Giochi Stellari (The Last Starfighter, 1984) è un film difficile da mettere a fuoco. Si tratta di una storia, come dire, di confine. Nel senso che con le unghie dei piedi si aggrappa a quella sottile linea che separa l’assurdo dal ridicolo. Paga pegno a Tron della Disney. E molte sequenze spaziali sono così pericolosamente simili a quelle di Guerre Stellari che se a George Lucas fosse girata storta avrebbe potuto persino fargli causa.

Tuttavia, queste cose hanno un’importanza che va da zero a chi se ne frega. Perché Giochi Stellari è un film che va molto oltre la sua data di scadenza: “Congratulazioni Starfighter! Sei stato reclutato dalla Lega Stellare per difendere la frontiera contro Xur e l’armata di Ko-dan!”.

GIOCHI STELLARI CHE RENDONO FIGHI I TERRESTRI

Tutto parte da questa frase, che oggi, detta così pare una scemenza, certo. Ma non per il protagonista, Alex Rogan (Lance Guest), dato che, a differenza degli Explorers o del Navigator, non vive nella sua bella villetta di periferia medio-borghese.

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Se MikeyChunk, Mouth, Data e tutto il resto della banda erano solo dei “poveri Goonies”, che partivano all’avventura per far fronte a uno sfratto, Alex sta messo molto peggio. Perché come Bruce Campbell di My Name is Bruce, vive in un campo per roulotte.

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Costretto lì, insieme alla madre vedova e al fratellino minore, Alex spera in un futuro migliore. Molto probabilmente non arriverà mai. È povero e non può permettersi quell’ascensore sociale chiamato college.

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Tra le mille faccende di cui deve occuparsi, di buono ha la fidanzata Maggie (Catherine Mary Stewart). Maggie, del resto, non sembra tanto interessata a venir via da quel campo di baracche su ruote. E i suoi Giochi Stellari. Unica valvola di sfogo, evasione se così vogliamo dire, dalla triste, grigia e patetica realtà che lo circonda.

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A ogni modo, la fortuna di Alex è quella di vivere nel 1984. Non quello di Orwell, bensì l’epoca d’oro dei cabinati arcade. Un periodo in cui i videogame sono sinonimo di tecnologia e dove, per estensione, tecnologia per tantissimi era sinonimo di “magia”.

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L’essere bravi in un videogame era qualcosa, un attributo in grado di darti un certo prestigio sociale. Insomma, se spaccavi in sala giochi eri un gran figo.

Ed è così che Alex viene acclamato. Una sera in cui era particolarmente scazzato, per essersi visto rifiutare il prestito che avrebbe potuto aprirgli le porte del college, distrugge il record a Starfighter. In quel momento lui è l’eroe della bidonville in cui vive. Portato in alto come campione da vicini, fidanzata e amici.

I videogiochi, idealizzati in maniera piuttosto fantasiosa, sembravano venire da un altro mondo. Ecco, diciamo che a tal proposito Giochi Stellari diede uno spunto piuttosto interessante. Suggerì che addirittura venissero dallo spazio.

“Congratulazioni Starfighter! Sei stato reclutato dalla Lega Stellare per difendere la frontiera contro Xur e l’armata di Ko-dan!”, non è una frase buttata lì da uno sviluppatore svogliato. Subito dopo che Alex ha battuto il record gli si presenta di fronte Centauri (Robert Preston).

Spiega ad Alex la verità. Quella verità che milioni di ragazzini sognavano, sognano (e molto probabilmente sogneranno), da oltre trent’anni a questa parte: Starfighter non è un gioco. È lo strumento di reclutamento della Lega Stellare, alla ricerca di piloti-combattenti per far fronte alla minaccia delle armate Ko-dan.

Perciò, più o meno inconsapevolmente, Alex si trova a vestire i panni dell’eroe. Per davvero. Non più nel retrobottega del bar. Scopre che il gioco è stato progettato come test per trovare quelli “con il dono”, in grado di pilotare la nave spaziale Gunstar, e salvare così la Frontiera dall’invasione di Xur il traditore.

Non è che ci sia molto altro da dire, dato che la trama in generale non è molto articolata. Perciò credo sia giunto il momento di passare a “La Domanda”: com’è Giochi Stellari?

