Dopo il 1935-1936 ben pochi nuovi cartoni animati disneyani arrivarono in Germania, non per questioni di censura o embargo, ma per motivi prettamente economici e contrattuali. Ci furono poi problemi causati dalle leggi protezionistiche varate da Berlino per tutelare le esportazioni tedesche e limitare le importazioni di materiali stranieri.

Per anni rimasero in Germania fondi della Disney “congelati” che non potevano essere riscossi, e questo nonostante gli ottimi auspici della tappa tedesca del viaggio europeo di Walt e Roy dell’estate del 1935.

Con il 1937 scadettero tutti i vecchi contratti stipulati fra Hyperion Avenue e i distributori tedeschi: dopo quest’anno i cinema che continuarono a proiettare cartoon disneyani lo fecero del tutto illegittimamente. Ma lo fecero, ed è questo che a noi importa: l’interesse del pubblico per l’animazione disneyana continuò a crescere nel Terzo Reich.

Crebbe non solo presso il “popolino”, ma persino nelle “alte sfere”. Ce lo conferma il saggio di Carsten Laqua Wie Micky unter die Nazis fiel: Walt Disney und Deutschland (1992), riportando un brano di una lunga intervista al proprietario di cinema tedesco Walter Jonigkeit (1907 – 2009):

Era risaputo nei circoli cinematografici che i film Disney venivano guardati regolarmente nella Cancelleria del Reich.

Secondo Laqua, però…

È difficile trovare prove concrete dell’interesse per i film Disney da parte dei leader nazisti tedeschi. Una conferma viene da una comunicazione del Ministero dell’Istruzione e della Propaganda del Reich, conservata nell’Archivio federale di Coblenza (settore “NS 10/48”), dalla quale emerge che “cinque film di Topolino” presenti nel Reichsfilmarchiv erano stati inviati all’Aiutante del Führer. Nella lettera del 27 luglio 1937, firmata dall’Oberprüfstelle-Teiter Ernst Seeger, vengono nominati cinque titoli che non corrispondono a nessuno dei titoli Disney importati ufficialmente: o alcuni cartoni animati erano stati soprannominati per antonomasia “film di Topolino”, il che avrebbe confermato la popolarità di Topolino in questi circoli, oppure erano stati dati titoli tedeschi a film importati con il loro titolo inglese. Proverebbe quest’ultima ipotesi l’uso del termine inglese “Mouse” nella lettera. La consegna era stata organizzata da un personaggio molto vicino a Hitler: lo SA-Obergruppenführer Brückner; lo Adjutantur des Führers dovette pagare per i film RM 199,64 alla Deutsche Fox Film AG, una sussidiaria della 20th Century Fox con sede nella Friedrichstrasse di Berlino.

I cinque film d’animazione, o “topolini” (Micky-Maus-Filme), nominati nella lettera citata da Laqua erano: Romeo und Julia, Käsepiraten, Feuer und Traumland, Das grosse Rennen e Jägerlatein; nel documento veniva richiesto pure il film italiano Mario (in originale senza sottotitoli in tedesco).

Anche in Francia e in Italia, in quel periodo, per “topolini” si intendeva qualsiasi film d’animazione, non solo disneyano. Parlavano di questa richiesta ufficiale di film anche Rolf Giesen e J. P. Storm, nel saggio Animation under the Swastika (McFarland Publishing, 2012), e Niels Schröder in “Gute Laune ist ein Kriegsartikel”: Deutsche und amerikanische Trickfilme, Comics und Cartoons als Mittel der Propaganda während des Zweiten Weltkrieges (2020).

Molto conosciuta, nei Diari di Joseph Goebbels, l’annotazione del 22 dicembre 1937, dove il Ministro parla di alcune pellicole di “Topolino” regalate ad Adolf Hitler, nonostante non sia presente in nessuna delle varie antologie pubblicate a stampa. Questo non significa che l’annotazione sia inventata, ma semplicemente che in tali estratti dei Diari non appare perché non era stata ritenuta storicamente o politicamente interessante dai redattori.

Nel 2000 è stata però ultimata, a cura di Elke Fröhlich per conto dell’Istituto Tedesco di Storia Contemporanea, un’edizione completa dei Tagebücher, in parte accessibile online presso De Gruyter. In questa versione, che si presume corretta, notiamo alcune discrepanze rispetto a quanto prima riportato altrove, soprattutto sul numero dei film donati, che furono 32 “normali” e 12 d’animazione, non 30 e 18 come solitamente si legge.
Succedeva per esempio anche in Hitler 1936-1945 Nemesis (2000, e successive ristampe) di Ian Kershaw, che pur sosteneva nelle note di aver fatto riferimento ai Diari del Ministro:

Hitler was delighted at his Christmas present from Goebbels in 1937: thirty feature films of the previous four years, and eighteen Mickey Mouse cartoons. (Hitler fu deliziato dal regalo di Natale di Goebbels nel 1937: trenta lungometraggi dei precedenti quattro anni e diciotto cartoni animati di Topolino).

Kershaw tornava sull’argomento, ripetendo l’errore sul numero dei film, in All’inferno e ritorno (Laterza, 2015), un suo libro più “leggero” sul Nazionalsocialismo.

Negli anni Quaranta, il loro periodo d’oro, gli studios di Hollywood producevano circa 400 film l’anno, in gran parte commedie, musical, western e cartoni animati di Walt Disney. E molto di quest’immensa produzione attraversava rapidamente l’Atlantico. A metà degli anni Trenta Topolino e Paperino erano altrettanto noti in Europa che negli Stati Uniti; e nel 1937 l’uscita del primo lungometraggio di animazione di Disney, Biancaneve e i sette nani, fece sensazione in Europa esattamente come in America. Malgrado le restrizioni all’importazione di film stranieri e l’ostilità ufficiale nei confronti di quelli che erano considerati i prodotti della degenerata cultura americana dominata dagli ebrei, perfino Hitler amava i cartoni animati di Disney. Nel 1937 il suo ministro della Propaganda, Joseph Goebbels, lo rese felice regalandogli per Natale diciotto film di Topolino.

Ecco invece quanto Goebbels esattamente scriveva nei suoi Diari.

