Jenny (Luciana) Tamburi nasce a Roma nel 1953, muore prematuramente nel 2006. Una morte non inaspettata perché è malata da tempo, anche se non abbandona il lavoro come direttore di casting per film, spot e serie tv per Rai e Mediaset. Uno dei suoi ultimi incarichi è quello di scegliere gli attori della fiction “Incantesimo”. La sua vera passione degli ultimi quattro anni di vita è la scuola di recitazione aperta a Roma nel 2002.

Splendori e miserie di Madame Royale” (1970) è una ricca produzione italofrancese interpretata da Ugo Tognazzi, Maurice Ronet, Vittorio Caprioli, Maurizio Bonuglia, Felice Musazzi, Antonio Barlocco e Simonetta Stefanelli. Mattatore è Ugo Tognazzi, che interpreta Alessio, un corniciaio omosessuale che al sabato sera organizza feste sontuose, si traveste da Madame Royale e parla solo francese. Jenny Tamburi ricopre il ruolo della figliastra che si mette nei guai e obbliga il patrigno a scendere a patti con la polizia fino a diventare confidente del commissario (Ronet).

Il film è un fiasco colossale, il pubblico non è ancora preparato ad accettare un personaggio omosessuale così umano e straziante. Il regista è bravo perché non riproduce stereotipi e macchiette farsesche, ma cerca di mostrare un mondo notturno e una realtà gay sotterranea. Si tratta di un’opera in anticipo con i tempi che dovrebbe essere rivalutata. Nella seconda parte del film la componente noir prende il sopravvento sul racconto gay, ma è tutto funzionale alla descrizione di una solitudine umana che diventa sempre più insostenibile. Tognazzi impersonifica la solitudine del puro, del personaggio ingenuo e idealista destinato a fallire. Giuseppe Rotunno fotografa con realismo la Roma notturna mostrandola sporca, popolata da oscuri personaggi e abbandonata a se stessa. Vittorio Caprioli realizza un ottimo lavoro che Paolo Mereghetti reputa degno di tre stelle. Non ci sono difetti neppure nella sceneggiatura, curata dal regista insieme a Bernardino Zapponi ed Enrico Medioli. Musiche suggestive e ispirate di Fiorenzo Carpi. In questo film Jenny Tamburi ha un ruolo importante, da coprotagonista, e debutta sul set di un film interessante. Fa pure il doppiaggio e non è facile perché Caprioli pretende realismo, pianti veri, commozione…

Jenny Tamburi entra nel mondo del cinema quasi per caso, grazie a un agente che la presenta a Caprioli, ma non è ancora sicura se restarci o meno, perché la sua vera passione sarebbe fare la hostess, viaggiare, sentirsi priva di legami. “Sono una persona nata libera, una zingara, sagittario ascendente scorpione, infatti non mi sono mai sposata”, dice la Tamburi a Gomarasca e Pulici che la intervistano per il libro “99 donne“. In ogni caso, a forza di sentirsi dire che è portata per il mestiere di attrice, comincia a crederci e decide di studiare recitazione da privatista con Tony Maestri, il padre di Anna Maestri, una grande attrice di teatro. Jenny fa le cose con passione e impegno, ma ha il vantaggio di non prendersi troppo sul serio e questa caratteristica l’accompagnerà per tutta la vita. Non sente l’impatto con la macchina da presa, è sfacciata al punto da vivere senza emozione ciò che sta facendo e trovarsi accanto a Tognazzi non la fa vibrare più di tanto.

Fiorina la vacca” (1972) di Vittorio De Sisti è il suo secondo film, fatto a episodi. In quello che la vede protagonista, con lei c’è Janet Agren, Attilio Duse e Gianni Macchia. Il film, prodotto da Armando Novelli e Galliano Juso, è un classico del “decamerotico(film erotico ambientato nel medioevo, tipico dei primissimi anni settanta – NdR) abbastanza serio e formalmente ineccepibile, tratto dalle novelle del Ruzzante.

Il sorriso della jena (1972) di Silvio Amadio è un giallo morboso come amava girare il regista, che dipinge un ménage à trois piuttosto scorretto, con un riuscito colpo di scena finale. Jenny Tamburi viene ribattezzata Luciana Della Robbia e interpreta una teenager che lascia il collegio per tornare a casa, dove instaura un rapporto ambiguo con il patrigno (Silvano Tranquilli) e con l’amante (Rosalba Neri). La vicenda prende una piega imprevista. Tutti nascondono qualcosa: la coppia adulta ha un omicidio sulla coscienza, il marito è stato infedele, la moglie è lesbica… ma la più carogna è proprio la ragazzina. Il giovane Hiram Keller sembra un giovane irreprensibile, invece è in combutta con la Tamburi per organizzare una truffa.

Il lato migliore del film sta nella perversione di certe sequenze, nel sadismo e nella povertà della messa in scena. Jenny Tamburi è perfetta. Il film è scritto dal regista con Francesco Villa e Francesco Orazio Di Dio. L’attrice accetta senza ribattere il cambiamento di nome, non è un problema perché la notorietà è ancora di là da venire, quel che conta in fondo è lavorare ed essere pagata bene. In compenso si prende una bella cotta per Hiram Keller, che aveva recitato nel “Satyricon” (1969) di Federico Fellini, ma non conclude niente perché lui è gay. Jenny Tamburi diventa molto amica di Rosalba Neri che passa diverse serate a casa sua, persino le festività natalizie, ma anche Silvano Tranquilli ha un buon rapporto con la giovane attrice.


La seduzione
(1973) è un film importante sia per la filmografia di Fernando Di Leo (1932-2003) sia per la carriera di Jenny Tamburi. È tratto dal romanzo “Graziella” di Ercole Patti (edito da Bompiani), sceneggiato da Di Leo con la collaborazione di Luisa Montagnana, Marino Onorati e dello stesso Ercole Patti. La fotografia è di Franco Villa e il montaggio del collaudato Amedeo Giomini. Le scenografie sono di Francesco Cuppini e le belle musiche di impronta sicula dell’ottimo Luis Enriquez Bacalov. Ricordiamo la suggestiva “Mi votu e mi arivotu” cantata da Rosa Balistreri che accompagna i titoli di testa e le sequenze più drammatiche del film. Aiuto regista è Alberto Salvatori. Produce Daunia 70, rappresentata da Armando Novelli. Interpreti: Lisa Gastoni, Maurice Ronet, Jenny Tamburi, Pino Caruso, Graziella Galvani, Barbara Marzano, Rosario Bonaventura, Giorgia Dolfin e Antonio Guerra.

Il film è ambientato a Catania e per certe scene si è fatto ricorso agli Stabilimenti Palatino, anche se Di Leo preferisce interni realistici che conferiscono un tocco di genuinità maggiore. Si pensi alle parti girate nella bottega di un barbiere siciliano e tra i tavoli di un bar di piazza, vero ritratto di ambiente capace di conservare la memoria del passato. Nelle prime scene, Di Leo costruisce un bello spaccato di provincia siciliana grazie alla fotografia pulita e luminosa di Franco Villa e alle suggestive musiche di Bacalov.

Giuseppe Laganà (Ronet) torna a casa dopo quindici anni di lavoro a Parigi come giornalista, incontra l’amico spaccone Alfredo (Caruso) che gli organizza un incontro con Caterina (Gastoni), il suo primo amore. Caterina è rimasta vedova, ha una figlia adolescente di nome Graziella (Tamburi) e anche lei non ha mai dimenticato Giuseppe, dice di non aver mai provato con altri le sensazioni che provava con lui. Pino Caruso dà vita a un personaggio interessante e divertente, da latin lover di provincia, che stempera la tensione erotica della pellicola e i momenti drammatici. Alfredo vorrebbe far credere di essere circondato da donne che tratta con sufficienza e disprezzo, ma in realtà viene preso in giro da Luisa (Galvani) che se ne serve per tradire il marito e fa di lui quel che vuole. Di personaggi come Alfredo è piena la provincia e ogni bar che si rispetti possiede il suo bravo contaballe in fatto di avventure sessuali.

