Pensieroso, smagrito e con gli occhi puntati verso terra Giulio II, il “Papa guerriero”, ci appare in un’immagine stranamente intima e dimessa, alla stregua di un nonno alle prese con qualche grave preoccupazione.

A ricordarci però con chi abbiamo a che fare, Raffaello, nel ritratto che di lui realizzò nel 1511, dissemina indizi, quali i pomoli dorati dello schienale della sedia camerale a forma di ghianda, il frutto dell’albero del rovere (o della quercia che dir si voglia) presente nello stemma araldico di questo Pontefice, che di nome faceva per l’appunto Giuliano della Rovere.

Se le dita ingioiellate ci trasmettono l’idea di ricchezza e opulenza tipiche del Rinascimento, il fazzoletto stretto nella mano destra del Papa, pronto ad asciugarne le lacrime, dà invece la cifra di quell’”annus horribilis” che vide gli Stati Pontifici soccombere nella campagna bellica contro Luigi XII di Francia, sceso in Italia con intenzioni predatorie.

Da qui la decisione dello stesso Giulio II, come voto, di non radersi più la lunga barba bianca con la quale Raffaello lo ritrasse.

Eppure l’anno era iniziato in maniera diversa per lui quando, ritto con in capo la tiara ed indossando una corazza sopra la veste bianca, costrinse alla resa, sotto una fitta nevicata, il Castello della Mirandola, dove si erano rifugiati molti invasori francesi insieme agli alleati estensi, entrandovi dopo essersi arrampicato su una scala a pioli, perché il portone d’accesso era stato murato, al grido di “Vederò se averò sì grossi li cojoni come ha il Re di Franza”.

La cosiddetta “Quercia della Liguria” nacque ad Albissola il 5 dicembre del 1443 da una famiglia di origini modeste, tanto che da ragazzo lui stesso condusse più volte una barchetta a remi sino al mercato di Genova per vendervi le cipolle dell’orto di famiglia.

Certo non poteva immaginare che di lì a poco, per desiderio del potente zio Francesco diventato nel frattempo ministro generale dei Francescani, sarebbe entrato nello stesso Ordine per poi, dopo l’inattesa elezione di quest’ultimo al soglio pontificio nel 1471 col nome di Sisto IV, ricevere seduta stante la berretta cardinalizia e iniziare così una folgorante e redditizia carriera ecclesiastica.

Fisicamente imponente, di bell’aspetto, lesto di favella e dotato di grande carisma personale, il novello Principe della Chiesa non era certo tipo da restare nelle retrovie e, essendo di natura più portato a frequentare gli uomini d’armi che i prelati, nel ruolo di legato pontificio di Avignone condivise spesso con i suoi soldati le durezze della vita militare e finanche rancio e nottate in tenda o all’addiaccio.

Incline ad approfittare dei piaceri della vita, il cardinale della Rovere fu solito riversare la sua sensualità senza troppe differenze su persone di ambo i sessi, diventando padre di almeno una figlia, Felice, ma non disdegnando al tempo stesso la compagnia del favorito di turno.

Per la mentalità e i costumi dell’epoca queste erano quisquilie, che non gli impedirono d’imporsi già al primo scrutinio nel secondo Conclave tenutosi nel 1503.

Proprio nel giorno d’Ognissanti del 1503 il Della Rovere divenne dunque papa Giulio II, prefigurando con quel nome importante la sua politica tesa a rinverdire, come un novello Cesare, la ”grandeur” della Chiesa sotto il profilo temporale, con la riconquista di città e territori che poco a poco le erano stati sottratti.

Da qui la sua risolutezza nel servirsi della spada e delle bombarde per regolare in rapida successione i conti con le città ribelli di Perugia e Bologna e imbrigliare l’espansionismo di Ferrara e Venezia, a costo di prendere quasi a bastonate l’ambasciatore della prima, il poeta Ludovico Ariosto, e ricoprire d’insulti e persino qualche moccolo quelli della seconda.

Fine esteta, amante del bello e formidabile scopritore di talenti artistici, chiamò alla sua corte giganti quali Raffaello, Bramante, il Sansovino e tanti altri. Fu proprio Papa Giulio a porre la prima pietra della nuova Basilica vaticana e a commissionare al giovane Michelangelo i meravigliosi affreschi che ornano la volta della Cappella Sistina.

Nei confronti di quest’ultimo, scorbutico e lunatico come un divo, sfoderò un’inimmaginabile dose di autocontrollo tollerandone ritardi e capricci e facendo persino finta di nulla quando, dopo essersi arrampicato sulla impalcature della Sistina per dare una sbirciata in anteprima agli affreschi, schivò per un pelo una pesante trave che il suo pupillo, geloso del proprio lavoro, gli fece cadere addosso per allontanarlo.

Quando si spense nella notte fra il 20 e il 21 febbraio del 1513 papa Giulio, finalmente vittorioso, fu sinceramente compianto da una folla immensa che, come scrisse un cronista dell’epoca, “voleva toccare i piedi del morto, che era stato Papa e Vicario di Cristo, persecutore e domatore di tiranni, scampando per noi tutta l’Italia dal giogo dei Franzesi e dei barbari”.

GIULIO II, IL PAPA GUERRIERO


“Ritratto di Giulio II” di Raffaello, 1511, The National Gallery, Londra



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