Ich schenke dem Führer 32 Klassefilme der letzten 4 Jahre und 12 Mickey-Maus-Filme mit einem wunderbaren Kunstalbum zu Weinachten. Er freut sich sehr darüber, ist ganz glücklich über diesen Schatz, der ihm hoffentlich viel Freude und Erholung spenden wird.
(Regalo al Führer 32 famosi film degli ultimi quattro anni e 12 film di Topolino con un meraviglioso libro illustrato per Natale. Ne è molto felice. È molto felice di questo tesoro, che si spera gli darà molta gioia e relax).

Il Ministro aveva citato altre due volte Topolino nei suoi Diari, e questo dimostra ulteriormente il suo interesse per l’animazione disneyana. Nell’annotazione del 4 gennaio 1935 diceva di avere assistito alla proiezione di un film, F.P.1 antwortet nicht (una pellicola di fantascienza avventurosa, tratta da un libro di Siodmak), introdotto da cartoni animati di Mickey Mouse. Il 2 settembre 1937 affermava invece di aver visto i cortometraggi di Topolino in compagnia dei piccoli invitati al compleanno della figlia Helga e di essersi divertito tantissimo.

Non è detto però che quei Mickey-Maus-Filme ricordati da Goebbels fossero esclusivamente film di Walt Disney, visto che per “topolini”, lo dicevamo prima, si intendevano tutti i cartoni animati, di qualsiasi origine. Nel 2013 Jim Korkis, nel saggio The Book of Mouse, riportava l’aneddoto dei cartoni animati regalati da Goebbels al Cancelliere ripetendo il fatidico sbaglio “quantitativo” e aggiungendo che…

Goebbels chose to give this gift because he knew that during July 1937, in Hitler’s private screening room, the Führer had watched five Mickey Mouse cartoons and laughed loudly.
(Goebbels decise di fare quel regalo perché sapeva che nel luglio del 1937, nella sala proiezioni privata di Hitler, il Führer aveva visto cinque cartoni animati di Topolino ridendo rumorosamente).

Il 12 febbraio 1940 Goebbels citò invece nei Diari il film Biancaneve, in relazione a una visita (al Ministero o alla Cancelleria) dell’attrice di origine ceca Anny Ondra (scrivendo erroneamente “Disnay” al posto di “Disney”).

Frau Ondra ist nachmittags zu Besuch. Wir sehen den amerikanischen Disnay-Film “Schneewittchen”, eine großartige künstlerische Schöpfung. Ein Märchen für Erwachsene, bis ins Einzelne durchdacht und mit großer Menschen- und Naturliebe gemacht… Ein künstlerischer Hochgenuß!
(Miss Ondra viene a trovarci questo pomeriggio. Vediamo il film americano Biancaneve di Disney, una grande creazione artistica. Una favola per adulti, pensata fin nei minimi dettagli e realizzata con un grande amore per l’Uomo e la Natura. Una vera delizia artistica!).

Il fatto che Goebbels avesse definito Biancaneve una “favola per adulti” è del tutto sottoscrivibile. Il film è ricco di tematiche e spunti “adulti”: invidia, odio, omicidio, morte, deformità, amore, sensualità, resurrezione, orrore, paura, magia nera, esoterismo… Si vede chiaramente che è un film pensato da adulti, scritto da adulti, disegnato da adulti. Per loro stessi e, solo in maniera accessoria, per un pubblico infantile – che non può cogliere tutte le sfumature, i sottintesi, la perfezione grafico-tecnica dell’animazione e della colonna sonora.

Ma il Führer cosa ne pensava del primo lungometraggio animato della Disney? Leggendo il saggio Animation under the Swastika pubblicato da Giesen e Storm nel 2012, apprendiamo che nessun altro film americano ricevette tanta attenzione quanto Biancaneve da parte della stampa durante l’Era Nazionalsocialista (anche se alcuni giornalisti protestarono per gli alti costi richiesti per noleggiarlo) e i capi del Nazismo amarono fin da subito quel capolavoro.

Nel 1938 cinquanta nuove pellicole statunitensi furono approvate dalla censura tedesca. Biancaneve, comunque, fu l’ultimo film americano a riscuotere simpatia presso i massimi leader nazisti. Il 5 febbraio 1938 il Führer in persona chiese al suo aiutante di procurargli una copia della strabiliante opera disneyana per il suo cinema privato all’Obersalzberg. Senza alcun dubbio divenne uno dei film più applauditi della sua raccolta di pellicole.

Giesen e Storm non erano stati i soli a parlare di Hitler e Biancaneve. Per esempio, secondo il giornalista tedesco Rüdiger Suchsland:

Dopo che Biancaneve e i sette nani uscì nel 1937, Hitler lo vide più e più volte nella sua sala di proiezione privata all’Obersalzberg: divenne il film preferito di Hitler.

Erano però, queste pubblicate nel 2012 e nel 2015, mere ipotesi, basate sul fatto che esisteva una versione del lungometraggio che la Disney fece doppiare in tedesco nel 1938 ad Amsterdam da Kurt Gerron (che aveva anche curato il doppiaggio in olandese del film).
Suchsland, in particolare, aveva il “dente avvelenato” contro Disney e pareva seguire la “lezione” di Eliot.

Cosa pensava Walt Disney dei nazisti? Ovviamente aveva poca paura di entrarci in contatto. Né gli importava del cambiamento di umore negli Stati Uniti, iniziato con la Notte dei Cristalli del 1938. Nel novembre 1938 la regista nazista Leni Riefenstahl era negli Stati Uniti per commercializzare il suo film sui Giochi Olimpici del 1936. Mentre molti le chiusero la porta in faccia, Walt Disney le diede un cordiale benvenuto. Piacevano più i nazisti a Disney, o piaceva più Disney a Hitler e Goebbels? Il fatto è che nei film Disney domina una visione del mondo trasfigurata, il cui immaginario è fortemente influenzato dalla tradizione germanica. Biancaneve è una “ragazza della Foresta Nera”. Topolino e gli intelligenti Sette Nani per molto tempo non hanno combattuto Hitler, diversificandosi in ciò dai supereroi come Capitan America, Superman e Batman. Tutti loro avevano già combattuto e sconfitto Hitler già prima che l’America entrasse in guerra nel 1941. Dopo Pearl Harbor tutta Hollywood “prestò servizio militare”. La satira sottile non era più richiesta, e anche Disney non poteva più sfuggire alla pressione dell’opinione pubblica: Topolino e i Tre Porcellini lottarono contro un Lupo Cattivo che aveva chiaramente una somiglianza con Hitler. The Fuehrer’s Face del 1943 è stato poi definito uno dei più importanti film di propaganda antinazista. Era arrivato in ritardo, però. Troppo in ritardo?

