Come inizia l’episodio de I puffi neri? Mentre i puffi stanno lavorando alla costruzione del ponte sul fiume Puffo, guidati dal decano del villaggio, il Grande Puffo, un puffo più pigro degli altri viene sorpreso a dormire invece di lavorare.
Grande Puffo lo manda nel bosco a cercare un grande ramo, ma qui viene poi morso sulla coda dalla terribile mosca bzz, che lo trasforma in un puffo nero.

Uscito di senno, aggressivo, violento e con un vocabolario ridotto ad un unico “gnap!”, il suo unico scopo diventa quello di mordere le code degli altri puffi, così da renderli, a loro volta, dei puffi neri.

I PUFFI NERI SONO RAZZISTI?

 

“I puffi neri”, un albo accusato di razzismo

Pubblicato per la prima volta il 2 luglio 1959 sotto forma di ministoria pieghevole allegata al numero 1107 del settimanale Le journal de Spirou (edito da Editions Dupuis) (uno speciale per le vacanze di 44 pagine) e successivamente presentato in album, nel 1963, insieme ad altre due storie brevi: Il puffo volante (Le Schtroumpf volant) e Il ladro di puffi (Le voleur de Schtroumpfs).

I puffi neri (Les Schtroumpfs noirs) è la prima storia che vede i piccoli abitanti dei boschi creati dal fumettista belga Pierre Culliford, in arte Peyo, come protagonisti assoluti, dopo il sempre maggiore successo riscontrato durante le loro apparizioni negli cinquanta nelle storie di Johan et Pirlouit (John e Solfamì in Italia), ambientate nel Medioevo.
La storia è sceneggiata con Yvan Delporte, direttore di Spirou, e già co-creatore insieme a Franquin di Gaston Lagaffe, che con Peyo collaborerà alle storie dei piccoli abitanti dei boschi fino alla metà degli anni settanta.

La storia mette in scena una situazione apocalittica all’interno del pacifico villaggio dei puffi, la cui divisione in due “fazioni” distinte, i puffi neri e i puffi blu, mette a rischio la sopravvivenza stessa dell’intera tribù.
Questo può essere considerato uno schema razzista?

Se è vero che la contrapposizione di due gruppi ben distinti, identificati dai colori nero e blu, può far pensare allo stereotipo razzista, c’è però un particolare che non rispetta questo preconcetto: la trasmissione epidemiologica.
La differenza tra le due parti è infatti data da un contagio dovuto a un fattore esterno (la puntura della mosca bzz), che spinge il puffo contagiato a infettare tutta la popolazione, portando il popolo dei folletti blu sull’orlo dell’estinzione.
Questo a dispetto dei molteplici tentativi di bloccare l’infezione, messi in atto dal Grande Puffo.

Certo, questa dinamica può essere associata alla teoria della grande sostituzione, spiegata da Renaud Camus nel suo “Le grand remplacement” (2011): «C’è un popolo e presto, nell’arco di una generazione, al suo posto arriva un altro popolo». Ma questa teoria, legata ai presunti effetti dell’emigrazione musulmana in Francia, è troppo “moderna” per essere applicata all’albo di Peyo.

Parte di questa rilettura è dovuta anche alla diffusione dei personaggi oltreoceano, dove l’opera dell’autore belga ha dovuto confrontarsi con il contesto culturale degli Stati Uniti.
I piccoli folletti blu vi sbarcarono nel 1976, quando l’imprenditore americano Stuart R. Ross li vide in Belgio e decise di accordarsi con Peyo e le Editions Dupuis per avere i diritti di distribuzione nordamericani sui personaggi, che fecero poco dopo la loro apparizione come pupazzi, bambole, figurine e gadget vari, prodotti dalla californiana Wallace Berrie and Co.
Per poi approdare in televisione nel 1981 con una serie a cartoni animati realizzata dagli studi di Hanna-Barbera (quella de Gli Antenati, Scooby Doo, Top Cat e un’infinità di altri personaggi), intitolata The Smurfs (il nome dei puffi utilizzato nei paesi di lingua anglosassone) e andata in onda sulla rete Nbc per nove stagioni dal 1981 al 1989, per un totale di 258 episodi (suddivisi in 419 storie) e 7 speciali.

