Più o meno influenzati dalle agitazioni giovanili del ’68 e del decennio successivo, i nuovi eroi del fumetto saranno generalmente più complessi rispetto a quelli scanzonati (sia pure con diverse eccezioni) che li avevano preceduti. Una tendenza, del resto, che investe tutto l’Occidente.

Lo Sconosciuto, Mister No e Ken Parker condividono una visione più complessa del mondo, che smette di essere rappresentato in bianco e nero, mostrando tutti i toni del grigio. Molti tra gli artisti più sensibili utilizzano anche l’arma dell’ironia e del nonsense, come Andrea Pazienza e Milo Manara.

Nel complesso gli anni settanta sono un decennio molto creativo che porta alla realizzazione di capolavori fumettistici rimasti nel tempo. Ne ricordiamo dieci tra i più significativi, elencati in ordine cronologico come abbiamo fatto con i fumetti degli anni sessanta.

 

Tex – Il figlio di Mefisto (1971)

Se un grande personaggio lo si riconosce anche dai suoi nemici, allora Tex lo è certamente. Il negromante Mefisto è uno dei cattivi più affascinanti nella storia del fumetto italiano. Negli anni sessanta è protagonista di alcuni archi narrativi tra i più amati dai fan di Tex.
Pentitosi di avere fatto morire un nemico così carismatico sul n. 95, travolto dalle macerie del castello di Baron Samedi, Gian Luigi Bonelli inizia quasi subito a cercare un modo per recuperarlo.

I 10 MIGLIORI FUMETTI DEGLI ANNI SETTANTA


Nel 1971 decide di farlo “resuscitare” nei panni di suo figlio: il diabolico Yama. Prende così il via sul numero 125 di Tex (“Il figlio di Mefisto”) una splendida avventura disegnata da Galep che si protrae per quattro albi.
Bonelli riesce a mettere in un’unica storia una serie quasi infinita di tormentoni pulp: sensuali sacerdotesse vudù, potenti stregoni seminoles, “bracciali protettivi”, inarrestabili zombie, tetri velieri e magiche sfere di cristallo. Poteva uscirne un minestrone e invece siamo di fronte a una delle migliori storie di Aquila della Notte.

Zagor – Odissea americana (1972)

Nella prima metà degli anni settanta Guido Nolitta (ovvero Sergio Bonelli) firma più di un capolavoro tra le storie di Zagor. Per esempio il n. 88, “Odissea americana”, uno degli albi preferiti dagli appassionati. L’incredibile e allucinante viaggio lungo il Tallapoosa River è sicuramente uno dei migliori esempi di avventura zagoriana.
La storia ripropone anche nel titolo uno dei principali archetipi dell’epica occidentale, il percorso dell’eroe che tra mille difficoltà realizza il proprio destino. Il mito del viaggio risuona in questa storia in tutta la sua forza evocativa, ma l’autore non si limita a riproporlo pedissequamente.

I 10 MIGLIORI FUMETTI DEGLI ANNI SETTANTA


Con un formidabile scatto di inventiva, Nolitta arricchisce il racconto con un elemento allo stesso tempo destabilizzante e decisivo: la non plausibilità. Gigantesche piante carnivore, torme di scimmie assassine, infide “foreste di pietra”, seducenti nebbie allucinogene: un mix di citazioni da romanzi e film di avventura vecchio stile riproposte con un linguaggio nuovo e una vena di malinconica nostalgia che conferiscono all’episodio un fascino irresistibile. 

Corto Maltese – Corte Sconta detta Arcana (1974)

Dopo le 164 tavole della “Una ballata del mare salato”, il personaggio di Corto Maltese arriva al successo sulle pagine del settimanale per ragazzi francese Pif, con agili storie di 20 pagine. Seppure l’insieme di questi episodi, che vanno dal 1970 al 1973, hanno il merito di definire le caratteristiche di Corto Maltese, manca a Hugo Pratt l’ampio respiro che caratterizza la ballata.
Nel 1974 Pratt decide quindi di dedicare una seconda storia lunga al suo marinaio, naturalmente in compagnia di Rasputin. “Corte Sconta detta Arcana” si sviluppa su 170 pagine, cercando di giocarsi con la “Ballata” il titolo di migliore storia di Corto Maltese.