Si interessò a “Biancaneve nazista” anche Martin Walker, nel suo saggio America Reborn (Knopf Doubleday, 2011).

Siccome il cinema era diventato la prima forma d’arte universale e di massa, e i cartoni animati facilmente penetravano le barriere linguistiche, Topolino divenne un fenomeno internazionale. In uno scherzoso intervento, Walt notava che tra i fan di Topolino c’erano il Re e la Regina d’Inghilterra e Benito Mussolini, ma aveva trovato un solo bastione di resistenza. “Il sig. A. Hitler, quel vecchio arnese nazista, dice che Topolino è stupido. Immaginatevi! Topolino un giorno salverà il sig. Hitler dall’annegamento o qualcosa di simile – e allora il sig. Hitler non dovrà vergognarsi”. In effetti, Hitler vide e rivide Biancaneve, che nell’animo preferiva di gran lunga alle grandiose opere wagneriane che in pubblico onorava come l’essenza stessa della cultura tedesca. Divenne un luogo comune della Seconda guerra mondiale che i vari leader Hitler, Stalin, Churchill e Roosevelt si rilassassero tutti con Disney.

Hitler (che però amava per davvero Wagner fin da quando era un giovane bohémien a Vienna) era appassionato di cinema. Il 20 aprile 1937, nel giorno del suo 48° compleanno, presenziò al cinema Ufa di Berlino a una proiezione di pellicole italiane, per celebrare la fondazione della Difu (Deutsch-Italienische Film-Union).

Era amante soprattutto di quella che oggi chiameremmo “cinematografia di genere” – western, avventura, comiche, fantastico eccetera. Secondo il giornalista tedesco Volker Koop (autore di Warum Hitler King Kong liebte, aber den Deutschen Micky Maus verbot. Die geheimen Lieblingsfilme der Nazi-Elite, 2015) vide almeno diciotto volte King Kong, il capolavoro di Cooper e Schoedsack del 1933.

Il film fu reso spettacolare dai numerosi effetti speciali, realizzati con la tecnica di ripresa “a passo uno” o stop-motion, che è sostanzialmente una sorta di animazione dove al posto delle foto di disegni ci sono foto di oggetti reali (spesso pupazzi o modellini).

Ma secondo Rolf Giesen (in Hitler’s Third Reich of the Movies, 2020), al Cancelliere piaceva soprattutto Biancaneve, tanto che nel suo archivio personale ci sarebbero state tre differenti copie della pellicola – (quella originale americana, una doppiata in tedesco e una versione svedese).

Il Ministero della Propaganda aveva una quarta copia, riservata invece agli addetti, all’industria del cinema e dell’animazione. L’interesse di Hitler per Biancaneve venne confermato nel dopoguerra anche dal suo proiezionista personale.

Albert Friedrich Speer (1934 – 2017) era il figlio di Albert Speer (1905 – 1981), l’architetto preferito dal Führer. Intervistato in due occasioni diverse dai giornalisti Falko Henning e Heinrich Breloer, Speer Junior disse di ricordare Hitler come un “caro zio”. I bambini dei gerarchi non dovevano seguire le rigide regole del protocollo all’Obersalzberg, lì c’era una sala proiezioni e ai ragazzini, per esempio durante le feste di compleanno, venivano fatti vedere i cartoni animati di Topolino.

In loro compagnia c’era talvolta, la compagna del Führer, Eva Braun (1912 – 1945). Hitler non era mai presente in quelle occasioni, ma A. F. Speer dichiarò che i cartoni appartenevano alla collezione privata del Cancelliere. Parlava di questo interesse verso l’animazione da parte del Führer anche Michael Munn, in Hitler and the Nazi cult of celebrity (The Robson Press, 2012):

Hitler amava la tecnologia cinematografica e teneva d’occhio tutto ciò che Hollywood produceva riguardo agli effetti speciali e tutto ciò che c’era di nuovo in fatto di tecnologia, come King Kong, che fu fra i suoi film preferiti, tanto da averne una copia nella sua cineteca. Si vocifera che avesse anche una copia di Biancaneve e i Sette Nani di Disney, perché era affascinato dalle nuove tecnologie dell’animazione (…). Aveva un cinema privato nei sotterranei del Berghof dove intratteneva i suoi più intimi conoscenti con i film più nuovi, sia nazionali sia stranieri. Goebbels gli aveva regalato un certo numero di cartoni animati di Topolino come dono di compleanno.

In realtà era un regalo di Natale, che forse il Ministro non avrebbe fatto a Hitler, se avesse saputo quanto sosteneva Munn in un altro passaggio del suo libro, a proposito degli attriti fra Stato e produzione cinematografica negli anni Trenta.

Goebbels era consapevole delle tensioni che esistevano fra lui e il mondo del cinema tedesco, anche se dubitiamo che sapesse che i cineasti lo avevano soprannominato Mickey Mouse, a causa della sua “faccia da topo”.

Alla fine del 2014 il legame (se così si può dire) fra Biancaneve e Goebbels diede lo spunto a Mauro Sgorbani per una pièce teatrale intitolata Magda e lo spavento. Ne fece una colorita recensione su “La Repubblica” la giornalista Simona Spaventa.