Jenny Tamburi si presenta sulla scena sfoggiando un vestitino celeste da collegiale e calzettoni neri, che fanno intuire doti da Lolita. L’attrice ha vent’anni, ma ne dimostra meno e può interpretare una ragazzina adolescente dal fascino inquieto e perverso. La madre si libera della figlia per poter conquistare il suo uomo e Di Leo ci concede la prima parte erotica di un certo rilievo, mostrando un rapporto intenso tra Ronet e la Gastoni. Il sesso è importante, ma anche la situazione melodrammatica con i ricordi d’amore non va sottovalutata e conferisce un aspetto poetico alla pellicola. “Nelle altre ho cercato solo te” dice Giuseppe, che pare proprio innamorato e contento di aver ritrovato un sogno del passato. Di Leo descrive un rapporto erotico romantico e tratteggia bene il carattere di Caterina, una donna che ritrova il grande amore e spera di poterlo godere fino in fondo.

A questo punto si inserisce nel ménage romantico la seduzione della ragazzina maliziosa nei confronti dell’uomo di mezza età, il quale cade in una rete fatta di ammiccamenti. La ragazzina si scopre donna, controlla lo sviluppo del seno, spia la madre quando fa l’amore con l’amante e alla fine passa all’azione. Prima si fa trovare da Giuseppe completamente nuda sul letto, poi mette in scena un tango sensuale con l’amica Rosina (Marzano) e le due ragazze si scambiano carezze e baci ironici. La provocazione più estrema avviene sul divano mentre la ragazzina legge un fotoromanzo. La scena è molto maliziosa, mostra Graziella che allunga le gambe fino a toccare il grembo di Giuseppe, lui tenta di fare l’indifferente ma poi cede, le carezza un ginocchio e la coscia. Un torbido erotismo si fa avanti, il regista mostra l’uomo che allunga le mani, massaggia il sesso della ragazzina e avanza fino alle gambe, prima di essere interrotto dall’arrivo di Caterina.

La seduzione continua quando la mamma esce per la messa e Graziella ne approfitta per infilarsi nel letto di Giuseppe ed eccitarlo. Un’altra parte erotica intensa vede la Tamburi passare lo straccio, mostrare le gambe, gli slip neri quando si china e infine mettersi accanto all’uomo sul divano per farsi baciare e carezzare il seno. La seduzione è giunta a compimento. Il regista insiste sulle gambe della ragazza, Giuseppe la spoglia e fa l’amore con lei, ma alla fine è roso dalla gelosia perché comprende che la sua Lolita ha avuto rapporti con altri ragazzi. “Sì, ma con te è stato diverso. Tutto è più bello”, dice Graziella. L’uomo maturo è in completa balia della ragazzina, comincia a seguirla per controllare se frequenta ragazzi della sua età.

Caterina continua a essere innamoratissima e non sospetta niente della tresca che si è sviluppata sotto il suo tetto. “Non ti merito, Caterina”, dice Giuseppe. Ed è proprio vero, ma lei non può saperlo. Un notte un rumore sveglia Caterina, che finisce per assistere inorridita alla terribile scena della figlia che fa l’amore con il suo uomo. Questa parte del film è molto ben fatta e risulta melodrammatica al punto giusto, soprattutto per la musica che sottolinea l’intensità del dolore di una madre. Lisa Gastoni è superlativa in una parte da donna disperata, tradita dal suo uomo e dalla figlia, che vede svanire il sogno di un amore e perde la fiducia nella sua bambina. Il dialogo tra madre e figlia è molto intenso: le due attrici sono brave a calarsi nei rispettivi ruoli. Lisa Gastoni esprime benissimo con il volto e con le parole un miscuglio di odio, schifo, vergogna, disperazione e delusione. Jenny Tamburi è un concentrato di malizia e di perfidia, che pensa soltanto al gioco perverso che ha messo in scena. Lisa Gastoni dà vita al personaggio di una donna amareggiata che non sa cosa fare e il regista si mette ancora una volta dalla parte della donna. “Voi uomini non capite mai niente! Ragionate soltanto con quello! Graziella no. Era la mia bambina. E adesso?”, grida. Graziella ha tradito la fiducia della madre. “Se ci fosse tuo padre…”, dice Caterina. “Se ci fosse mio padre non ci sarebbe Giuseppe!”, ribatte Graziella. Nella battuta si comprende il motivo profondo per cui la ragazzina si è invaghita di Giuseppe. Non perdona il nuovo amore della madre che tradisce la memoria del padre. Graziella pretende l’amore di Giuseppe, è convinta che lui la difenderà, non comprende il dolore della madre e vuole che tutto torni come prima. “Come quando non era successo niente”, dice Graziella. “Niente torna come prima. Le cose lasciano sempre il segno”, risponde la madre.

Vince la ragazzina e Giuseppe torna in casa, anche se non può essere come prima. Giuseppe non comprende l’esasperazione di Caterina e dice che con la ragazzina è stato soltanto un gioco, ma il suo amore è tutto per lei. Non è così. Giuseppe e Graziella si frequentano ancora e l’uomo sprofonda in una crisi totale, perché ama la madre, ma cerca pure il rapporto con la figlia. Caterina si rovina i nervi in un insostenibile ménage a tre e con la figlia è guerra continua per il possesso dell’uomo. Si logora in una duplice sofferenza da madre ansiosa e amante tradita e alla fine decide di pensare soltanto alla figlia. “Non essere cattivo con Graziella”, implora Giuseppe. E si mette fuori gioco. Il finale è davvero imprevedibile. Rosina, l’amica di Graziella, provoca Giuseppe esibendo un florido seno da ragazzina e finisce a letto con lui. L’uomo si dimostra ancora una volta debole e privo di personalità, si lascia sedurre e mette in piedi una nuova storia ancora più pericolosa. Graziella viene a sapere tutto e va a sfogarsi dalla madre. Per Caterina il dolore diventa insostenibile. Si cambia, si trucca, esce in strada e va da Giuseppe, ma non per riprenderselo e fare l’amore con lui come ci si attenderebbe. Giuseppe è stato cattivo con Graziella e per questo Caterina lo giustizia sul portone di casa sparandogli contro tre colpi di pistola. Un finale melodrammatico, per niente consolatorio, sconvolgente e che rifugge da situazioni stereotipate.

La seduzione” riporta in auge una grande attrice come Lisa Gastoni, che dopo il successo di “Grazie zia” di Salvatore Samperi (1968) era caduta un po’ in ombra. Per la ventenne Jenny Tamburi rappresenta l’ingresso nel cinema importante, anche se in un primo tempo la produzione aveva pensato di affidare la parte a Ornella Muti. A Di Leo piace molto la Muti, dotata di un fisico e un volto giovanile che poteva rappresentare bene la seduzione e il fascino della Lolita. Lisa Gastoni non è d’accordo, perché teme che la bellezza di Ornella Muti possa offuscare la sua presenza sullo schermo e alla fine la produzione cede. Di Leo ha sempre affermato nelle interviste rilasciate alla stampa specializzata che non ha mai rimpianto questa scelta e che la Tamburi non l’ha deluso. Ornella Muti sarebbe stata una presenza troppo ingombrante, mentre alla storia serviva una bellezza più tranquilla e meno prorompente che la Tamburi rappresenta bene. Lo scontro madre-figlia ne esce valorizzato e la seduzione messa in atto dalla minorenne maliziosa è maggiore. Il personaggio di Graziella rappresenta la gioventù, la spensieratezza, l’erotismo acerbo, l’inquietudine adolescenziale, la scoperta dei sensi, la malizia e la perversione. Non è poco per una quasi debuttante come Jenny Tamburi che se la cava molto bene e ne esce da trionfatrice. Il suo personaggio deve far venire alla luce il lato negativo maschile, capace di ragionare solo con il basso ventre. Un piccolo ruolo erotico è ricoperto dalla debuttante Barbara Marzano, l’amica di Graziella che balla un tango sensuale in odore di lesbismo e, alla fine, seduce Giuseppe mettendo in mostra un seno invidiabile. Barbara Marzano non è un’attrice professionista, in quel periodo fa la commessa in una boutique di Roma.