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Come molti dei lavori di Pratt, la storia deve la sua grandezza più che all’intreccio ai personaggi. Qui assistiamo a una galleria infinita di “magnifici perdenti”, ognuno con la sua storia struggente e il suo destino già scritto. L’ammiraglio Alexander Vassilievitch Koltchak, capo supremo degli eserciti bianchi; l’atamano Grigory Mikhailovich Semenov, capo della “Divisione selvaggia”; il generale Tchang, potente signore della guerra della Manciuria; il barone Roman Fedorovich von Ungern-Sternberg, soprannominato “il barone pazzo”; l’infelice duchessa Marina Seminova; la bella rivoluzionaria Shangai Lil… tutti sono dipinti con appassionata partecipazione sullo sfondo della Rivoluzione russa al suo compimento. 

Lo Sconosciuto – Largo delle Tre Api (1975)

Gli anni sessanta avevano consacrato Roberto Raviola, in arte Magnus, come uno dei più grandi disegnatori italiani attraverso i fumetti di Kriminal e Satanik. I settanta lo consacreranno come “autore completo”.
Magnus crea la breve serie de Lo Sconosciuto a partire dal risentimento. “Nel 1974 mi trovavo a Marrakech senza un soldo”, scrisse su Orient Express. Aveva appena messo la parola fine al sodalizio che lo aveva legato a Luciano Secchi per una decina di anni, abbandonando Alan Ford. “Abbiamo lavorato entrambi come matti ma solo uno si è arricchito”, osservò.

I 10 MIGLIORI FUMETTI DEGLI ANNI SETTANTA

Nei giorni di Tangeri provava la sensazione “di uno che è rimasto insabbiato, abbandonato”. Da questo stato d’animo gli venne l’idea per un nuovo personaggio: “Un ex-legionario, simbolo di un passato coloniale e feroce, umanamente isolato”. A mettere a punto i primi testi dello Sconosciuto gli diede una mano il cantautore Francesco Guccini, suo compagno di bevute nella gaudente Bologna di quegli anni.
Mentre la prima storia è sostanzialmente un pretesto per presentare il nuovo personaggio, la seconda, che si distribuisce su due albi (“Largo delle Tre Api” e “Morte a Roma”), è un capolavoro. Uno dei ritratti più intensi dell’Italia degli anni di piombo, in bilico tra cinismo e poesia.

Mister No – Mister No (1975)

“Non gli andava proprio niente a quel tipo”, viene detto nelle prime pagine di Mister No, uno dei personaggi più fortunati e vitali di Guido Nolitta (Sergio Bonelli), il suo personale omaggio a tutti gli spiriti liberi.
Dopo il solito siparietto comico in apertura, che ha il compito di collocare le avventure del personaggio cronologicamente negli anni cinquanta e geograficamente in Amazzonia, Guido Nolitta ci stupisce con un inizio anticonvenzionale.

I 10 MIGLIORI FUMETTI DEGLI ANNI SETTANTA


Il nostro eroe sta subendo un brutale pestaggio da parte di un gruppo di loschi figuri. Naturalmente alla fine ne uscirà vincente, ma non prima di averci rivelato di essere dedito al gioco d’azzardo, di non disdegnare le bottiglie di cognac mezze piene e di frequentare abitualmente le “calde ed espansive” ragazze di Manaus.
L’avventura che seguirà ha un impianto piuttosto tradizionale: quello che la rende “nuova” è l’originalità di Mister No. Finché dopo alcuni numeri di rodaggio, nei quali Nolitta non sa bene ancora che genere di storie realizzare, la serie diventa sempre più matura, al di sopra degli standard bonelliani dell’epoca. Alfredo Castelli e Tiziano Sclavi si alternano validamente a Sergio Bonelli. 