Federica Fracassi è attrice generosa e impavida, che accetta sfide nei territori più impervi della scena non convenzionale. Per lei Massimo Sgorbani ha scritto una trilogia sulle femmine di Hitler, indagine sull’attrazione fatale del male che dopo i monologhi della cagna lupa Blondi e dell’innamorata Eva Braun, con Magda e lo spavento dà voce ora a Magda Goebbels in un terzo capitolo che fa entrare in scena lo stesso Führer. Con lui, nei giorni della disfatta del Reich, dialoga la moglie del ministro della propaganda che nel bunker avvelenò i suoi sei figli, ideologa convinta del nazismo la cui lucidità dialettica Sgorbani, con scelta ironica e spiazzante, non applica a dogmi politici bensì a Walt Disney, segreta passione del Führer. Tra chiacchiere su trame di cartoni animati e filastrocche, Biancaneve viene classificata come ariana contro la deformità di nani degenerati e Topolino è un essere inferiore redento, in un testo paradossale che si avvita su se stesso e si ripete in varianti sempre più livide, discesa negli inferi di un fanatismo che intride la più banale e innocua quotidianità. Un andamento circolare che la regia di Renzo Martinelli asseconda con rigore fin troppo cerebrale, trasformando la scena in una sorta di gabbia-scatola magica chiusa anche verso la platea da un velo-schermo soffocante dove scorrono silhouette di cartoon, e scossa da un impianto rumoristico a tratti invadente. Un carillon allucinato e claustrofobico dove si muovono a scatti, come automi caricati a molla, gli attori, è la vera forza dello spettacolo. Nell’abito pastello da principessa Disney, Federica Fracassi è una Magda Goebbels scossa da tremiti nervosi, capace letteralmente di incarnare il lucido sproloquio della sua protagonista in crescendo verbali e fisici di spaventoso, controllatissimo furore. Con lei, Milutin Dapcevic è un Hitler schizofrenico di una sgradevolezza da manuale.

Aldilà dell’interesse del ricercatore, restano i dubbi sulla qualità artistica di un tale spettacolo. L’entusiasmo di Goebbels per Biancaneve (e per l’animazione di Disney in genere), ormai divenuto patrimonio globale, è messo dunque nero su bianco nei suoi Diari.

Allo stesso modo in Italia fu documentato nei Diari di Clara Petacci l’entusiasmo di Mussolini per il lungometraggio disneyano. E sappiamo che anche l’imperatore giapponese Hirohito era un appassionato delle produzioni Disney: quando nel 1975 si recò negli Stati Uniti, accolto dall’allora Presidente Ford, volle visitare Disneyland, dove comprò un orologio di Topolino.

Inoltre, come spiegava Omero Ciai su “La Repubblica” del 22 agosto 2011, persino lo spagnolo Francisco Franco era un vero fan dei cartoni animati americani. Nel 1950 Walt Disney gli fece spedire in anticipo sull’uscita nei cinema una copia di Cenerentola.

Il Caudillo organizzava pomeriggi con proiezioni delle avventure di Tom & Jerry per la nipotina Maria del Carmen. Secondo Orson Welles, Franco avrebbe realizzato cortometraggi con disegni animati e una volta il regista americano giurò di averne anche visto qualcuno.

Quest’ultimo aneddoto è considerato poco più che una leggenda urbana dal saggio Las películas que vió Franco (y que no todos pudieron disfrutar), scritto nel 2018 dagli esperti di cinema spagnoli José María Caparrós e Magí Crusells.

L’entusiasmo di Hitler nei confronti del film ispirato alla fiaba dei fratelli Grimm rimane invece nel limbo delle congetture. Ma forse anche il Führer ne fu per davvero stregato…

Nel 2008 uscirono allo scoperto alcuni disegni, realizzati da mano esperta, raffiguranti personaggi della pellicola, firmati sul retro con la sigla “A.H.”. Leggiamo quanto fu scritto a tal proposito al momento della scoperta di William Hakvaag, direttore del Lofoten 2. World War Memorial Museum, un museo di storia militare sito nel nord della Norvegia:

Molti dei protagonisti della Seconda guerra mondiale avevano inclinazioni artistiche. Sia Churchill sia Dwight D. Eisenhower avevano la capacità di trasferire ciò che vedevano su un altro mezzo: la tela. Ma non tutti sanno che anche Adolf Hitler avesse interessi artistici. La maggior parte delle volte dipingeva acquerelli (…). Fra il 1908 e il 1914 lui e i suoi coinquilini (…) si guadagnarono da vivere dipingendo acquerelli e cartoline a Vienna e Monaco. Lo stesso Hitler affermava di aver dipinto oltre 1000 quadri, alcuni dei quali erano a olio. I più venduti erano gli acquerelli delle chiese. (…) Nel 1914 si arruolò volontario e partecipò per quattro anni alla guerra di trincea; venne ferito più volte, ma dipinse e disegnò in continuazione. Ventuno disegni trovati in Belgio, che si ritiene siano stati dipinti da Hitler, sono stati battuti all’asta in Inghilterra nel 2006 per 1,6 milioni di euro. Dopo la Prima guerra mondiale continuò a dipingere, ma in misura molto minore. Anche dopo essere diventato Cancelliere del Reich nel 1933, Hitler dipinse diversi quadri. Nel 1935, la Nsdap iniziò a cercare i dipinti dispersi del Führer. (…) Nel 1942 questi dipinti vennero dichiarati “opere di importanza nazionale”. L’obiettivo era quello di creare un “museo d’arte del Führer” in cui raccoglierli; questo doveva essere situato a Linz (…). I dipinti ritrovati dalla Nsdap furono raccolti e catalogati nella “Braune Haus” di Monaco e poi conservati nei tunnel e nei rifugi antiaerei sotto la caserma delle SS all’Obersalzberg. Hitler continuò a dipingere e amava regalare quadri a coloro che apprezzavano i suoi acquerelli. Verso la fine della guerra, anche gli effetti personali dei leader nazisti furono depositati nei tunnel dell’Obersalszberg quando si temeva che gli edifici sarebbero stati bombardati. Furono le truppe americane a scoprire questo deposito di oggetti personali, che venne devastato e saccheggiato visto che tutti volevano un souvenir. I pezzi più ambiti erano ovviamente le porcellane e l’argenteria. Alcuni acquerelli ritrovati furono invece ritenuti dagli americani oggetti di minore interesse, e forse se li accaparrò la gente del posto. Comunque sia, un dipinto firmato “A. Hitler ’40” è stato recentemente messo all’asta in Germania. (…) La signora che l’ha venduto ha detto solo che ce l’avevano i suoi nonni “fin da quando poteva ricordare”. Aveva trovato il dipinto incorniciato in soffitta risistemando la casa e non poteva dire se il quadro fosse autentico o no. L’opera fu venduta per una piccola somma a William Hakvaag, in Norvegia, che a sua volta la diede in comodato al Lofoten War Memorial Museum di Svolvær. Quando l’acquerello è stato estratto dalla vecchia cornice, sono cadute quattro immagini che erano state nascoste all’interno di un doppio cartone dietro il dipinto. E lo stupore non è diminuito quando si sono visti i soggetti… Tre delle immagini raffiguravano i nani di Biancaneve! Erano firmate a matita “A. H.”. L’ultimo disegno era di Pinocchio, è stato chiaramente dipinto un po’ più tardi e non era firmato. L’immagine principale era incredibilmente molto simile come stile al modo in cui Hitler dipingeva. I disegni sono stati controllati con una lampada a luce ultravioletta e sono risultati completamente scuri, il che prova che sono vecchi. Ulteriori ricerche hanno dimostrato che Hitler era molto interessato al cartone animato della Disney Biancaneve, che in realtà è una vecchia fiaba tedesca. Secondo Hitler, il film è stato uno dei “migliori mai realizzati” e ne aveva una copia personale per il suo cinema privato al Berghof sull’Obersalzberg. Era anche infastidito dal fatto che la Germania non potesse fare un film altrettanto buono; si è così seduto e ha disegnato tre dei nani. E lo ha fatto correttamente. Un dettaglio che possiamo notare è che Hitler aveva preso in prestito da Albert Speer un tavolo da disegno quando l’architetto aveva progettato la sua casa, il Berghof sull’Obersalzberg. Deve aver usato quel tavolo per gli acquerelli del suo “periodo tardo” perché hanno i buchi dei perni negli angoli. Pure negli acquerelli dei nani sono presenti dei piccoli fori dovuti ai perni che tenevano fermo il foglio mentre Hitler dipingeva.