Jenny Tamburi dice del regista: “Fernando rappresenta uno di quei casi inspiegabili di registi geniali e di successo, che non si capisce per quale ragione a un certo punto si sono fermati. Oltretutto, lui era non solo un regista molto valido ma un intellettuale nel senso più completo del termine e anche un bravissimo scrittore. Io non posso che avere un ottimo ricordo di lui e del film, nel quale sono entrata all’ultimo momento per sostituire Ornella Muti. Con la Gastoni i rapporti erano tesi, anche perché lo schiaffo che mi diede sul set era vero. Il problema credo fosse che Lisa è sempre stata una donna molto bella e non accettava di invecchiare. Mi sono trovata invece molto bene con Maurice Ronet, m’ero pure presa una cottarella per lui. ‘La seduzione’ è stato il mio primo lavoro importante e incassò un sacco di soldi. E se poi la mia carriera è stata quello che è stata, lo devo certamente a Fernando e a questo film” (da Nocturno Cinema – Dossier Di Leo).

Fernando di Leo ricorda Jenny Tamburi e Lisa Gastoni nel bel volume “99 donne” di Manlio Gomarasca e Davide Pulici: “Jenny fece un numero considerevole di film dopo il mio. Ricordo che le consigliai di darsi una calmata, cosa che non fece per motivi economici e così la sua stagione fu breve. La Gastoni era nevrotizzata dal non lavoro e quando la contattai la liberai dagli incubi. Ma era una nevrotica e affrontò il film da nevrotica. Solo il successo la liberò – successo di cui ero sicurissimo dato l’argomento socialpopolare del film. Diventammo amici, mi confidò le sue nevrosi. Era una donna veramente sexy”.

Paolo Mereghetti nel suo “Dizionario” afferma che, dopo Brancati, non ci può essere molto di nuovo da dire sulla psicopatologia del maschio siculo, ma salva il regista perché la messa in scena della seduzione è elegante e mai corriva (anche se l’esibizione di epidermidi, ai tempi, richiamava gli spettatori a frotte), l’analisi dei personaggi abbastanza crudele, e l’inevitabile finale tragico ritardato con intelligenza. Marco Giusti su “Stracult” definisce il film più un melodramma siculo che un vero sottoprodotto di “Malizia” e insiste con ragione sull’ottima interpretazione di Jenny Tamburi, vera rivelazione. “La seduzione” ebbe problemi in commissione censura, ma alla fine ottenne il visto (dopo qualche taglio) e riscosse un incredibile ma meritato successo di pubblico.

“Le scomunicate di San Valentino” (1974) di Sergio Grieco è un tonaca movie drammatico interpretato da Jenny Tamburi insieme a Paolo Malco, Françoise Prévost, Franco Ressel, Corrado Gaipa, Gino Rocchetti e Piero Anchisi. La Tamburi è Lucita Fuentes, novizia nel convento di San Valentino in Andalusia, segretamente innamorata dell’eretico Esteban Albornos (Malco). Lucita subisce un processo inquisitorio, voluto dalla crudele badessa (Prévost), quando viene trovata morta la sua compagna di stanza. Tutto perché la badessa è innamorata di Albornos e vuole liberarsi della rivale; la sua crudeltà giunge al punto di far murare viva Lucita. Il lieto fine è assicurato con il bell’amante che libera la novizia dalla prigione. Una sorta di Giulietta e Romeo cinematografico, che vede la ragazza punita con il convento perché non deve sposare un coetaneo, come vorrebbe, in quanto è stata promessa a un nobile. Le componenti del tonaca movie ci sono tutte: sadismo, lesbismo, masochismo, torture eccessive e spesso ridicole, violenza, amori proibiti. Non è un film memorabile. Jenny Tamburi ricorda nella citata intervista di essere caduta da cavallo durante una ripresa perché recitava con ingombranti abiti d’epoca e cavalcava senza sella. La paura è così tanta che la Tamburi si fa sostituire per le successive sequenze e non monterà più a cavallo in vita sua.

“Diario segreto da un carcere femminile” (1974) di Rino Di Silvestro è un women in prison, altro filone molto sfruttato in questo periodo. Jenny Tamburi lavora in ogni tipo di film: decamerotico, tonaca movie, commedia sexy, dramma erotico, commedia all’italiana… le sue caratteristiche di attrice versatile sono apprezzate da tutti i registi. Rino Di Silvestro (1932) è un ex sceneggiatore che esordisce alla regia proprio con “Diario segreto da un carcere femminile”, primo women in prison all’italiana che ha un certo successo anche all’estero. Precede di poco l’ottimo “Prigione di donne” (1972) di Brunello Rondi, pellicola di ben altro spessore drammatico. Il film viene prodotto dallo stesso regista che ricostruisce il carcere alla De Paolis e lo fa interpretare da una schiera di stupende attrici come Jenny Tamburi, Eva Czemerys, Anita Strindberg, Gabriela Giorgelli, Valeria Fabrizi e Paola Senatore. La pellicola è molto spinta e comprende le stesse situazioni di sempre che costituiscono il leitmotiv di un carcerario femminile. Amori lesbici, detenute carogne, ispezioni anali, torture, secondine sadiche sono il sale di una pellicola rieditata nel 1982 come “Diario erotico da un carcere femminile“. Di Silvestro scrive e sceneggia il film, nascondendo la componente voyeuristica con un accenno di trama poliziesca e un finto impegno civile. Vediamo in breve la trama.

 

Vera (Strindberg) si fa incarcerare per scoprire la verità su un carico di eroina scomparso, ma è Daniela (Tamburi) l’unica testimone e non può parlare perché minacciata dalla mafia. La pellicola è molto drammatica e il finale agghiacciante. Jenny Tamburi ricorda bene il film nella citata intervista rilasciata per il volume “99 donne“: “Era il primo film sul carcere femminile e mostrava la durezza e la realtà della galera. Avevo una parte molto drammatica. Ero innocente e venivo incolpata del reato, ma alla fine muoio. Olga Bisera era la secondina che mi voleva a tutti i costi e me ne combinava di tutti i colori. Anita Strindberg era molto bella, ma già all’epoca aveva le tette rifatte”. L’attrice conserva un buon ricordo di Rino Di Silvestro, un regista di mestiere che apprezza molto la scena madre del film quando lei muore, le dice che ha talento e si complimenta per come sa stare davanti alla macchina da presa.

Morbosità” (1974) di Luigi Russo è un modesto erotico-provinciale interpretato da Jenny Tamburi ed Eva Czemerys, ambientato a Modena. Jenny Tamburi è la sorellina ingenua della scatenata Eva Czemerys che si concede a chiunque possa essere utile, ma i maschi del posto pretendono che la Tamburi si comporti allo stesso modo. Luigi Russo è un prolifico regista-sceneggiatore che dirige quasi esclusivamente pellicole erotiche commerciali, in alcuni casi vicine al cinema porno, in altri più sul versante comico-erotico. Non è il più indicato per valorizzare al meglio le capacità espressive di Jenny Tamburi, che in questo periodo sbaglia per eccesso e accetta di interpretare troppi ruoli senza badare alla qualità.