La produzione impose il cambio di colore così, per il pubblico americano, i puffi neri divennero puffi viola. Da notare che questa versione venne esportata praticamente in tutto il mondo, poiché la serie animata divenne popolare anche più di quella a fumetti.
L’editore Papercutz ha così pubblicato la prima traduzione in inglese dell’albo a fumetti, intitolata The Purple Smurfs ricolorando i puffi infettati di viola.
Questo mette però in evidenza il fatto che il presunto razzismo contenuto all’interno de I puffi neri è limitato solo all’apparenza esteriore dei personaggi: il cambiamento del colore è infatti sufficiente a cancellarne ogni traccia, pur lasciandone invariata la storia.

I PUFFI NERI SONO RAZZISTI?

A complicare le cose ci si è messa la pubblicazione del saggio “Le Petit Livre bleu: analyse politique de la société des Schtroumpfs” (Hors Collection, 2011), edito anche in Italia con il titolo “Il libro nero dei Puffi. La società dei Puffi tra stalinismo e nazismo” (Mimesis, 2012), del sociologo e politologo Antoine Buéno.

I PUFFI NERI SONO RAZZISTI?

I PUFFI NERI SONO RAZZISTI?
Antoine Buéno e l’edizione italiana e quella francese del suo libro “scandalo”

 

Peyo negli anni è stato accusato di svariati mali che si troverebbero all’interno delle storie dei suoi “ometti blu”. Dal razzismo all’omofobia, dalla misoginia all’antisemitismo, dalla propaganda comunista a quella nazista fino alla massoneria, nel palmarès delle critiche raccolte dall’autore belga c’è spazio un po’ per tutto.

Con una buona dose di humor e precisando subito che non è mai stata intenzione del fumettista belga divulgare tali idee, nel suo saggio, Buéno analizza le motivazioni di tali accuse. La questione diventa “spinosa” quando dimostra che le accuse rivolte all’opera di Peyo possono essere effettivamente inserite all’interno delle storie dei puffi.
La cosa, inammissibile per i fan della bande dessinée, ha innescato una diatriba che ha portato persino a minacciare di morte lo scrittore francese, reo di avere “osato” cercare di distruggere quello che per molti è una vera istituzione.

D’altro canto, se non si è fanatici seguaci dei piccoli esseri blu, o più semplicemente si dispone di (un minimo) senso critico e umorismo, si può godere di una lettura insieme brillante e interessante, per certi versi anche istruttiva, che non manca di rispetto all’opera di Peyo.
Un saggio che può far leggere i puffi con un occhio diverso, come anche invogliare a leggerli chi non conosce bene i personaggi. Un saggio quasi parodistico.

I PUFFI NERI SONO RAZZISTI?

Se interpretare il mondo creato da Peyo come modello di un’utopia totalitaria con riferimenti alle dottrine staliniste e naziste non pare serio, l’ipotesi di razzismo mossa nei confronti della prima storia dei puffi, mettendo in scena l’antagonismo tra due gruppi, differenziati dal colore della pelle – quello dei puffi blu, pacifico, sereno e dedito alle arti, contro quello dei puffi neri, violento, aggressivo e feroce – pare invece essere consistente.

Diverse critiche pongono l’accento sulle (presunte) affinità tra l’aggressività e la mancanza di linguaggio dei puffi neri, capaci anche di tendenze “cannibali” (Gnap!), con la raffigurazione macchiettistica degli africani nell’Europa coloniale (la colonia africana del Congo belga divenne autonoma solo l’anno successivo la prima pubblicazione della storia).
Mettendo tutto ciò a confronto con quanto visto in Tintin in Congo (1931), secondo album delle avventure del giovane reporter creato dal belga Georges Remi, in arte Hergé.