Anche se qualche commentatore, come Rolf Giesen, ritiene questo fatto poco più che una burla, è curioso pensare che Pinocchio, il burattino di Collodi, mille volte rivisto e reinterpretato, anche da Disney, sarebbe stato disegnato persino da Adolf Hitler.
“Il Giornale”, in un articolo firmato Maurizio Acerbi il 21 agosto 2020, si chiedeva se…

… un colosso come Netflix poteva lasciarsi scappare l’occasione di regalarsi un suo adattamento del tutto particolare? Ecco, allora, che uscirà il Pinocchio in versione musicale animata in stop-motion, diretta dal premio Oscar Guillermo Del Toro. Che, evidentemente, deve aver trovato chi lo finanzia, visto che a Venezia aveva confidato, qualche tempo fa: “Sto cercando finanziatori per Pinocchio da quasi 10 anni e mi complico sempre la vita perché nessuno dei film che voglio fare è facile. Quando dico che il mio Pinocchio sarà antifascista e ambientato nell’Italia di Mussolini, chi era entusiasta all’inizio poi si tira indietro!”. Esatto, perché del Toro ha avuto la pensata di collocare le avventure musicate del suo burattino, che prende vita da un desiderio del padre, durante l’ascesa del fascismo e di Mussolini, in una storia che dovrebbe rappresentare la fatica di crescere di un Pinocchio che non si sente all’altezza delle aspettative del genitore. Chissà se il film è una risposta a quel Pinocchio che, durante il Ventennio, divenne protagonista di alcuni racconti come, ad esempio, Avventure e spedizioni punitive di Pinocchio fascista (1923) di Giuseppe Petrai, nel quale il burattino diventava “a modo” combattendo contro le squadre comuniste, mentre il successivo Pinocchio fra i balilla (1927) ricalcava più da vicino, in un certo senso, la storia di Collodi. Sempre Del Toro, aveva dichiarato: “I film d’animazione hanno da sempre influenzato la mia vita e il mio lavoro, e Pinocchio è il personaggio di fantasia che più di altri mi ha ispirato. Il Pinocchio che sarà protagonista della mia storia, sarà un’anima innocente maltrattata da suo padre, perso in un mondo che non riesce a comprendere. Inizierà un viaggio straordinario che sarà in grado di fargli capire la realtà delle cose sul mondo e sul suo genitore”. Con un cast di tutto rilievo, visto che accanto all’esordiente Gregory Mann, che vestirà i panni di Pinocchio, avremo attori del calibro di Ewan McGregor (il Grillo Parlante) e David Bradley (Geppetto). Reciteranno anche Tilda Swinton, Christoph Waltz, Finn Wolfhard, Cate Blanchett, John Turturro. Alla regia, oltre a del Toro anche Mark Gustafson. È prevista una doppia distribuzione, ovvero nelle sale e su Netflix. Le riprese sono iniziate lo scorso autunno negli studi di ShadowMachine a Portland (Oregon) e la produzione è proseguita anche durante la pandemia. “Dopo aver inseguito questo sogno per anni, Netflix rappresenta il partner perfetto per realizzarlo. Abbiamo passato molto tempo a trovare un cast e una troupe di prim’ordine e il continuo supporto di Netflix ci ha permesso di procedere in tutta tranquillità e con impegno, senza perdere colpi. L’animazione ci appassiona, perché pensiamo rappresenti il mezzo ideale per raccontare questa storia classica in un modo completamente nuovo”, afferma Del Toro. Vedremo se l’ideologia prevarrà sul personaggio.

Il debutto del film, previsto nel 2021, è slittato alla fine del 2022 o agli inizi del 2023. Una volta terminate le riprese Del Toro dichiarava a “Collider” il 1° dicembre 2021 (traduzione di “Orgoglionerd”):

Il rovescio della medaglia per me è sempre stato Pinocchio e Frankenstein. Perché essenzialmente, sono la stessa storia. L’idea di un Pinocchio che parla di cose che considero molto profonde ma è divertente ed è un musical allo stesso tempo, lo trovo davvero commovente. Ovviamente, nell’animazione, si arriva a vedere il film in storyboard dall’inizio alla fine molte molte volte, e poi si aggiunge lo stop-motion. In questo momento, siamo al 50% in animazione e al 50% in storyboard. Ogni volta che guardo il film piango come un bambino. È quanto di più personale e commovente ci sia ed è diverso da qualsiasi altra versione della storia che conoscete. È completamente diverso. Sovverte i fondamenti morali della favola originale: per essere un vero ragazzo devi cambiare. Devi diventare in carne ed ossa. Qui si tratta di diventare un vero ragazzo agendo… agendo come un vero umano, punto.

