1.
La cassiera del piccolo supermarket sbadiglia. La mattinata è stata frenetica. Come tutti i venerdì dei mesi estivi, c’è stato un vero e proprio assalto. La gente cerca di fare acquisti prima del sabato in modo da poter trascorrere al mare l’intero week end. Nel tardo pomeriggio, alla chiusura degli uffici, ci sarà il secondo assalto, ancora più frenetico. E il sabato arriveranno quelli che, per mancanza di soldi o di salute, al mare non ci vanno. Intanto, però, è giunta l’ora di pranzo e il locale è quasi vuoto. Forse nei negozi e nei supermercati in centro anche la mattinata è stata tranquilla. Pisa è una città universitaria e d’estate la maggior parte degli studenti l’abbandona. Il problema non riguarda il piccolo supermercato che sorge sulla via che conduce all’aeroporto. In quella zona di studenti ce ne sono pochi. La cassiera sta sbadigliando di nuovo quando entrano i tre uomini.

2.
Indossano camicie con le maniche lunghe rimboccate e pantaloni di cotone a coulisse, berretti da baseball e occhiali da sole. Tutti e tre hanno folte barbe nere e borse da ginnastica a tracolla. Dalle borse escono improvvisamente le armi: due pistole automatiche e un fucile a pompa.
– Mani in alto! Restate dove siete! – grida il più basso degli uomini. – Questa è una rapina!
Il terzetto si muove con rapidità ed efficienza.
Il più robusto dei tre si infila tra i reparti del supermarket radunando, tra grida di sorpresa e spavento, commessi e clienti che spinge come un gregge verso un angolo del locale.
Il più alto chiude la doppia porta a vetri d’ingresso e ci attacca rapidamente un foglio che ha tirato fuori dalla sua borsa, dove ha riposto momentaneamente l’arma. Sul cartello campeggia la scritta: “Il giorno 20/7/1979 il negozio resterà chiuso dalle ore 13.00 alle ore 14.00 per Assemblea Sindacale”.
Quello che sembra il capo appoggia l’estremità della canna della pistola sotto il naso di una delle cassiere.
– Chi ha le chiavi delle porte? – chiede in tono di gelida minaccia.
La ragazza indica l’ufficio in angolo e balbetta il nome di Angelo.
L’uomo le consegna la borsa da ginnastica e le ordina di metterci dentro tutto quello che c’è nelle casse. Il lungo già corre verso l’ufficio. Ne stanno uscendo due addetti richiamati dalle grida e dalla confusione. Il primo si ritrova con la canna del fucile puntata sul petto.
– Sei tu Angelo?
L’uomo fa un cenno d’assenso con la testa, gli occhi sbarrati fissi sull’arma.
– Prendi tutte le chiavi e vieni con me! – E, rivolto al secondo: – Tu vai là insieme agli altri.
Recuperata la borsa coi soldi, il capo sta guidando le due cassiere verso il gruppetto, una ventina di persone, tenuto sotto controllo dal robusto.
– A loro penso io. Fila a controllare il magazzino… e dài un’occhiata anche nei bagni!
Nel giro di cinque minuti tutte le porte del supermarket sono chiuse a chiave e il rapinatore andato a ispezionare gli altri locali torna con due addetti prelevati dal magazzino e una donna non molto alta, grassoccia, in jeans e maglietta. Ha i capelli di un arancione spento e le labbra pesantemente dipinte con un rossetto color mattone. Trema come un budino, mentre snocciola una specie di litania: – Nonmifatedelmalenonmifatedelmalenonmifatedelmale…
– Stava uscendo dal bagno – spiega il robusto indicandola col pollice.
Il capobanda la spinge bruscamente verso gli altri radunati nell’angolo: – Chiudi il becco e nessuno ti farà niente!
Il suo sguardo scorre lentamente sui dipendenti del negozio.
– Chi ha le chiavi della cassaforte?
Due degli addetti lanciano istintivamente un’occhiata verso un tipo mingherlino con gli occhiali e un paio di baffetti sottilissimi. L’uomo se ne accorge e si acciglia.
– Alzati! – ordina il capo accompagnando le parole con un gesto della mano armata.
La voce dell’ometto è poco più di un sussurro: – La cassaforte ha un meccanismo a tempo e non…
– Risparmiati le storielle. Non faccio mai una rapina senza avere tutte le informazioni necessarie. Per aprirla bastano le chiavi e un codice alfanumerico che conoscete tu e il proprietario. E non sperare nell’aiuto degli uomini del trasporto di valuta. Saremo fuori di qui prima del loro arrivo… alle 13.40, vero? – L’ultima parola è accompagnata da un gelido sogghigno.
L’ometto, vinto, si avvia verso l’ufficio.
Gli incassi mattutini sono stati davvero buoni. Nella cassaforte ci sono decine di mazzette di banconote di tutti i tagli. Mentre l’ometto le fa piovere nelle tre borse sportive, il rapinatore fa un calcolo approssimativo: devono essere almeno otto o nove milioni. Un sorriso soddisfatto si disegna sulle labbra del capobanda. Per sparire di colpo quando da fuori giunge il suono delle sirene.
Il lungo entra nell’ufficio quasi di corsa, gli occhi sgranati dietro le lenti scure: – I carabinieri! Hanno circondato il supermarket!