La prova d’amore” di Tiziano Longo (1974) è un melodramma erotico conturbante che manda in crisi i censori e fa sognare i ragazzini. La pellicola è un melodramma che vede Ely Galleani accanto a Bruno Zanini, ma anche Jenny Tamburi conferisce un’ulteriore sensualità. La Galleani è una ragazzina illibata che si concede al compagno Bruno Zanin, ma dopo aver dato “la prova d’amore” si accorge che ha sprecato la verginità per un poco di buono. Il dramma di provincia si arricchisce di nuovi particolari, perché la mamma ha una storia con lo zio e le perversioni sono all’ordine del giorno. Finale drammatico poco credibile. Jenny Tamburi viene pagata molto per una partecipazione speciale, non è la protagonista, ma fa solo poche scene che vende a caro prezzo perché ormai è nota e il pubblico va al cinema solo per vederla.

Frankenstein all’italiana” (1975) di Armando Crispino presenta il curioso sottotitolo di “Prendimi, straziami, che brucio di passion!”, rientra nel sottogenere horror-comico che in Italia non ha mai avuto molto successo. La pellicola è scritta e sceneggiata da Massimo Franciosa e Luisa Montagnana, le musiche sono di Stelvio Cipriani, il montaggio di Angela Cipriani e la fotografia di Giuseppe Aquari. Interpreti: Aldo Maccione, Gianrico Tedeschi, Ninetto Davoli, Jenny Tamburi, Anna Mazzamauro, Lorenza Guerrieri, Aldo Valletti, Alvaro Vitali e Alessandra Vazzoler.

Crispino realizza un Frankenstein comico ispirandosi a Mel Brooks (Frankenstein Junior, 1974), ma punta tutte le sue carte sul lato erotico, trasformandolo in una commedia sexy in versione macabra. Aldo Maccione è la creatura di Gianrico Tedeschi (un barone Frankenstein folle al punto giusto) che si aggira per il castello e va a letto con tutte le femmine che trova. Il dottor Frankenstein fa venire nella sua residenza la fidanzata Janet (Tamburi) per sposarla, ma il mostro va in mille pezzi interrompendo la cerimonia. Frankenstein lo ricostruisce, ma la creatura evidenzia una forte componente erotica che lo spinge a insidiare Janet e persino la molto meno affascinante Maude (Mazzamauro), che vive nel castello insieme ad Alice (Guerrieri). Per mettere a freno la libido scatenata del mostro, il suo padrone lo rende impotente. Igor (Davoli) ne approfitta per sedurre la donna del barone.

Armando Crispino ha confidato a “Spaghetti Nightmares”: “Si è trattato di un compromesso che non dovevo accettare. È il solo film nato da un soggetto non mio e in più non ho preso parte alla sceneggiatura. Me lo propose il produttore Filiberto Bandini, con cui stavo realizzando alcuni spot pubblicitari. In ogni caso il film non era del tutto infame, almeno nella prima parte”. Per Paolo Mereghetti la pellicola non ha niente a che vedere con un prodotto alto come “Frankenstein Junior“, si tratta della solita farsa pecoreccia fatta in casa. Armando Crispino non è portato per il genere comico, ma resta il fatto che la caratteristica tipica della commedia italiana è proprio la componente erotica. Jenny Tamburi ricorda il film come un bagno di sangue, perché è un fiasco totale, mal distribuito e poco promosso.

Morte sospetta di una minorenne” (1975) è un film minore di Sergio Martino, interpretato da Claudio Cassinelli, Massimo Girotti, Gianfranco Barra, Pino Caruso, Patrizia Gastaldi, Lia Tanzi e Mel Ferrer. Il film è un noir scritto da Sergio Martino e da Ernesto Gastaldi, che costruiscono il personaggio del commissario scanzonato, fuori dalle regole e dalla legge, il quale risolve a suo modo ogni situazione. L’omicidio di una squillo porta il commissario sulle tracce di una banda che ricicla i soldi dei sequestri. La partecipazione di Jenny Tamburi è irrilevante.

Peccati in famiglia” (1975) di Bruno Gaburro è una commedia erotica che vede protagonista Simonetta Stefanelli insieme al futuro marito Michele Placido, un cugino apparentemente imbranato. Non solo. Ci sono alcune bollenti scene saffiche tra la Stefanelli e Jenny Tamburi che restano memorabili negli annali della commedia sexy italiana. Il film si avvale della bella fotografia di Aristide Massaccesi, uno specialista dell’erotismo, e della sceneggiatura di Carletto Romano e Lianella Carrell. Il cast si completa con Juliette Mayniel, Renzo Montagnani, Gastone Pescucci e Corrado Olmi. La pellicola è molto spinta, il protagonista maschile è un giovanissimo Michele Placido che arriva a Piacenza dalla Sicilia, si installa nella casa di campagna dello zio Montagnani e si scopa tutte le donne possibili e immaginabili. Alla fine convince pure lo zio a darsi da fare sessualmente, ma è solo un modo per farlo morire provocando un prevedibile attacco di cuore. Il nipote eredita tutte le proprietà dello zio, ma anche le belle donne di casa che già ha avuto modo di sperimentare.

Il film riscuote un grande successo di pubblico, incassa un miliardo e mezzo di lire, lanciando definitivamente Montagnani tra le stelle della commedia sexy. Jenny Tamburi ricorda liti disumane con Gaburro, ma ammette che la colpa è soltanto sua, perché dopo avere fatto tante parti e avere incassato un bel po’ di soldi è inevitabile che ti venga un po’ di stronzaggine. Jenny Tamburi interpreta il suo primo film con Michele Placido ed è un vero successo, campione d’incassi del periodo. “Michele Placido era molto simpatico, timido, buffo… nel film faceva mio cugino ed eravamo amanti”, ricorda la Tamburi. Le sequenze erotiche con protagonista la bella attrice e Michele Placido sono molte: le più esplicite si svolgono in altalena, sotto il tavolo da pranzo e terminano con lunghi rapporti in camera da letto.

Peccato senza malizia” (1975), noto anche come “Anatema“, è l’unico film in carriera di Theo Campanelli, figlio d’un costruttore edile che grazie al padre e ad altri personaggi inseriti nell’ambiente riesce a dirigere una pellicola, ma non è un’esperienza esaltante. Jenny Tamburi è la protagonista Stefania, nel cast troviamo anche Luigi Pistilli, Francesca Romana Coluzzi e Gabriele Tinti. Il film si ricorda soprattutto per la buona colonna sonora di Stelvio Cipriani. La stessa Jenny Tamburi rammenta soltanto che fa parte del cast Francesca Romana Coluzzi. In ogni caso è un film morboso, ideale per l’espressione intrigante da lolita di Jenny Tamburi, una ragazzina uscita dall’orfanotrofio e circuita dal patrigno, da una pittrice lesbica e da un giovane pittore. Ricordiamo alcune sequenze di strip della bella Tamburi in una camera da letto, poco arredata, che sembra una casa privata dove qualcuno ha improvvisato un set. Da notare anche un bagno in vasca con successiva doccia della bella attrice che si mostra completamente nuda, quindi si fa lavare e asciugare da una intraprendente Francesca Romana Coluzzi. Jenny Tamburi recita anche una sequenza erotica piuttosto audace insieme a Gabriele Tinti.

Donna… cosa si fa per te” (1975) di Giuliano Biagetti avrebbe dovuto intitolarsi “La ragazza dell’Autostrada del sole”, ma la produzione opta per un titolo più leggero. Jenny Tamburi, sempre nella citata intervista, dice di avere un bel ricordo del film, soprattutto perché lavora con Montagnani e da lui ha imparato tante cose, ritiene l’attore un compagno molto professionale che avrebbe meritato maggiore considerazione nel cinema italiano. Nel cast ci sono anche Enzo Liberti, Raf Luca, Maria Pia Conte, Giovanni Attanasio e Dino Emmanuelli.