Il 1937 era stato dunque negli Usa l’anno di Biancaneve e i Sette Nani, il primo lungometraggio animato della Disney, realizzato con tecniche estremamente innovative (una per tutte, la multiplane camera).

Per i soliti problemi di diritti e per il fatto che da anni molti soldi della Disney erano congelati in Germania non si arrivò mai a un accordo per un’ufficiale versione in tedesco del film nel Reich (fu comunque doppiata in lingua germanica ad Amsterdam).

Roy Disney, che nel 1938 era a Berlino, non riuscì infatti a trovare accordi economici per lui soddisfacenti. Il fratello Walt era molto meno interessato agli aspetti… monetari dell’attività di famiglia e dunque per certi versi si disinteressò della questione.

I giornalisti tedeschi videro comunque Biancaneve, essendo stato proiettato in Italia alla Mostra del Cinema di Venezia del 1938, ma ne rimasero parzialmente delusi e nei loro commenti parvero tranquillizzare il pubblico tedesco: ben poco si perdeva a non vedere quel film, secondo loro.

Qualcuno (come Laqua) ha sospettato che dietro quegli articoli negativi nei confronti del lungometraggio ci fosse la “longa manu” di Goebbels, “invidioso” di quali vertici avesse raggiunto la tecnica dell’animazione nelle opere disneyane.

Pare, questa, una delle tante “leggende urbane” sul Terzo Reich e sui suoi protagonisti. Vero è che Goebbels, ammirato dalle potenzialità e dalla tecnica del cinema d’animazione disneyano, creò nel 1941 la Deutschen Zeichenfilm GmbH, una ricchissima industria germanica del cartooning, vera e propria “Cinecittà del cartone animato”, dotata di ogni più moderna tecnologia.

Negli anni della guerra (gli animatori e le intercalatrici lavorarono fino a quando l’Armata Rossa già sciamava per le vie di Berlino) produsse veri e propri capolavori d’animazione. Secondo un collaboratore, i film della Disney dovevano essere studiati, sezionati e analizzati al microscopio. Il principe di questo gruppo d’artisti fu Hans Fischerkoesen (1896 – 1973); racconto parte di queste vicende nel volume A casa prima del buio – secondo movimento: scherzo (Aurea Editoriale, 2019).

Alla Mostra di Venezia del 1938 c’era anche la regista Leni Riefenstahl: Biancaneve di Walt Disney e il suo Olympia (l’immaginifico documentario “romanzato” delle Olimpiadi di Berlino del 1936) furono fra le pellicole premiate.

La Riefenstahl si sarebbe recata in America qualche mese dopo, a novembre, per presentare il suo film. Come ebbe a ricordare nel suo libro Memoiren 1902-1945, uscito nel 1987, in quel viaggio trovò porte sbarrate e boicottaggi nel mondo del cinema statunitense.

Fu diverso con Walt Disney, che mi invitò. Ci ricevette nel suo studio la mattina presto e trascorse con noi l’intera giornata. Con pazienza ma anche con orgoglio, ci mostrò come erano realizzati i personaggi dei suoi cartoni animati; ci spiegò come funzionava la sua tecnica d’animazione e ci fece vedere i bozzetti che aveva realizzato per la sua nuova produzione L’apprendista stregone. Ero affascinata: per me Disney era un genio, un vero e proprio mago, la cui fantasia sembrava illimitata. A pranzo affrontammo il tema della Biennale, dove avevano gareggiato Biancaneve e Olympia. Avrebbe voluto vedere entrambe le parti del film sui giochi olimpici. “Nessun problema”, dissi io. Le copie erano in albergo, bastava solo andarle a prendere. Disney rifletté, poi disse: “Temo di non potermelo permettere”. “Perché?”, chiesi sorpresa. Disney: “Se guardo i suoi film, domani lo saprà tutta Hollywood”. “Ma”, intervenni, “lei ha qui le sue sale di proiezione private, nessuno lo saprà mai”. Disney, replicò, rassegnato: “I miei proiezionisti sono tutti sindacalizzati, lo scoprirebbero da loro. Sono un produttore indipendente, ma non ho un mio distributore e neppure mie sale cinematografiche. Potrei essere boicottato. Il rischio è troppo alto”. Quanto fosse potente la Lega Antinazista, lo potetti constatare leggendo la stampa statunitense tre mesi dopo, quando avevo già lasciato l’America. Walt Disney fu costretto a dichiarare che non sapeva chi fossi quando andai a trovarlo.

Troviamo notizie dettagliate di questo incontro anche in altri volumi, tra i quali il già citato Animation Under the Swastika: A History of Trickfilm in Nazi Germany 1933-1945 di Giesen & Storm (McFarland, 2012), Leni Riefenstahl di Jérôme Bimbenet (Tallandier, 2015), Hollywood Flatlands di Esther Leslie (Verso, 2002) e soprattutto Celluloid soldiers di Michael E. Birdwell (New York University Press, 2000), nel quale leggiamo:

A novembre del 1938 la regista Leni Riefenstahl, “emissaria in gonnella di Herr Hitler”, visitò gli Stati Uniti per promuovere il suo documentario Olympia, storia dei Giochi Olimpici del 1936, sponsorizzati dai Nazisti. Dato che la Riefenstahl era ospite della Mgm, la Lega Antinazista protestò contro la Mgm, uno studio che continuava a fare affari con il Terzo Reich e con una donna che aveva deificato il Führer nel Trionfo della Volontà. Accusavano la Mgm di assumere e di accogliere nazisti, in patria e all’estero. Cosa significativa, gli unici pezzi grossi del cinema, Mgm a parte, che diedero il benvenuto alla Riefenstahl furono Hal Roach e Walt Disney che, insieme a Henry Ford, ammirava la Germania nazista. Inoltre Disney sosteneva l’organizzazione anti-interventista America First e spesso partecipava alle riunioni del Partito nazista americano con Gunther Lessing (circostanza non provata – NdR). Ma la maggior parte di Hollywood non voleva avere niente a che fare con una donna che si diceva fosse l’amante di Hitler. La Riefenstahl negò maliziosamente che i nazisti maltrattassero gli ebrei e finse incredulità a proposito del trattamento che aveva ricevuto a Hollywood. Incolpò la Lan per la cancellazione di un suo incontro con Gary Cooper, mentre si prodigò in elogi per Walt Disney. Disse che era stato uno dei pochi a salutarla con trasporto.