3.
Al capitano D’Onofrio la situazione non piace per niente.
Quando è arrivato con le auto a sirene spiegate, si aspettava di trovare il supermercato svaligiato e i rapinatori già in fuga. È sempre stato così. I criminali entrano in banca, in gioielleria o in un negozio, arraffano quello che possono e se la filano. L’Arma arriva a cose fatte. Quando va bene, giunge in tempo per inseguirli. E gli eventuali conflitti a fuoco si svolgono fuori dai locali, spesso in strade di periferia, lontano da civili innocenti.
E invece eccolo qui con un numero imprecisato di delinquenti chiusi in un locale insieme a chissà quanti ostaggi. Credeva che queste cose succedessero solo nei film americani. Evidentemente stavolta li hanno avvisati a rapina ancora in corso, e ora lui deve trovare il modo di sbrogliare quella intricata matassa. Possibilmente senza spargimento di sangue.
Se almeno ci fosse il maresciallo Tinti! Lui è bravissimo a intortare la gente coi suoi discorsi! Sarebbe capace di convincere i rapinatori che per loro l’unica soluzione è uscire dal supermercato con le mani alzate. E di corsa. D’Onofrio invece è un bravo ufficiale, ma con le parole proprio non ci sa fare. Di solito preferisce farsi capire con uno sguardo. E se deve parlare, non usa mai più di cinque o sei parole per frase.
– Mi dia il megafono – dice al brigadiere Furlan.
– Signorsì! – scatta sull’attenti il graduato. E resta lì.
– Beh? – lo incalza l’ufficiale.
– Non… non abbiamo un megafono.
Certo. Non sono mica in un film americano.
– Guardi se ne trova uno.
Con tanti giorni a disposizione, il maresciallo Tinti doveva prendere un permesso proprio oggi!

4.
Il capobanda spia i movimenti dei militari da dietro le veneziane abbassate. Merda! Merdamerdamerda! Chi cazzo li ha avvertiti, quei bastardi? Nei supermercati non ci sono pulsanti d’allarme collegati con le forze di polizia!
E ora?
La domanda, muta, la legge anche negli occhi dei suoi complici.
– Che vie d’uscita ci sono, in questo cazzo di negozio? – domanda, più a se stesso che agli altri.
– Solo l’entrata del supermercato e la porta del magazzino… e ci sono le auto dei carabinieri davanti a tutt’e due.
– Merdamerdamerda!
L’uomo si aggira nel locale come un lupo in gabbia.
– Usciamo con gli ostaggi come scudo – suggerisce il lungo indicando il gruppetto seduto nell’angolo. – Raggiungiamo l’auto e ce la filiamo.
– Ci seguirebbero con gli elicotteri – obietta il capo. – La vedo male comunque.
È in quel momento che la donna coi capelli arancioni comincia a gemere che deve tornare in bagno. Dice che ha un problema alla vescica, e di aver bisogno di fare continuamente la pipì.
– Vi pregovipregoviprego…
– Chiudi il becco! – urla il capobanda spianandogli contro l’automatica.
Avrebbe voglia di spararle in testa. La donna trema tutta, piagnucola, ma continua a ripetere la sua litania.
– Toglietemela di torno, cazzo! Ho bisogno di silenzio per pensare!
Il robusto la prende per un braccio. La solleva senza sforzo apparente e la spinge verso i servizi igienici. Appena superata la soglia la donna si ferma e si gira verso il rapinatore: – Non è vero che mi scappa – dice a bassa voce. – Volevo solo allontanarmi dagli altri per parlare con voi senza che mi sentissero. So come farvi uscire di qui in barba ai carabinieri.
L’altro la guarda come se stesse parlando cinese: – Ma che cavolo…?
– Hai capito. Posso tirarvi fuori di qui senza che i carabinieri se ne accorgano… ma voglio una parte dei soldi! Dillo al tuo capo.