Montagnani è un nobile toscano che si trova a passare sull’autostrada Firenze-Roma, e dà un passaggio a una prostituta chiamata Sole (Tamburi) proprio perché batte sull’autostrada. Lui non intuisce il mestiere della ragazza, finisce per innamorarsene ma non fa avances perché la ritiene un’anima candida. Anzi, le regala dei soldi per risolvere i suoi problemi. Sole se ne va lasciando in auto il denaro. Piace pure a Mereghetti che concede una stella e mezzo con un giudizio esaltante per una commedia sexy: “Quasi mai volgare, scritta tenendo conto della lezione de ‘Il sorpasso’, una commediola riuscita, pure se esile e insignificante”. Il film è divertente, addirittura poetico.

Dove volano i corvi d’argento” (1976) è il secondo e ultimo film di Piero Livi, come il primo incentrato sul banditismo sardo, ma nonostante le buone intenzioni non è memorabile. Nel cast ci sono Flavio Bucci, Corrado Pani, Renzo Montagnani, Jenny Tamburi, Giampiero Albertini, Mariangela Giordano e Paolo Malco. Un giovane pastore viene ucciso perché testimone involontario di un omicidio, ma quando il fratello torna in Sardegna per i funerali cominciano i problemi in una comunità legata a vecchi codici d’onore.

Giovannino” (1976) di Paolo Nuzzi è una commedia ambientata nella Sicilia anni trenta interpretata da Christian De De Sica, Carole André, Jenny Tamburi, Tina Aumont, Saro Urzì, Giuliana Calandra, Miguel Bosé, Delia Boccardo, Maria Mercader, Sara Rapisarda, Imma Piro e Piero Vida. Giovannino (un giovanissimo De Sica) è figlio di un notaio di Catania (Urzì), viene svezzato dalla serva (André), si dà da fare con le donne e alla fine si fa incastrare e sposa Vincenzina (Piro), una ragazza zoppa che lo lega alla famiglia.

La storia è di Ercole Patti, ottimo romanziere siculo che sa raccontare vitellonismo, gallismo, vita di provincia e tradizioni culturali della sua terra. Paolo Nuzzi sceneggia con Bruno Di Geronimo. Siamo dalle parti di “Don Giovanni in Sicilia” (1966) di Alberto Lattuada, ma con maggior libertà d’azione. Jenny Tamburi ricorda con piacere il rapporto lavorativo con Christian De Sica: “Ho fatto anche un episodio di una commedia televisiva, tratta da Feideau, con lui e Ombretta Colli, per la regia di Vito Molinari, facevo l’infermiera ed eravamo dal dentista…” (intervista citata da “99 donne”).

La moglie di mio padre” (1976) di Andrea Bianchi è un dramma erotico interpretato da Carrol Baker, Adolfo Celi, Cesare Barro, Jenny Tamburi, Gabriella Giorgelli, Dada Gallotti e Femi Benussi. Il film, che si ispira a “Malizia”, vede un maturo Adolfo Celi risposarsi con Carrol Baker ,che però piace anche al figlio. Vengono fuori problemi sessuali tra moglie e marito e allora Adolfo Celi se la fa con una ragazzina mentre la moglie si confida con una mignotta. Finale tragico.

Sangue di sbirro” (1976) è uno dei tanti film girati in pochi giorni da Alfonso Brescia, che per l’occasione si firma Al Bradley. Costruisce un poliziesco su misura per Jack Palance nei panni di un gangster e Luigi Montefiori, poliziotto vendicatore del padre ucciso da un boss. Invedibile. Jenny Tamburi non ricorda di aver preso parte al film.

 

Sette note in nero (1977) è uno dei migliori thriller di Lucio Fulci, un film anarchico che va ben oltre lo schema del giallo, una storia parapsicologica sospesa tra passato e futuro. Virginia Ducci, ricca e affascinate signora inglese dell’alta borghesia, architetto, con un marito nobile e pochi guai, possiede doti medianiche che scopre con l’aiuto di uno psicologo rimuovendo un trauma infantile. Da piccola Virginia si trovava in Italia quando ebbe la visione del suicidio della madre, gettatasi da un dirupo.

Adesso premonizioni e presagi la tormentano. La donna è convinta di aver visto, in stato di trance mentre era alla guida, lo scheletro di una donna murata viva in una nicchia ricavata in un muro della tenuta di campagna del marito. Durante un sopralluogo alla villa, la polizia trova un cadavere che, dopo l’autopsia, si rivela quello di una giovane donna scomparsa anni or sono, forse l’amante del marito di Virginia. La donna, sempre più tormentata dai presagi, inizia a indagare con l’aiuto dello psicologo per scagionare il marito.

Solo dopo aver salvato il consorte dalla galera, Virginia comprende di aver sbagliato tutto. Ha commesso l’errore di calcolare male i tempi della visione, che si fa sempre più nitida, e non ha pensato che in realtà è proprio lei la vittima. Saranno il suo psicologo e le sette note del carillon del suo orologio a salvarla dal finire murata viva da suo marito… per via di una ricca eredità e dei molti debiti dell’uomo.

Interessante la storia che ha portato al film. Dopo l’ottimo successo di “Una lucertola con la pelle di donna“, Fulci e il suo sceneggiatore Gianviti vengono messi sotto contratto da Luigi e Aurelio De Laurentiis per l’adattamento cinematografico del thriller “Terapia mortale” di Vieri Razzini. I produttori decidono di affiancare al regista e al fido Gianviti un uomo di fiducia: il talentuoso sceneggiatore Dardano Sacchetti, autore dei fortunati “Il gatto a nove code” di Dario Argento e di “Reazione a catena” di Mario Bava. Comincia un’epoca. Sacchetti e Fulci, entrambi a disagio e con velleità artistiche molto diverse, discutono sul set. Sacchetti dichiara che l’inadeguatezza di Gianviti nella codificazione per immagini dell’apparato narrativo di “Terapia mortale” è dovuta al fatto che il romanzo: “era una vera cazzata”. Accantonato il progetto dell’adattamento, Sacchetti, Fulci e Gianviti, ancora sotto contratto con i De Laurentiis, lavorano a una sceneggiatura originale. “Sette note in nero” nasce da una discussione tra Sacchetti e Fulci: il regista vuol dire che nessuno può sfuggire al proprio destino anche se lo conosce. Sacchetti scommette di poter costruire un meccanismo narrativo capace di eludere quella che Fulci reputa una verità inconfutabile. Il film è un perfetto meccanismo a orologeria: il suo script, per rimandi e costruzione, è paragonabile al carillon installato nell’orologio di Virginia che la salva dal terribile destino (un’idea di Sacchetti che Fulci trova geniale). Questa terza prova registica nel thriller dà a Fulci la possibilità di continuare un discorso personale, una variazione sul tema, che implica ancora una volta elementi come la psicologia, l’onirico e il subconscio. Fulci decide di ambientare il film in Italia, in Toscana. La pellicola si apre con una panoramica di piazzale Michelangelo a Firenze, ma è palpabile la sua anglofilia, sin dalla scelta degli attori: la raffinata Jennifer O’Neill nel ruolo della protagonista, Marc Porel (apprezzato prete diabolico di “Non si sevizia un Paperino“) in quello del marito traditore e il bravissimo ma compassato, “inglese” per stile, Gabriele Ferzetti. Le campagne del Chianti si trasformano in una piccola colonia inglese: il Chiantishire; abbiamo ancora a che fare con nobiluomini, eredità e set decorati in stile classico. Splendida e retrò l’automobile dallo sproporzionato volante, che il regista affida alla guida della O’Neil, tutto in perfetto stile Agata Christie, la grande vecchia del giallo inglese che Fulci ammira. Il film è imparentato, nel tema della tumulazione, al racconto Il gatto nero di Edgar Allan Poe. Virata decisiva verso il surreale e splatter, il film piace al critico Morando Morandini, pronto ad affermare che la pellicola è apprezzabile per la rinuncia agli effettacci più facili del grand-guignol e per una certa sagacia nella costruzione narrativa.