Il nome di Gary Cooper (1901 – 1961) non saltava fuori a caso: l’attore, a metà degli anni Trenta, fu tra i fondatori degli Hollywood Hussars, una sorta di esercito privato di ispirazione conservatrice, se non addirittura “fascista” secondo alcuni.

Secondo una leggenda hollywoodiana l’attore avrebbe addirittura incontrato Hitler nel 1938. Altre fonti dicono che in realtà Cooper sarebbe andato in Germania nel 1939 e avrebbe visto solo il cineasta Albert Göring (1895 – 1966), fratello di Hermann (in tal senso l’articolo Hollywood’s Fascists Follies del 1991, firmato da Anthony Slide).

Tornando alla Riefenstahl, come lei stessa affermò intervistata dal periodico francese Paris Midi, nei tre mesi in cui era rimasta in America aveva avuto ovunque una calorosa accoglienza, tranne che a Hollywood (Disney e pochi altri a parte), boicottata dalla Lega Antinazista.

Rolf Giesen, nel già citato libro sul cinema del Terzo Reich, affrontava tale questione riproducendo un articolo uscito su Film-Kurier agli inizi del 1939 con il titolo di Filmhetze in Hollywood, dove si diceva che anche Vittorio Mussolini era stato contestato.

A Hollywood è stata istituita una Lega Antinazista che è stata bollata da Vittorio Mussolini, tornando a casa dal suo viaggio di ricerca, come un “centro di agitazione politica contro l’idea fascista”. Secondo recenti rapporti, questa Lega dice che intende solo aiutare gli emigrati più bisognosi, quando invece persegue, con grande forza, il suo vero obiettivo: quello di lanciare un boicottaggio cinematografico contro la Germania. Dopotutto è già stato fatto un film in cui Charlie Chaplin fa satira sul Führer, facendone uno zimbello.

The Great Dictator sarebbe uscito solo nel 1940, ma Chaplin ci lavorava già dal 1936 e una prima versione della sceneggiatura era stata ultimata e depositata nel novembre 1938.

Nei suoi Diari Joseph Goebbels, alla data del 5 febbraio 1939, si chiedeva se non fosse necessario bloccare l’importazione dei film americani in Germania. Infatti quel giorno il Ministro aveva incontrato la Riefenstahl, appena rientrata dagli Stati Uniti. Goebbels scriveva:

Abends berichtet Leni Riefenstahl mir von ihrer Amerikareise. Sie gibt mir ein erschöpfendes Bild, das alles andere als erfreulich ist. Wir haben da nichts zu bestellen. Die Juden herrschen mit Terror und Boykott. Aber wie lange noch?
(A sera Leni Riefenstahl mi racconta del suo viaggio in America. Mi dà un quadro esauriente tutt’altro che piacevole. Non dobbiamo più far venire niente da laggiù. Gli ebrei spadroneggiano con il terrore e il boicottaggio. Ma per quanto tempo ancora?).

Dell’embargo verso il cinema americano ne fece le spese anche Biancaneve e i sette nani. Eppure, pochi giorni prima del ritorno della Riefenstahl in patria, si era giunti a un accordo sulla Ufa (che aveva battuto la Bavaria all’asta) come distributore unico del film in Germania.

Dopo un anno di tira-e-molla i rapporti commerciali fra la Disney e il Reich si interruppero del tutto nel febbraio del 1940. Ma i tedeschi continuarono ad apprezzare la produzione disneyana. Infatti, secondo Laqua:

I film Disney vennero ancora proiettati sporadicamente nel Reich, anche dopo lo scoppio della guerra. Nessuno era più legittimato a farlo, ma c’erano ancora abbastanza copie che circolavano tra i proprietari di cinema, e chi dall’estero si sarebbe preso la briga di agire contro di essi? Soprattutto a Natale, i vecchi rullini della Bavaria Film furono proiettati senza sosta. L’ultima proiezione pubblica nota si svolse alla Urania Filmbühne di Amburgo. I film di Topolino, che erano stati messi insieme appositamente per queste esibizioni speciali, vennero lì proiettati anche sotto Natale nel 1940. Il cartellone ebbe un tale successo che Der Film annunciò il 31 dicembre che le proiezioni sarebbero continuate dopo le vacanze, nei fine settimana. Topolino fu dunque proiettato in pubblico nel Terzo Reich almeno fino al gennaio 1941. Gli operatori dell’industria cinematografica non risentirono delle proibizioni. Nella cerchia interna del mondo del cinema venivano visti film che erano stati vietati al pubblico in Germania o che non venivano proiettati per altri motivi. Biancaneve della Disney era molto popolare fra gli addetti ai lavori. Anche la versione tedesca di Biancaneve e i sette nani fu disponibile per queste proiezioni. Già prima del febbraio del 1940 la Biancaneve disneyana entrò a far parte del Reichsfilm-Archiv.

Biancaneve fu registrato ufficialmente con la scheda n. 3828 del Rfa. Nel file veniva specificato il titolo originale in inglese (Snow White and the Seven Dwarfs) con la traduzione in tedesco (Schneewittchen und die 7 Zwerge); venivano indicati il genere (favola) e la tecnica (animazione) del film; si nominavano il produttore (Walt Disney), il distributore (la Rko), il regista (David Hand) e gli autori del libro dal quale il lungometraggio era stato tratto (i fratelli Grimm); c’era poi un lunghissimo elenco di tutti gli artisti che avevano collaborato alla pellicola, sia per i disegni, sia per le musiche, sia per i fondali; seguiva una breve trama e un singolare commento:

Il film è il primo lungometraggio animato di Walt Disney. La perfezione tecnica del disegno e del colore e l’abbondanza di idee, così come la sua colonna sonora hanno reso il film il più grande successo mondiale. La fiaba dei Grimm è stata interpretata secondo la mentalità americana.

La nota finale della scheda diceva:

Il film è stato valutato tra i dieci migliori dell’anno negli Stati Uniti e ha vinto il Gran Premio alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel 1938.

La Biancaneve disneyana (a fumetti) fu un successo anche nel protettorato tedesco di Boemia e Moravia, addirittura fino al 1942, a dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti. Lo spiegava Didier Ghez in Tomart’s Disneyana Update n. 47 (luglio/agosto 2002).