Storia effettivamente controversa quella di Hergé, è però da inserire in un contesto storico assai differente e più vecchio di trent’anni.
Inoltre, i puffi sono personaggi antropomorfi e non umani, come nella storia di Hergé, la cui rappresentazione è invece “fedele” allo stereotipo derivante dalla tradizione coloniale, che attribuisce loro un colore della pelle scuro, labbra carnose ed il “classico” linguaggio da raffreddato (tipico degli Stati Uniti del Sud).

Ovviamente alle storie di Peyo non viene risparmiato l’antisemitismo, rappresentato dalla figura del perfido mago Gargamella, con il suo gusto per l’oro (gli ebrei erano noti come orefici), o il “sessismo” di Puffetta, archetipo femminile dalla fluente chioma bionda e lo sguardo seducente (mentre quando era mora e bruttina non se la filava nessuno).

Analizzando la trama de I puffi neri, salta all’occhio la similitudine con quella del classico di fantascienza horror postapocalittica Io sono leggenda (I Am Legend, 1954), edito in Italia anche con il titolo I vampiri, dell’americano Richard Matheson, assoluto maestro di genere.

Considerato uno dei capostipiti delle apocalissi di non morti, il libro narra le vicende di Robert Neville, ultimo rimasto del genere umano, dopo che un’epidemia ha trasformato le creature viventi in vampiri assetati di sangue, che di notte lasciano i loro rifugi per cercare nutrimento, attaccando gli umani (Neville).

È facile intravvedere in questa situazione un’analogia con la storia di Peyo (e di Delporte): la contaminazione dei sani attraverso il morso di un infetto e la successiva trasformazione a uno stato primordiale, la perdita della capacità di esprimersi attraverso la parola, l’aggressività e il cambio del colore dovute alla mutazione.

Non mancano gli esperimenti per trovare una soluzione all’epidemia, l’inganno di uno dei puffi infetti che si finge sano (ispirato al personaggio di Ruth, la donna incontrata da Neville, che crede essere come lui, ma in realtà appartiene a una nuova specie di esseri a metà tra gli umani ed i vampiri). E l’assalto finale che farà soccombere perfino il Grande Puffo, così come Robert Neville dovrà cedere alla soverchiante forza dei suoi nemici.

È interessante (straordinario?) che un romanzo come quello di Matheson possa essere stato fonte di ispirazione per un fumetto destinato principalmente a un pubblico giovane, se non giovanissimo e come la cosa abbia funzionato benissimo. E ancora lo faccia.

Quindi, per tornare alla domanda iniziale, I puffi neri (e gli Schtroumpf più in generale) è un fumetto razzista?

Dal punto di vista del razzismo strutturale e istituzionale, a giudicare dal successo riscontrato dai puffi anche oltreoceano, dove la questione è sempre stata molto sentita e la conflittualità associata alla questione è importante, pare evidente che le critiche rivolte a Peyo in merito alla questione sono piuttosto “clementi”, anche se giustificano (in parte) la cautela degli editori.
A dimostrazione di ciò, resta il fatto che è bastato cambiare colore ai puffi infetti per allontanare ogni idea di razzismo dell’albo, mantenendo tutta la forza e la paura da apocalisse zombie dell’originale.

In definitiva, I puffi neri è una storia forte, ben costruita e riuscita. Graficamente bella, anche se ancora non a livello della pulizia delle successive, si avvale di una buona dose di umorismo nero, che fa affidamento sull’intelligenza di chi lo legge (cosa purtroppo non scontata, al giorno d’oggi) e che, a distanza di più di sessant’anni dalla sua prima pubblicazione, mantiene ancora inalterata tutta la sua forza.

GNAP!


Les Schtroumpfs noirs

storia:
Peyo
Yvan Delporte

disegni:
Peyo

Dupuis

pieghevole allegato a
Le journal de Spirou
N.1107
02/07/1959

cartonato
colore
pag. 60
1963

I puffi neri

storia:
Peyo
Yvan Delporte

disegni:
Peyo

Salani

cartonato
colore
pag. 60
1963


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