Il capolavoro di Clint Eastwood, Gli spietati, che ne ha segnato la consacrazione come regista e autore, viene ricordato come un malinconico e sarcastico addio al genere western. Ma il film è davvero così pessimista?

GLI SPIETATI DI EASTWOOD È DAVVERO PESSIMISTA?

Negli anni settanta, lo sceneggiatore David Webb Peoples (poi noto per Blade Runner), scrisse una sceneggiatura intitolata The William Munny Killings. Inizialmente opzionata da Francis Ford Coppola (che voleva John Malkovich come interprete principale). Lo script fu poi acquistato da Clint Eastwood che lo tenne nel cassetto fino a quando non ebbe l’età giusta per interpretare il protagonista.

GLI SPIETATI DI EASTWOOD È DAVVERO PESSIMISTA?

Finalmente, nel 1992, uscì Gli Spietati, in originale Unforgiven (cioè colui o coloro che non sono stati perdonati).
Per Clint Eastwood è il quarto western da regista dopo Lo straniero senza nome (1972), Il texano dagli occhi di ghiaccio (1976), e Il cavaliere pallido (1985).

Il successo del film, tanto al botteghino quanto agli Oscar e ai Golden Globe, significò il riscatto di Eastwood nei confronti nella critica: da attore inespressivo veniva così promosso a ultimo regista classico nel solco di John Ford e Howard Hawks.
Soprattutto avrebbe sancito la fine dell’epopea western smontandone i miti e i luoghi comuni.

GLI SPIETATI DI EASTWOOD È DAVVERO PESSIMISTA?

Siamo a Big Whiskey, nel Wyoming, 1880. Alcune prostitute promettono una ricompensa a chi ucciderà due minatori che, ubriachi, hanno sfregiato una di loro.

Il giovane sbruffone Schofield Kid (Jaimz Woolveet) propone l’affare a William Munny (Clint Eastwood), un ex-fuorilegge redento anni prima da quella santa donna della moglie.

Munny vive perseguitato dai rimorsi, ma le cose vanno male: la moglie è morta di tifo da alcuni anni, il bestiame della sua misera fattoria è decimato dalla febbre, e i due figlioletti fanno la fame.

Così decide a malincuore di accettare la proposta di Kid, e coinvolge anche il suo vecchio compare Ned Logan (Morgan Freeman).

GLI SPIETATI DI EASTWOOD È DAVVERO PESSIMISTA?

I tre si mettono in viaggio, ma lo sceriffo della città, Little Bill Daggett (Gene Hackman), aveva già stabilito un’ammenda per i due minatori e non tollera che qualcuno dispensi giustizia al posto suo.

GLI SPIETATI DI EASTWOOD È DAVVERO PESSIMISTA?

Mai titolo italiano fu più fuorviante de Gli Spietati: lo fa sembrare il classico western spara & stendi all’italiana. In realtà è un western incredibilmente placido, dialogato e con poca azione.
Più che un western,Gli Spietati è un noir.

Un noir un po’ per l’atmosfera, data dalla magnifica fotografia di Jack N. Green, che da un lato esalta gli scenari del Parco nazionale di Alberta (Canada) e dall’altro gira scene notturne dove i volti dei personaggi sembrano emergere a fatica dall’oscurità che li avvolge.

Alla base di tutto c’è una storia criminale che nasce dalla sete di vendetta, con le prostitute infuriate perché trattate come bestiame da marchiare e i colpevoli che scampano la galera in cambio di un cavallo come indennizzo per il magnaccia.

Dipinge un mondo dove i confini tra giusto e sbagliato, buoni e cattivi, è tutt’altro che netto.

Quest’ottica noir serve soprattutto a fornire una riflessione amarissima e demistificante del mito del West. Gli Spietati racconta il West della realtà storica, dove eroismo, grandi ideali e abilità con le armi sono solo l’invenzione di alcuni scrittorucoli che cercano di vendere qualche copia in più.

Il personaggio del bounty killer Bob “l’inglese” (Richard Harris) non ha alcuni utilità nell’economia della trama principale. La sua presenza serve solo per smontare il mito del pistolero eroico e infallibile, con Little Bill che sbugiarda le sue smargiassate raccontando come si sono svolte realmente le sue “imprese” a un attonito scribacchino (Saul Rubinek) che l’inglese s’era portato appresso come biografo.

Monumentale poi il personaggio di Little Bill, geniale nella sua ambiguità: simpatico e feroce, sadico, ma in grado di far rispettare la legge. Meritatissimo l’Oscar ad Hackman.

Perfino la resa dei conti conclusiva viene girata senza alcuna concessione alla spettacolarità (i rallenty di Sam Peckinpah, i primissimi piani alla Sergio Leone) danno un tocco epico in grado di ricordarci in extremis che ci troviamo in un western.

Smontando il mito della frontiera da ogni eroismo e romanticheria, Clint Eastwood, considerato fino ad allora emblema di conservatorismo reazionario, non solo ha fornito una riflessione ironica sul modo in cui viene interpretata la storia e su come nascono i miti, ma ci ha anche inaspettatamente regalato (alla faccia dei suoi detrattori “liberal”), un lucido e coraggioso esame di coscienza sul “mito americano”, sulle contraddizioni e sulle ingiustizie su cui si è formato.

Clint avrebbe proseguito il discorso l’anno dopo con quell’altro capolavoro che è Un Mondo Perfetto, ambientato non a caso nei giorni dell’assassinio di Kennedy e della guerra in Vietnam.

Eppure non riesco a considerare Gli Spietati un film totalmente pessimista.

Primo, perché la didascalia conclusiva che ci rivela la sorte di Munny e dei suoi figli ci lascia un lieto fine che (anche se solo privato, come nel citato Blade Runner o in L’Anno del Dragone di Michael Cimino) sembra suggerire un qualche messaggio di speranza.

Secondo, perché io la storia del pentimento non me la sono mai bevuta. Munny ripete per tutto il film: “Sono cambiato, il fatto che abbia accettato questo lavoro non significa che sia tornato quello di una volta”.
Tuttavia, appena le cose si fanno serie, eccolo riattaccarsi alla bottiglia, tirar fuori l’antica cattiveria dalla naftalina e far piazza pulita.
No, non era cambiato. Munny è rimasto lo “spietato ammazzacristiani” che tutti dicono. Eppure sua moglie l’ha amato, ricambiata. E se anche uno spietato può essere amato e amare sinceramente, allora c’è speranza per tutti. Anche in un West cupo e senza eroi.

La suprema felicità della vita è essere amati per quello che si è o, meglio, di essere amati a dispetto di quello che si è.
Victor Hugo

Girato in 39 giorni, uscito in sala il 7 agosto 1992, Unforgiven fu subito un successo. Vinse 4 Oscar (cosa accaduta solo ad altri due western: Balla coi Lupi, nel 1990, e I Pionieri del West, del 1931) Film, regia (Clint Eastwood), montaggio (Joel Cox) e attore non protagonista (Hackman). L’America film institute l’ha inserito tra i 100 migliori film di tutti i tempi.

 

 

(Immagini trovare nel web: © degli aventi diritto).

 

 

2 pensiero su ““GLI SPIETATI” DI EASTWOOD È DAVVERO PESSIMISTA?”
  1. gli sfregiatori sono allevatori, non minatori.
    o sbaglio?

    comunque capolavoro, il miglior film di Clint assieme a Mystic River

  2. Ottima analisi per il film che ha segnato il risveglio di Clint Eastwood, facendolo passare da attore con due espressioni a Regista con R maiuscola.
    Pessimista? Non so. Sicuramente è un film disilluso.

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