5.
D’Onofrio apre lo sportello ed entra nella cabina. Vorrebbe prendersi a schiaffi da solo. Quei maledetti film americani stanno facendo il lavaggio del cervello a tutti! Come gli è saltato in testa di chiedere un megafono? Il povero Furlan è andato a cercarlo perfino nella panetteria di via Montanelli! Senza trovarlo, naturalmente. Quegli aggeggi lì, in Italia, li usano solo i sindacati e i gruppi extraparlamentari durante i loro cortei. Mentre lì, davanti ai suoi occhi, c’era quella comodissima cabina telefonica, per giunta fornita di un elenco perfettamente integro, scampato chissà come ai vandali che ogni giorno di più si divertono a distruggere tutto quello che è di pubblica utilità.
Sfoglia in fretta e trova subito il numero del supermercato.
Lo squillo del telefono fa sussultare sia i rapinatori impegnati a confabulare tra di loro, che gli ostaggi seduti a terra in un angolo, contro la parete. La donna coi capelli arancioni, tornata al suo posto, si tormenta nervosamente il lobo di un orecchio. Persa dietro ai suoi pensieri, è l’unica che non sobbalza.
– Vuoi che lo stacchi? – chiede il lungo.
– No… potrebbero essere i carabinieri. Vado io.
L’ufficio è poco più di un ripostiglio e non ha finestre. Ci sono un armadietto e uno schedario. Il telefono è sull’unica scrivania.
– Sì – dice laconico il capobanda portando la cornetta all’orecchio.
– Sono il capitano dei carabinieri D’Onofrio – scandisce la bella voce dell’ufficiale. Segue un lungo silenzio, che nessuno dei due interlocutori sembra intenzionato a interrompere. Alla fine è ancora il militare a parlare:
– Siete circondati.
– Di nuovo silenzio.
Poi, tutto d’un fiato: – Nonaveteviadiscampoviconvienearrendervi.
D’Onofrio avrebbe voglia di mangiarsi la cornetta, l’apparecchio e tutta la cabina. Che schifo di ultimatum! Se almeno sapesse dove rintracciare il maresciallo Tinti.
La voce del rapinatore è gelida: – Amico, ho qui una ventina di ostaggi. Se non vuoi essere responsabile di una carneficina, fammi avere un pulmino Volkswagen col pieno di benzina davanti al supermercato… tra mezz’ora – e riattacca.
D’Onofrio guarda un attimo la cornetta, poi riattacca anche lui. Sa di essersi fatto mettere nell’angolo. Cristo. Forse se ci fosse stato il maresciallo Tinti… ma anche lui cosa avrebbe potuto fare?
– Brigadiere, si procuri un pulmino Volkswagen. Lo voglio qui entro mezz’ora. Col pieno di carburante. E non vada a cercarlo in panetteria! – sbotta per sfogare la sua rabbia.
– Sissignore, signor capitano.
L’ufficiale capisce di aver esagerato e aggiunge in tono più gentile: – Credo ne abbiano uno alla caserma della Folgore. Lo usano per la spesa, mi pare. Chiami via radio il Comando. Senta se possono farcelo avere. – Lo congeda con uno sguardo e un cenno del capo.

6.
Il lungo strappa via il filo del telefono, poi i rapinatori fanno entrare gli ostaggi nell’angusto ufficio spingendoli in malo modo. La donna coi capelli arancione si è tenuta in fondo al gruppo, e quando tocca a lei il capobanda la blocca: – Tu no. Ci serve un ostaggio.
La porta viene chiusa a chiave dall’esterno. Per maggior sicurezza i tre ci spingono davanti un bancone di surgelati.
Con la storia del pulmino, il capo è riuscito a guadagnare tempo. Ora però bisogna tagliare la corda. E in fretta.
– Allora, qual è l’idea? – chiede alla donna dopo che si sono trasferiti nell’angolo opposto del negozio.
– Prima i soldi. – La voce le trema, ma negli occhi brilla una determinazione ferrea.
– Quanto?
Solo un attimo di esitazione prima di sparare la cifra: – Due milioni.
Il lungo e il robusto fissano il capo. Che guarda la donna.
– Mi servono per l’appartamento – continua lei. – O lo compro o mi buttano fuori… e ci vogliono due milioni d’anticipo.
Il capo continua a fissarla in silenzio. Dopo un interminabile minuto, apre uno dei borsoni e deposita quattro mazzette nelle mani della donna, che si affretta a contare i soldi e a infilarli nella sua borsetta.
– Il lucernario – dice poi.
Tutti gli sguardi corrono ai finestroni che danno luce al locale. Due, i più grandi, sono fissi, ma uno è chiuso con un chiavistello.
– Mio cugino fa il muratore – spiega la donna. – Stanno lavorando in un ufficio nel palazzo qui accanto, ma da qualche giorno hanno interrotto i lavori in attesa di non so quali materiali. Le finestre che danno sul tetto del supermercato sono chiuse solo da tavole di compensato…
– Vai a cercare una scala – ordina il capobanda al robusto. – E tu controlla che i caramba non si avvicinino a guardare cosa stiamo facendo.
Poi torna a fissare la donna. Non l’aveva valutata due lire, invece la cicciona ha cervello. È vero che la necessità aguzza l’ingegno…
– Tu vieni con noi, naturalmente – le dice. – Così, se ci hai raccontato delle balle ti pianto una pallottola nel cervello prima che tu abbia il tempo di pentirti… e anche in caso contrario, puoi sempre servirci da ostaggio se qualcosa va storto.
La donna accenna appena con la testa: – Sì, d’accordo. In questo modo non sospetteranno che sono stata vostra complice.