Dino Battaglia – L’uomo della legione (1977)

Il deserto è un luogo dell’anima che pochi fumettisti sono riusciti a rappresentare nella dovuta maniera. Si tratta di un paesaggio scarno dalla forte risonanza interiore, che richiede un grande lavoro sul segno per essere affrontato bene.
Hugo Pratt era un maestro in questo: con un’unica linea d’orizzonte e alcuni spessi segni neri riusciva a rendere palpabile l’essenza di sua maestà il Sahara. Anche Dino Battaglia ci riuscì ne “L’uomo della legione”, episodio che lo battezzò come “autore completo”.


La storia fu pubblicata sul n. 3 della collana Un uomo un’avventura, una collana di grandi albi cartonati a colori “alla francese” con storie autoconclusive pubblicata da Sergio Bonelli dal 1976 al 1980, come omaggio all’epopea del fumetto avventuroso classico.
Dino Battaglia racconta, facendo un grande uso degli spazi bianchi, una storia priva di facili eroismi che parla di uomini vinti dal proprio destino, dalle proprie paure, dalle loro fragilità e insoddisfazione. 

Andrea Pazienza – Le straordinarie avventure di Pentothal (1977)

Se c’è un fumetto che incarna la diversità degli anni settanta rispetto ai decenni precedenti è il primo capolavoro di Andrea Pazienza. Le straordinarie avventure di Pentothal sono “Il garage ermetico” italiano e tutto sommato la “narrazione improvvisata” si addice più a Pazienza che a Moebius. Non fosse altro per motivi anagrafici.
Pazienza riesce a infilare nel suo Pentothal molti, se non tutti, gli incubi e le idiosincrasie di una generazione. Quella dei disillusi del ’77, una sorta di ’68 autoironico che ebbe il suo punto focale a Bologna.


Laddove Moebius viaggiava sull’onda di personalissime fantasie, Pazienza costruisce un racconto collettivo dove nulla è ordinario e convenzionale. L’autore di San Severo innova e stupisce tavola dopo tavola, non ponendosi alcun limite.
Il tratto all’inizio è ancora un po’ rigido, non riesce ad arrivare alla inverosimile opulenza degli anni che verranno, ma già incanta vignetta dopo vignetta. Il linguaggio è talmente innovativo da apparire sperimentale, ma a ben vedere imita soltanto il gergo della strada con l’aggiunta di un pizzico di surrealismo. 

Milo Manara – HP e Giuseppe Bergman (1978)

Milo Manara si raffigura in un borghese contemporaneo molto ordinario e poco rivoluzionario, che viaggia insieme al suo mentore H.P. (Hugo Pratt) alla scoperta dell’avventura. “Ma cos’è l’avventura?” sembra chiedersi Manara.
La risposta a questa domanda sarà un lungo racconto uscito a puntate sulla rivista francese A Suivre. Una risposta che pone altre domande, le quali a loro volta pongono altre domande ancora in una progressione quasi logaritmica. L’avventura è ambientazione esotica? È un posto lontao? È una terra inesplorata?


O l’avventura è una predisposizione nei confronti delle cose. La capacità di intravvedere orizzonti lontani aldilà delle banalità quotidiane. H.P. e Giuseppe Bergman è un metafumetto che affronta con spirito dissacratorio tutti i miti legati all’avventura. Li riporta alla loro dimensione umana, umanissima verrebbe da dire, quasi distillandone l’essenza ultima. Manara usa l’arma invincibile dell’ironia per sollevare il velo e scoprire, in conclusione, che l’avventura forse non esiste.



Il commissario Spada – I terroristi (1979)

Pubblicate dal 1969 al 1982 sulle pagine del settimanale cattolico Il Giornalino, le avventure de Il commissario Spada rappresentano uno dei punti più alti del fumetto italiano degli anni settanta. Questo sia per il taglio giornalistico adottato dallo sceneggiatore Gian Luigi Gonano, proponendo argomenti di scottante attualità, sia per le innovative soluzioni grafiche introdotte dal grande Gianni De Luca.
Questo felice connubio sfocia in alcuni capolavori, come quello denominato la “trilogia del terrorismo”, che offre sotto forma di racconto disegnato un documento degli anni di piombo raccontati in presa diretta e da una prospettiva inedita.