Jenny Tamburi è la segretaria di Marc Porel, recita in inglese in presa diretta proprio perché gli attori principali sono anglofoni. Il rapporto tra Fulci e la Tamburi è ottimo, anche se il regista ha fama di duro, ma secondo la bella attrice è molto simpatico, oltre a essere un ottimo professionista. Jenny Tamburi ricorda anche Marc Porel come un buon ragazzo, innamorato perso di Jennifer O’ Neal, così come lo era lei, ma il suo problema più grande era la droga.

Melodrammore – E vissero felici e contenti” (1978) è l’unico film diretto da Maurizio Costanzo, che lo scrive e lo sceneggia insieme a Enrico Lucherini, Claudio Masenza e Giorgio Basile. Interpreti: Enrico Montesano, Fran Fullenwider, Jenny Tamburi, Liana Trouché, Mino Bellei, Vincenzo Crocitti, Stefania Spugnini, Angelo Gangarossa, Claudio Villa, Nilla Pizzi, Amedeo Nazzari, Luciano Bonanni, Aristide Caporali, Gino Marturano e Plinio Fernando. La pellicola è un’idea da cinefili, perché si vorrebbe fare il verso ai film degli anni cinquanta di Raffaello Matarazzo. Il film è pieno di ironia e di trovate assurde, ma soprattutto il meccanismo narrativo è paradossale e incline al trash. Nella prima parte, Montesano si fa consigliare da Amedeo Nazzari (nei panni di se stesso) su come interpretare il suo ruolo rivedendo insieme “Appassionatamente” di Giacomo Gentilomo e altri melodrammi anni cinquanta. Nella seconda parte sempre Montesano, ma nei panni di un commerciante innamorato di una grassa contessa che si vede preferire un nobile spiantato, a sua volta infatuato di una ricca signora. Alla fine Montesano sposerà la contessa elefantiaca. Molte apparizioni rendono il film di culto, soprattutto Nilla Pizzi e Claudio Villa nella parte di loro stessi. Il modello è “Straziami ma di baci saziami” (1968) di Dino Risi ed è un omaggio-parodia al cinema del passato.

“Liquirizia” (1979) è considerato uno dei migliori film di Salvatore Samperi, ma al botteghino è un flop totale: nel contratto di Jenny Tamburi è prevista una percentuale sugli incassi, ma lei non vede una lira. Gli interpreti principali sono Christian De Sica, Stefano Ruzzante, Massimo Anzelotti, Jenny Tamburi, Barbara Bouchet, Tino Schirinzi, Ricky Gianco, Eros Pagni, Enzo Cannavale, Teo Teocoli, Gigi Ballista, Gianfranco Manfredi, Annalisa De Simone e Giancarlo Magalli. Siamo nel 1959. Il tema del film è una sfida teatrale tra liceo e ragioneria in occasione della festa di fine anno. I ragionieri mandano sul palco un complesso rock che manda in visibilio il pubblico, mentre i liceali mettono in scena un pezzo di teatro esistenzialista che non coinvolge nessuno. Samperi affronta il tema della vita in provincia e inneggia alla goliardia con un film travolgente e liberatorio, a tratti volgare, ma acuto nel cinismo con cui analizza la realtà. Liquirizia è un film anarchico, cattivo, sopra le righe, dissacrante. Non convince il pubblico, purtroppo.

“Bello di mamma” (1980) di Rino Di Silvestro è la sola commedia sexy diretta dal regista che cerca di ironizzare su gallismo meridionale e sindrome di Don Giovanni. Il cast è eccellente: Philippe Leroy, Carmen Scarpetta, Jenny Tamburi, Carole André, Tuccio Musumeci e una giovanissima Anna Kanakis. Il dramma della famiglia sicula è la presunta omosessualità di Mimì (Musumeci), per questo motivo i parenti si affannano per presentargli ragazze di ogni tipo. La commedia degli equivoci procede con ritmo, tra eredità contese e incontri erotici piccanti, ma il finale vede Mimì innamorarsi della bella psicologa Carole André e fugare ogni dubbio sulla sua virilità.


Pierino la peste alla riscossa
(1982) è un film atipico per Umberto Lenzi, come lo è per Dardano Sacchetti, autore di un soggetto comico realizzato raschiando il barile delle barzellette più triviali. La sceneggiatura è sempre di Sacchetti, che viene coadiuvato dal diligente Giorgio Mariuzzo, mentre le scenografie sono di Massimo Lentini. Questo collage di barzellette è montato in maniera rapida e decorosa da Gianfranco Amicucci, la fotografia porta la firma di Guglielmo Mancori. La musica divertente e ai limiti del trash è di Walter Rizzati, che s’inventa una mitica sigla di testa cantata da Giorgio Ariani e da Lella Fabrizi. La pellicola è prodotta da Fabrizio De Angelis per la Fulvia Film e la Flora Film e vede Lillo Vannini come direttore di produzione. Interpreti: Giorgio Ariani, Jenny Tamburi, Didi Perego, Lucia Cassini, Lella Fabrizi, Ugo Fangareggi, Giacomo Rizzo, Enzo Robutti, Renzo Montagnani, Mario Brega, Adriana Facchetti, Tiberio Murgia, Luigi Leoni, Enzo Andronio e Serena Grandi.

La pellicola è inquadrabile come un Pierino apocrifo per la mancanza di Alvaro Vitali, attore simbolo della serie ufficiale inaugurata nel 1981 da “Pierino contro tutti” di Marino Girolami. Tra tutti i Pierini apocrifi non c’è dubbio che “Pierino la peste alla riscossa” sia il migliore, quello girato con maggiore professionalità e con attori degni di questo nome. La trovata più esilarante del film è la canzone che accompagna la sigla di testa, che vede una sorta di fumetto con protagonista Ariani-Pierino. Walter Rizzati è davvero bravo a comporre una marcetta trash con Giorgio Ariani che canta: “Pierino la peste che genio che testa / le studio le invento le fo / se vedo un reattore che va fuori di pista / Pierino, io forse lo so. / Son proprio un tesoro / è pieno di pepe quel vino che beve papà / ho messo il carburo nell’acqua del water / la nonna così scoppierà…”. E la nonna (la sora Lella) risponde: “Ahi, ahi, ahi!/ Pierino tutto questo non si fa / prendi pe’ fondelli questa nostra società/  Ahi, ahi, ahi! / Pierino non lo devi dire più / che chi fa casino al mondo non sei solo tu…”. Il motivetto di Pierino la peste ci accompagna per tutto il film e fa da colonna sonora nei momenti di maggiore comicità.

La pellicola si sviluppa con una serie di barzellette collegate tra loro dal filo conduttore delle avventure scolastiche di Pierino. Ci sono alcuni momenti comici di buon livello, come i siparietti nella farmacia gestita dal babbo di Pierino e le divertenti incursioni di Renzo Montagnani nei panni di un pazzo scatenato. La cosa incomprensibile è la toscanità di un Pierino come Giorgio Ariani, che vive a Roma, ha due genitori romani (Mario Brega e Didi Perego) e una nonna romanissima come l’ottima Lella Fabrizi. Il film è così assurdo e ai limiti del trash che questi particolari non sono importanti, anche perché lo spettatore attende solo il momento comico e la battutaccia per ridere a quattro ganasce.