7.
La Folgore ha confermato. Il pulmino è in arrivo. D’Onofrio intanto si è organizzato per seguire i rapinatori quando si allontaneranno con gli ostaggi. Un elicottero dell’Arma è pronto a decollare, e ci saranno anche due auto senza contrassegni con agenti in borghese. L’ufficiale sa di aver fatto tutto quello che poteva, ma non è ugualmente tranquillo. Finché ci sono di mezzo gli ostaggi, la situazione può evolvere in tragedia in qualsiasi istante.
I rapinatori avanzano carponi sul cemento del tetto. Dalla strada è impossibile vederli. La donna si muove goffamente tra di loro. Arrivati alle due finestre che danno sul supermercato, il capo piazza l’orecchio su una delle sottili tavole di compensato che le chiudono. Dall’interno non provengono voci o rumori. Spinge un po’ e la tavola cede con un paio di piccoli schiocchi. L’uomo si infila nel varco aperto, prontamente seguito dai complici e dalla donna, che ansima scavalcando il davanzale. Nella stanza, cavalletti da lavoro, qualche attrezzo da manovale, macerie, scatole di mattonelle, un sacco di gesso da muro. Riaccostando il compensato, il capobanda sbircia oltre il tetto del negozio. Si vedono solo le teste di alcuni carabinieri, in strada. Nessuno sembra essersi accorto di niente.
– Muoviamoci.
Si avvia verso la porta. Passando accanto alla donna la gratifica di una specie di pacca sulla spalla.
– Se l’uscita di questo palazzo è davvero in via Marconi come hai detto, è fatta!
– Per allontanarci dovremo rubare un’auto – dice il lungo accodandosi al capo.
– Quello non è un problema – sogghigna il robusto.
Poi, fermandosi accanto alla donna: – Lei viene con noi?
– Certo. Fino a che non siamo al sicuro.
– Forza, allora.
All’invito la donna, che si era fermata a riprendere fiato, piegata in avanti, le mani appoggiate sulle ginocchia, afferra improvvisamente un secchio pieno di macerie e, con forza insospettata, lo fa roteare fino a sbatterlo in faccia al rapinatore. Mentre l’uomo crolla a terra tramortito, lei scatta con agilità felina verso il lungo che, per quanto sorpreso, sta già sollevando il fucile per puntarglielo contro. La donna gli è addosso prima che riesca a premere il grilletto. In una specie di kata guruma adeguato alla situazione, infila il braccio sinistro sotto il destro dell’avversario, costringendolo a sollevare l’arma, e gli afferra la manica. Con un movimento fluido e veloce, si china infilando l’altra mano in mezzo alle gambe del rapinatore, ne afferra i pantaloni dietro al ginocchio, lo solleva facendoselo ruotare sulle spalle e lo scaraventa al suolo strappandogli prontamente di mano l’arma. Il capobanda, fermatosi sulla soglia della stanza, impugna l’automatica e la scarica contro la donna che però si è gettata a terra e spara a sua volta. La rosa di pallettoni raggiunge il delinquente a una spalla, al fianco e a una coscia. L’uomo cade in ginocchio lasciando cadere l’arma ormai scarica.
La donna è svelta a portarsi accanto al robusto, a terra privo di sensi. Gli prende la pistola, ancora stretta nel pugno, e si gira verso gli altri due.
– Siete in arresto – dice con una voce che si è fatta improvvisamente più stentorea.