Il 15 febbraio 1940 un cagnolino chiamato Punta diede il benvenuto a Biancaneve in Cecoslovacchia. Dal numero 76 e probabilmente fino a una data imprecisata nel 1942, la rivista per bambini Punta pubblicò i fumetti disneyani distribuiti dal King Features Syndicate, partendo con Biancaneve e i Sette Nani e I Tre Porcellini e continuando con Pinocchio.

Secondo Laqua e altri commentatori ci sono almeno cinque fattori che possono spiegare il successo dell’animazione disneyana in Germania anche durante l’era nazionalsocialista.

La passione per le pellicole Disney fra le masse popolari; i grandi profitti che i cartoni garantivano alle sale cinematografiche, ai distributori, e a tutto l’indotto (non ultima l’industria dei giocattoli); la considerazione che Disney non fosse un ebreo, che avesse anzi una madre di origini germaniche e che spesso si opponesse all’industria cinematografica americana delle major, capeggiate da ebrei; il fatto che i film animati della Disney fossero del tutto apolitici.

Infine, la scelta dei soggetti di molti cartoni disneyani (soprattutto per certe Silly Symphonies e per Biancaneve) dimostrava che il cineasta avesse una chiara preferenza per la tradizione fiabesca tedesca.
Parlando delle parziali origini germaniche di Biancaneve, lo storico John Canemaker, autore di Paper Dreams (Hyperion, 1999), precisava:

I film espressionisti tedeschi, come Il gabinetto del Dr. Caligari (1919), furono una fonte di ispirazione. Venivano analizzati, insieme agli altri tipi di film, alla scuola d’arte dei Disney Studios. I film espressionisti tentavano di creare una nuova, più profonda realtà traendola dal mondo dell’apparenza esterna; il loro potere derivava dall’atmosfera e dalla fotografia in cui il tono dell’immagine sullo schermo diventava il principale elemento espressivo.

Nell’autunno del 1939 il ventiseienne Reinhold Johann Holtz discuteva alla Facoltà di Filosofia dell’Università di Amburgo la sua tesi di dottorato, intitolata Die Phänomenologie und Psychologie des Trickfilms (Fenomenologia e psicologia dei film d’animazione), nella quale si occupava in particolare della produzione americana.

Oltre a Walt Disney, anche Max Fleischer e Paul Terry erano riconosciuti da Holtz come i maggiori rappresentanti della più importante scuola di cinema d’animazione del mondo, in un momento in cui questi film cominciavano a non essere più proiettati pubblicamente in Germania.

In un passaggio della sua tesi Holtz sosteneva che il cartone animato americano deriverebbe dal fumetto che, con la sua peculiarità di raccontare storie con molte immagini e poco testo, era molto adatto alla distribuzione fra gli immigrati scarsamente alfabetizzati.

Un modo davvero pittoresco di considerare il comic, come divertimento per gli stranieri ignoranti, dimenticando che fumetto moderno e cartone animato ebbero origine praticamente negli stessi anni della fine dell’Ottocento e nei primi decenni venivano realizzati dagli stessi autori.

Riguardo al suo significato attuale, il cartone animato americano deve le sue origini alla peculiare composizione razziale e linguistica dell’etnia nordamericana e alla conseguente difficoltà di comunicazione interlinguistica in campo psicologico. Per quanto attiene la genesi del film d’animazione, va notato che questo è molto probabilmente derivato dai fumetti, che occupano un ampio spazio nella stampa quotidiana americana. Ciò che colpisce di questi disegni è la mancanza di spiegazioni testuali. La storia che nasce dalla sequenza di immagini disegnate si comprende, senza alcuno commento scritto, osservando le immagini stesse, arricchite da brevi dialoghi. È ovvio che questo mezzo di comunicazione poteva avere solo negli Stati Uniti una diffusione generale, con le centinaia di migliaia di immigrati di popoli e razze straniere.

 

Disney, Mussolini & Hitler

Il testo che avete appena letto, solo leggermente modificato per motivi giornalistici, è tratto dal volume di Francesco Manetti intitolato Disney, Mussolini & Hitler, 475 pagine.

Il libro è dedicato essenzialmente (ma non solo) all’accoglienza della produzione disneyana e della figura di Walt Disney in Italia e in Germania durante il fascismo e il nazismo.

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HITLER AMMIRATORE DI TOPOLINO

 

 

2 pensiero su “HITLER AMMIRATORE DI TOPOLINO”
  1. Ho finito di leggere il saggio in questione, di Francesco Manetti
    Ehh, non essendo il sottoscritto un topo di archivio o di altri antri consimili, ma un semplice frequentatore di bblioteche cittadine, non posso verificare su altri documenti se questa ammirazuine di Hitler e pare anche di MUssolini per film di animazione quali Biancaneve ed altri, coinvolgesse anche molte persone della cerchia dei due dittatori!
    La cosa mi pare comunque possibile, anche se naturalmente il valore di un tale fatto in sè stesso andrebbe forse messo a confronto, almeno in Italia, con il seguito avuto in contemporanea con altre situazioni consimili, se tali situazioni esistono nei tempi giusti, nel 1937 e così via.
    Nell’insieme il saggio del purb bravo Manetti mi è parso un poco ripetitivo, questo fatto soggettivo / Ognuno legge o anche solo vede immagini (qui assolutamente assenti) a secondo del suo set mentale! A mio parere la diversità è un fattore normale e necessaio di fronte alle tante etnie umane che popollano il nostro pianeta, sciagura sarebbe se otto migliardidi esseri umani avessero il medesimo e preciso modo di funzionare! Comunque mi sfugge il senso di dare tanta centralità e importanza al fatto in sè stesso, isolandolo dal contesto , in tutta la sua ovvia complessità! Mussolini era un fan di Disney? Io avrei preferito di Jacovitti, cosa che avrebbe probabilmente portato il povero Benito Franco Jac forse in peggiori acque in certi periodi del dopoguerra, quando se uno si faceva anche solo crescere la barba che per naturale selezione casomai era di pelo nero, ehh, per Fulvia Serra ed esagitate amiche di Redazione, sarebbe stato un fatto in odore di fascismo!!

    Saluti a tutti e congratulazioni a Manetti sempre apprezzabile.

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