Cito qualche perla raccolta nel florilegio di barzellette saccheggiate da Dardano Sacchetti. Pierino alla nonna: “Ma se non scopi, non fumi, non bevi, che festeggi a fa?”. Pierino con una candela da chiesa in mano che consegna a un ragazzo in moto: “Accenditelo al culo così diventi super jet”. Un vigile lo ferma e dice: “Bollo!”. Pierino: “Beato lei. Io sto a morì dal freddo”. Barista (la spalla per antonomasia Enzo Andronico): “Voglio vedere lo scontrino!”. Pierino prende due modellini di auto e li picchia insieme. Pierino sugli omosessuali: “Un ricchione è un dirottatore di uccelli”, e poi rivolto al bidello che si chiama Orazio: “I Curiazi sono quelli che cacano e non sono mai sazi”. E ancora: “Ti ho fatto venire un cappuccino”, e alle sue parole segue l’ingresso a scuola di un frate.

Sono divertenti i momenti scolastici dove Giacomo Rizzo è il professore soprannominato cammello che i ragazzi prendono di mira con scherzi atroci. Pierino recita “San Martino” del Carducci grazie a un registratore, incolla la sedia del professore, cambia la cassetta per far recitare a un amico una serie di offese e via di questo passo. La bruttissima direttrice è interpretata dalla spiritosa Adriana Facchetti che ogni tanto irrompe nell’aula dove Pierino imperversa. Pierino: “Professore, secondo me lei ha 36 anni”. Rizzo: “Bravo Pierino. Come fai a saperlo?”. Pierino: “Ho un cugino che ha 18 anni ed è mezzo stronzo”.

Un’affascinante Jenny Tamburi è la professoressa Bonazzi, che i ragazzini spiano al bagno grazie a un periscopio artigianale. Lenzi inserisce una breve parentesi di commedia sexy con la Tamburi che si fa ammirare seminuda con mutande di pizzo e giarrettiere. Jenny Tamburi non sfigura nel confronto con la Michela Miti della serie originale, anche perché è un’attrice capace di ricoprire ogni ruolo. Il film prosegue tra battute e battutacce, spesso inserite nella trama per allungare il brodo, come quando Pierino incontra tre cinesi e assistiamo a una serie di dialoghi idioti a base di Cionfurgoncin, Urinasumuri e Cacapocochifapocomoto. In farmacia ricordiamo i numeri di Enzo Robutti, un cliente cavallo che nitrisce e ha le scarpe ferrate. Lucia Cassini è la cameriera di casa, fidanzata con un carabiniere stupido che dà il via a una serie di barzellette sull’Arma. Serena Grandi riveste un ruolo modesto come cameriera nel bar di Enzo Andronico, ma non mostra niente. Giorgio Ariani è abbastanza divertente come tipo di comicità gretta e genuina, anche se rende di più nel cabaret che in una pellicola dove soffre nella distanza. Le trovate comiche sono spesso ridicole e risapute. Il test della lumaca per scoprire se uno ha le corna, la vernice fresca e la maglia di lana, le barzellette sugli animali allo zoo e via dicendo.

Da citare una serie di doppi sensi piuttosto triviali legati all’equivoco tra uccello e tema. Tamburi: “Ho visto quello di tutti ma non il tuo”. “Quello di Carletti era un po’ moscio…”. Quando la Tamburi afferma che vuole vederlo assolutamente, Pierino ha già i pantaloni calati, ma in quel momento comprende che si tratta solo del compito di italiano. Allo zoo si ricalca la battuta di Nando Cicero e il doppio senso tra fica e foca quando una signora cade ed esclama: “Che cozzo!”. Ma siccome cade a gambe larghe e fa vedere le mutande, Pierino risponde: “Che foca!”. Arriva il fidanzato e lui subito indica la foca dello zoo per salvarsi dalla reazione dell’uomo. Allo zoo assistiamo agli amoreggiamenti tra Rizzo e la Tamburi che non trovano mai il modo di stare da soli e Pierino li interrompe a colpi di cacca in faccia al professore. A questo punto entra in scena Renzo Montagnani, che alza il tasso comico del film con una parte da ispettore scolastico che si complimenta con Pierino anche se dice una serie di idiozie. Quando arrivano gli infermieri in classe si scopre che è solo un pazzo che ogni tanto scappa dal manicomio.

La pellicola presenta anche una parte sexy comica con la Tamburi e Rizzo che amoreggiano nel bagno dei professori. Non si vede molto, ma la Tamburi è brava e sensuale quando sgambetta tra le braccia dell’amante e mostra le gambe velate da calze trasparenti e slip bianchi. Pierino toglie la luce, trova il modo di far finire la brutta direttrice tra le braccia di Rizzo e poi fa entrare di nuovo la Tamburi. La scena sexy diventa farsa con il povero Rizzo preso a ceffoni dalle due donne. Un altro cammeo di Montagnani lo vediamo al ristorante, dove interpreta il presidente dell’ordine dei farmacisti e promette al padre di Pierino altre farmacie da gestire. Montagnani balla con la cameriera, recita la poesia “meglio puzzar di merda che di povero”, prende in giro tutti e alla fine arrivano gli infermieri e lo portano via insieme al babbo di Pierino che viene preso per pazzo. L’ultimo cammeo di Montagnani è nei panni del Ministro della Pubblica Istruzione che tra lo stupore generale premia Pierino come bambino dell’anno. Pierino riconosce il pazzo e dice: “Vorrei che tu fossi il mio babbo”. Invitato a fare un discorso, emette una pernacchia e conclude la storia come una perfetta pochade.

Mereghetti è molto caustico sul film: “Serie di barzellette su Pierino, interpretato da un imbarazzante Ariani. Squallido tentativo di agganciarsi al successo dei già mediocri film di Girolami con Vitali”. Farinotti afferma: “Non c’è storia, soltanto una raffica di gag: il film è un sottoprodotto del filone pierinesco lanciato da Vitali, qui assente, mai rimpianta star della risata a sfondo gastrointestinalsessuale”. Non condivido il rigore critico con cui si affrontano film come questi, che pure hanno caratterizzato un periodo storico non solo del cinema ma anche del costume italiano. Se cerchiamo la storia in un barzelletta movie vuol dire che non abbiamo compreso la funzione catartica e liberatoria di certe pellicole. I film della serie pierinesca, originali o apocrifi che fossero, vivono soprattutto per la loro volgarità, anarchia e inosservanza degli schemi cinematografici. Sono pellicole politicamente scorrette, irriverenti e assurde, ma rappresentano bene un sano e sboccato divertimento che il pubblico in quel preciso momento storico chiede al cinema. “Pierino la peste alla riscossa” è il migliore tra i pierini apocrifi, soprattutto perché gode di un cast di attori eccellente e anche il protagonista Ariani ha una sua buffa originalità. Mario Brega, Didi Perego, Lella Fabrizi, Jenny Tamburi, Giacomo Rizzo ed Enzo Robutti contribuiscono a elevare la qualità del film. Nessuno si aspetti di vedere un capolavoro, ma all’interno del barzelletta movie questo film di Lenzi (girato per motivi alimentari) ha una sua dignità.

Tango della gelosia” (1981) è una commedia di Steno interpretata da Monica Vitti, Diego Abatantuono, Philippe Leroy, Jenny Tamburi, Tito Leduc e Roberta Lerici. Monica Vitti inventa avventure sentimentali per ingelosire il marito Leroy e finge che la guardia del corpo Abatantuono sia il suo amante. Una classica pochade appena un poco aggiornata all’attualità, ma alla base ci sono soltanto equivoci e scambi di coppie. Stefano Vanzina sceneggia insieme al figlio Enrico, basandosi sulla commedia “Appuntamento d’amore” di Aldo De Benedetti. Tra i più modesti film di Steno.