8.
– E ora che diavolo succede? – sbotta il capitano D’Onofrio sollevando la testa verso il palazzo da cui sono provenuti gli spari.
– Sembravano colpi d’arma da fuoco, signore – interviene Furlan.
L’ufficiale gli lancia uno sguardo che significa: “Non sono sordo”.
– Prenda quattro uomini e mi segua, brigadiere.
Con la pistola d’ordinanza in pugno, il capitano attraversa di corsa Piazza Giusti. Girato l’angolo del palazzo si blocca, sbalordito. Dal portone stanno uscendo due uomini con barba, berretto da baseball e occhiali. Ne sostengono un terzo, ferito. Dietro di loro una donna dai capelli arancioni li tiene sotto tiro con un’automatica. In spalla ha un fucile a pompa e tre borse da ginnastica. Il ferito si gira verso di lei e sibila rabbioso: – Ma tu chi cazzo sei?
La donna si strappa di testa la parrucca rivelando un cranio rasato quasi a zero.
– Ennio Tinti, maresciallo della Benemerita e attore teatrale di vernacolo a tempo perso. Faccio parte della Compagnia dei Tocchi, dove interpreto la parte della signora Piccioni. Sono anche cintura marrone di judo e campione provinciale di tiro con la carabina.
– Maresciallo!
Anche se non indossa la divisa, Tinti saluta militarmente il superiore: – Capitano, le consegno i rapinatori del supermercato. Uno ha bisogno dell’ambulanza.
– Lo vedo. Furlan, se ne occupi lei.
Il brigadiere e gli altri militari prendono in consegna il terzetto, le borse con i soldi e le armi.
– Da dove salta fuori, maresciallo?
– Beh, ecco… – prende dalla borsetta una salvietta struccante e comincia a togliersi il rossetto dalle labbra e il fard dalle guance – …è stata un’incredibile coincidenza. Ero entrato nel negozio per comprare un paio di bottiglie d’acqua prima di andare alle prove della commedia, quando sono entrati quei tre gridando che si trattava di una rapina. Per fortuna mi trovavo vicino ai servizi igienici, e mi sono infilato nel gabinetto delle donne. Prima, con il rossetto, ho scritto su un fazzoletto di avvertire i carabinieri che c’era una rapina in corso e l’ho appeso fuori dal finestrino…
– Questo spiega perché siamo stati informati così tempestivamente.
– …poi ho indossato gli abiti e la parrucca di scena che avevo con me, mi sono truccato e sono uscito dal bagno. – Il maresciallo si toglie il seno finto da sotto la maglietta. – Sapevo che, qualunque situazione si venisse a creare, in quel modo avrei potuto gestirla meglio. Davanti a una figura femminile, soprattutto un po’ ridicola come la mia, quei delinquenti sarebbero stati meno in guardia. Al vostro arrivo la faccenda è diventata pesante…
Il capitano gli lancia un’occhiata del genere “Non lo dica a me!”
– Dovevo trovare il modo di evitare un conflitto a fuoco che coinvolgesse clienti e addetti del supermercato… e l’unico sistema era far uscire da lì i rapinatori.
Tinti racconta la storia che ha rifilato ai criminali.
– Era tutto vero… a parte il fatto che il muratore non era mio parente, ma uno degli attori della compagnia teatrale. Comunque, una volta portati lontano dagli ostaggi i rapinatori, li ho potuti affrontare liberamente. E, grazie anche al fattore sorpresa offertomi dal mio travestimento, non è stato troppo difficile metterli fuori combattimento.
– Non sia modesto, maresciallo. Ha fatto un lavoro incredibile.
Tinti mostra la parrucca, la borsetta e il seno finto: – Beh, col suo permesso, capitano, ora dovrei recuperare la borsa che ho lasciato in bagno, rimetterci dentro questa roba e scappare alle prove della commedia. Sono un bel po’ in ritardo…
– Vada pure, Tinti. Farà rapporto quando rientra in servizio.
D’Onofrio resta a osservare l’uomo che, nonostante la figura sgraziata, si allontana con passo elastico. E sorride.
È una vera fortuna che il maresciallo avesse preso un permesso proprio quel giorno.

Questo racconto è World © di Marcello Toninelli. All rights reserved

2 pensiero su “MARESCIALLO TINTI – RAPINA AL SUPERMARKET”
    1. Grazie! Se ti va di leggere, di mio, qualcosa di più corposo, su Amazon e altre “librerie” online trovi tre miei romanzi (in versione eBook) dove le sorprese non mancano. 🙂

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