Molto sinceramente, non è facile rispondere. Perché al pari di uno Stand by Me, colpisce duro, forse più forte e con precisione chirurgica dritto nella nostalgia.
Mi chiedo se il regista Nick Castle e lo sceneggiatore Jonathan Betuel, avessero mai immaginato ciò che The Last Starfighter sarebbe diventato. Perché, come nel caso de Il piccolo grande mago dei videogames, certi film trascendono il loro significato originale. Diventando una sorta di manifesto di un’epoca passata.

Tuttavia quel film avrebbe potuto anche chiamarsi Il piccolo grande mago delle marchette. In fondo, altro non era che un gigantesco, lunghissimo spot pubblicitario di Nintendo.
Invece Giochi Stellari è diverso. Molto diverso.

Oggi viviamo in un’epoca in cui la stragrande maggioranza degli effetti speciali nei film vengono realizzati in cgi. Dove l’espressione “pare un videogioco”, viene usata perlopiù in spregio. Tuttavia, nel caso di Giochi Stellari potrebbe addirittura assumere l’aspetto di un complimento. Soprattutto se si tiene in considerazione il fatto che la forma dovrebbe rafforzare e completare il contenuto di un film.

Giochi Stellari è stato, dopo Tron, il primo film a fare a meno di modellini e miniature. Lo spazio, i pianeti, le navi stellari, la Frontiera… in pratica tutto è realizzato al computer. Mi pare inutile sottolineare l’ovvio, dicendo che oggi tutta questa roba pare, tanto per usare un simpatico eufemismo, primitiva. Perché il punto è un altro.

Magari all’epoca lo scopo principale di questo teatrino computerizzato era solo lasciare stupiti gli spettatori. Fargli dire: “Oh, guarda là che figata! Pare vero!”. Probabilmente, sì. Quindi, in linea di massima nulla di diverso da quanto avviene oggi, giusto? Invece, secondo me, no.

C’è una cosa che differenzia Giochi Stellari da un qualsiasi Avengers 14 di oggi. Ovvero il fatto che volutamente o meno questi effetti interagiscono significativamente con l’essenza del film.

Quando Alex si trova a combattere sul serio, se ne esce con “È proprio come nel gioco!”. Questa cosa diventa letterale e quasi metanarrativa. Perché Alex sta vivendo il gioco nella sua realtà. Mentre noi spettatori vediamo una specie di testa di ponte tra la sua e la nostra realtà.
In pratica viene a crearsi una connessione. Dove tutto è impostato per sembrare un videogioco. Letteralmente e metaforicamente. In modo tale da spingere il pubblico a pensare, sognare, sperare che un intrattenimento di uso comune come i videogame d’un tratto possa rivelarsi qualcosa di più.

Sotto questo punto di vista ciò che rende fantastico Giochi Stellari non è tanto il fatto che all’epoca fosse un film all’avanguardia. O il fantasioso modo in cui si immaginava un’ipotetica civiltà spaziale. Oppure ancora il credere che l’intrattenimento del futuro sarebbero stati i videogiochi e gli effetti in Cgi. Quest’ultima tra l’altro, cosa piuttosto vera. Tranne per il fatto che all’epoca del film, i videogame erano una moda. E come tale destinata presto o tardi a tramontare. Piuttosto, ciò che colpisce maggiormente di Giochi Stellari è la storia dietro la storia.

O meglio, ciò che intrinsecamente rappresenta. Si dice che ognuno di noi sia il protagonista della propria storia, giusto?
Ebbene, il film non fa altro che alimentare questo: il sogno di ogni ragazzino. Ovvero, il non essere più uno dei tanti, una goccia nel mare. Ritrovarsi eroe e partire a razzo, a bordo di una nave spaziale. Destinazione: avventura.

 

Ok, detto questo credo che sia tutto.

Stay tuned, e soprattutto Stay Retro.

 

 

Giochi Stellari

 

Titolo originale: The Last Starfighter

Regia: Nick Castle

Prodotto da: Gary Adelson
Edward O. Denault

Sceneggiatura: Jonathan R. Betuel

Starring: Lance Guest
Dan O’Herlihy
Catherine Mary Stewart
Robert Preston

Casa di produzione: Lorimar Productions

Distribuzione: Universal Pictures

Data di uscita: 13 Luglio 1984

 

 

 

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