Le difficoltà derivanti dalla necessità di affrontare un tema complicato e attuale come quello del terrorismo, per di più in un’opera destinata ai ragazzi, sono state risolte senza schematizzare i ruoli di buoni e cattivi, senza rendere i terroristi semplici macchiette o brutali criminali senza scrupoli.
Trattato a latere, e in qualche modo collegato, emerge anche il tema del conflitto generazionale, illustrato negli aspetti quotidiani attraverso il contraddittorio rapporto tra il commissario Spada e suo figlio adolescente.

Ken Parker – Lily e il cacciatore (1979)

Con Ken Parker gli anni della rivoluzione trovarono il loro esponente più rappresentativo. Lo sceneggiatore Giancarlo Berardi afferma di aver voluto creare “un uomo normale, non infallibile, con le sue idee e una sua complessità”, ma nel suo eroe c’è molto di più.
Il personaggio disegnato da Ivo Milazzo avrebbe potuto sembrare convenzionale, tanto assomiglia a Robert Redford nel film Corvo Rosso non avrai il mio scalpo, e invece è un rivoluzionario. La fascinazione per gli ideali che Berardi aveva maturato durante la stagione del ‘68 viene riversata in Ken Parker. Berardi accetta suo malgrado l’ambientazione western per farsi pubblicare da Sergio Bonelli (all’epoca orientato solo su questo genere), ma riesce a trasformarlo introducendo i sentimenti.


Come nel memorabile n. 25, “Lily e il cacciatore”, dove troviamo un Ken Parker ferito e immobilizzato che non mangia da giorni. L’istinto di sopravvivenza gli suggerisce di cibarsi della cagnetta Lily, che gli è stata accanto tutto il tempo. Poi i due si guardano negli occhi.
Lo sguardo dell’uomo è lo sguardo disperato di chi sta lottando per la propria vita. Lo sguardo dell’animale è quello pieno d’amore di chi per l’altro sarebbe pronto a fare qualsiasi cosa. Alla fine Ken si ricorda di essere un uomo, con dei principi e una morale. Allontana da sé la cagnetta, per non cedere alla tentazione. 




4 pensiero su “I 10 MIGLIORI FUMETTI DEGLI ANNI ’70”
  1. A proposito dello Spirito con la scure, “Odissea americana” secondo me se la gioca con “La marcia della disperazione” (1975). Ma siamo in entrambi i casi al top di gamma!

    1. Molto bella “La marcia della disperazione” ma ha il difetto che Ferri non è riuscito a finirla e viene conclusa da Bignotti in versione velocista (evidentemente chiamato all’ultimo). Destino simile ad altre avventure di Zagor dell’epoca, Bignotti talvolta verso la fine di alcune storie inchiostrava Ferri e talvolta quando Ferri era molto in ritardo disegnava proprio tutto.

  2. Essendo stato in quegli anni collaboratore di Pratt, darei la preferenza ad un’ altra delle sue storie: la Favola di Venezia del 1977, che ha il pregio di una maggiore unitarietà e logica, mentre Corte Sconta è molto dispersiva e poco conclusiva.
    Per quanto riguarda Manara, pure lui stava attaccato a Pratt, e la sua storia su Giuseppe Bergman si basa sull’apparizione e la guida di Pratt in persona. Inoltre in quei tempi Manara puntava un po’ troppo sui significati intellettualistici e politici delle sue opere, e ciò non gli era molto d’aiuto. Quando lo conobbi nel 1983, sempre attraverso Pratt, gli proposi storie di contenuto storico, ma non venni ascoltato volendo lui essere l’unico autore delle sue creazioni. Alla fine ho avuto ragione io. Manara oggi eccelle nelle rappresentazioni storiche, come quelle su Caravaggio e il Nome della Rosa.

  3. Avevo iniziato ad acquistare e collezionare Zagor Zenith nel luglio 1969 (L’uomo-lupo) a dieci anni mentre il beniamino Tex Gigante dal luglio 1967 e non mi era affatto piaciuta “Odissea americana”! I capolavori erano usciti negli anni precedenti da “Guerra” a “La casa del terrore” a “Prigioniero” a “Lo spettro del passato” a “La dea nera” a “Seminoles”e nei primi anni successivi con “Zombi”…

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