Lo studente” (1981) di Ninì Grassia è il classico film-sceneggiata interpretato da Nino D’Angelo visto soltanto a Napoli e dintorni. Jenny Tamburi completa il cast insieme a Maria Fiore, Liliana Tari, I Fatebenefratelli, Mark Boldin, Chris Avram e I Sergenti a Sonagli. Jenny Tamburi è alle ultime apparizioni cinematografiche, ma questa pellicola non la ricorda con piacere.

Voglia di guardare
(1985) di Joe D’Amato (nome d’arte di Aristide Massaccesi) è un modesto dramma erotico. Scritto da Elena Dreani, sceneggiato da Aristide Massaccesi, Donatella Donati e Italo Focacci, fotografato e montato sempre da Massaccesi. Le musiche sono di Guido Anelli e Stefano Mainetti. La produzione è fatta in casa da Massaccesi e Donatella Donati per la neonata casa di produzione Filmirage, che in seguito farà cose ottime per l’horror italiano. Distribuzione Dmv. Interpreti: Jenny Tamburi, Lilli Carati, Laura Gemser, Marino Masè, Sebastiano Somma e Aldina Martano.

La storia vede un poco convincente Marino Masè nei panni del marito voyeur e una Jenny Tamburi che recita svogliatamente il suo ultimo film erotico. Assistiamo a una serie di avventure libidinose, ben interpretate dalla sola Lilli Carati che di lì a poco passerà al cinema hard. Tutto il resto è da dimenticare. Gli attori sono la cosa peggiore del film. Marino Masè recita così impostato la parte del marito medico che gode nel vedere la moglie far l’amore con gli altri da essere surreale. Jenny Tamburi è la moglie del voyeur e presenta un fisico che forse vorrebbe imitare la Stefania Sandrelli de “La chiave”, tanto è ingrassata e poco sexy (ma la Sandrelli aveva ben altra forza sensuale). Sebastiano Somma è il finto paziente che se la fa con Jenny Tamburi per denaro, ma poi finisce con l’innamorarsene e anche lui, a parte la bellezza da attore di fotoromanzi, ci mette davvero poco impegno. Da salvare Lilli Carati, bella e sensuale come sempre, che interpreta la ragazza di Somma, tenutaria di una casa di appuntamenti. Laura Gemser fa una piccola parte da amante lesbica di Jenny Tamburi, si nota che gli anni sono passati, ma il fisico è sempre quello di “Emanuelle”. Anche la storia non è il massimo: ricorda molto “La Chiave”, solo che qui la depravazione del marito non sta nell’eccitarsi pensando di essere tradito, ma nel vedere la moglie all’opera nascosto da uno specchio.

Il film si trascina stancamente sino alla fine, ripetendo gli stessi concetti e identiche situazioni. Alla fine la moglie viene a sapere tutta la storia dalla donna del suo amante, si convince che suo marito le vuole davvero bene (perché poi?) e si innamora ancor più di lui. Jenny Tamburi scarica Sebastiano Somma e il gioco continua con un nuovo arrivato. Un film voyeurista che Laura Gemser teorizza in una frase: “Il voyeurismo è insito in ognuno di noi”. E per chiarire meglio il concetto si lascia andare a un rapporto lesbico con un’amica e chiede a Jenny Tamburi di osservarla. La pellicola presenta una coppia di ricchi depravati e così facendo cerca di mettere i vizi borghesi alla berlina. Ma è l’atmosfera che manca, la musica è soporifera, l’ambientazione in periodo fascista è carente (pochi mezzi), le scene erotiche poco credibili e mal recitate. Jenny Tamburi ricorda così Aristide Massaccesi: “Con Aristide avevamo un rapporto bellissimo… come se fosse mio padre. Quando facevamo quel film mi diceva sempre di essere più eccitante, più maliziosa. Io ci pensavo un po’, poi lo facevo con molta serenità. Aristide era una persona meravigliosa, gentilissimo, poi era del sagittario come me e quindi legavamo molto. Nel film c’erano molte scene di nudo e anche alcune imbarazzanti sequenze con Lilli Carati. Ma eravamo allenate…”. (da “99 donne” di Davide Pulici e Manlio Gomarasca, Media Word, 1999).

“Voglia di guardare” è l’ultima pellicola cinematografica interpretata dalla bella attrice romana. Jenny Tamburi si ritira dalle scene dopo aver partecipato, nel 1991, a due lavori televisivi come “Tutti in palestra” e “Professione vacanze” per la regia di Vittorio De Sisti. Abbandonare la carriera di attrice non è facile. Jenny tiene duro, rifiuta copioni, parti, spot pubblicitari, ma alla fine trova la sua nuova strada: si occupa di casting e apre una scuola di recitazione.

Jenny Tamburi si ritira dalle scene ma non rinnega niente del suo passato, neppure i numerosi ruoli erotici e le scene di nudo. “Se ho deciso di fare una cosa, perché me ne dovrei vergognare? Del resto non avevo ad aspettarmi Bertolucci, Zeffirelli o Antonioni. Ho cercato di fare il meglio tra le cose che erano alla mia portata, anche se era difficile passare da lavori più interessanti come la commedia ‘Aggiungi un posto a tavola’ ad altri più scadenti. Avrei voluto diventare come Monica Vitti o Giovanna Ralli. Non ci sono riuscita, ma qualcosa ho fatto lo stesso. Non puoi passare la vita ad attendere o a rimpiangere. Se no finisce che vivi di sogni inutili…”. Quanto eri saggia, Jenny! Ti hanno fatto il funerale nella Chiesa degli Artisti e nessuno più di te meritava quel posto.

 

FILMOGRAFIA DI JENNY TAMBURI

Splendori e miserie di Madame Royale di Vittorio Caprioli (1970)
Fiorina la vacca di Vittorio De Sisti (1972)
Il sorriso della jena di Silvio Amadio (1974)
La seduzione di Fernando di Leo (1973)
Le scomunicate di San Valentino di Sergio Grieco (1974)
Diario segreto da un carcere femminile di Rino Di Silvestro (1974)
Morbosità di Luigi Russo (1974)
La prova d’amore di Tiziano Longo (1974)
Frankenstein all’italiana di Armando Crispino (1975)
Morte sospetta di una minorenne di Sergio Martino (1975)
Peccati in famiglia di Bruno Gaburro (1975)
Peccato senza malizia di Theo Campanelli (1975)
Donna… cosa si fa per te di Giuliano Biagetti (1975)
Dove volano i corvi d’argento di Pero Livi (1976)
Giovannino di Paolo Nuzzi (1976)
La moglie di mio padre di Andrea Bianchi (1976)
Sangue di sbirro di Alfonso Brescia (1976)
Sette note in nero di Lucio Fulci (1977)
Melodrammore – E vissero felici e contenti di Maurizio Costanzo (1978)
Liquirizia di Salvatore Samperi (1979)
Bello di mamma di Rino Di Silvestro (1980)
Pierino la peste alla riscossa di Umberto Lenzi (1980)
Tango della gelosia di Steno (1981)
Lo studente di Nini Grassia (1981)
Voglia di guardare di Joe D’Amato (1985)
Tutti in palestra di Vittorio De Sisti (Tv, 1991)
Professione vacanze di Vittorio De Sisti (Tv, 1991)

 

L’ultimo libro di Gordiano Lupi: “Storia della commedia sexy all’italiana, volume 1 – Da Sergio Martino a Nello Rossati”, Sensoinverso Edizioni 2017

 

 

3 pensiero su “I GIORNI EROTICI DI JENNY TAMBURI”

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