cui sella fanno capolino due falli) e costumi, raccontare aneddoti e descrivere i tempi in cui la controcultura era il sub-strato di quell’artigianale cinema erotico che sarebbe stato spazzato via dal consumismo del porno veicolato dalle videocassette.

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Naturalmente, Ericcson vuole dimostrare quel che di Sarno i suoi fan già sanno. O quello che forse è scontato per chiunque frequenti l’arte senza farsi guidare dal pregiudizio.

Ci può essere un grande regista in qualunque genere di film, a condizione che questo artista porti il proprio talento nei suoi film.

Sarno e Steffans sono artisti, e provano per una vita a essere coerenti.
Sanno esattamente qual’è la propria estetica, cosa sono disposti a fare, coerenti di una coerenza artistica, che è anche coerenza morale, ma non moralismo.

Impermeabili alla quantità di denaro che gli viene offerta per contraddire i propri principi, fino al fallimento economico, a dover finanziare i propri film con i soldi del padre di Meggy, da sempre contrario alla scelta sentimentale e professionale della figlia, ma disposto, alla fine, ad aiutare lei e il marito a realizzare i propri sogni.

Ma come succede anche ai grandi artisti, I Sarno devono fare i conti con le ferree regole del mercato: il primo film hard di Sarno è Sleepyhead – Dormiglione (1973) con Georgina Spelvin e Tina Russell.

Riluttante a essere associato con il genere hardcore, Sarno inizia a dirigere sotto vari pseudonimi, come Karl Andersson in Touch of Genie (1974).

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Egli ammette di essere il regista “non accreditato” di film come Inside Jennifer Welles e Deep Inside Annie Sprinkle (1981).

Nel corso della sua fase hardcore, Sarno ha lavorato con star del calibro di Harry Reems, Eric Edwards, Jamie Gillis, Marc Stevens, Marlene Willoughby, Gloria Leonard, Sonny Landham, Seka, e Ron Jeremy.

Nel corso degli anni, il lavoro di Sarno ha ottenuto riconoscimenti e premi al New York Underground Film Festival, al Torino Film Festival, alla Cinémathèque Française di Parigi, e al The Andy Warhol Museum. Sarno ha avuto un tributo al British Film Institute di Londra e ha tenuto una lezione all’Università di Lund, in Svezia.

Joseph Sarno è morto per cause naturali il 26 aprile 2010, all’età di 89 anni nella sua casa di New York.

Un documentario sorprendente e toccante, una storia d’amore sullo sfondo di una carriera ricca di talento e fedeltà all’arte.

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Di Tuzzo

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