Da quel 1983 in cui uscì Christine – La macchina infernale fino al 1996 di Fuga da Los Angeles, in tredici anni, John Carpenter non ne ha azzeccata una. Sono stati tredici lunghi anni di fallimenti commerciali e logoranti battaglie con i grandi studios. Battaglie portate avanti per avere il controllo e la direzione artistica dei suoi progetti, che perdeva sistematicamente.

A un certo punto, ormai stanco, Carpenter spara il suo colpo più duro verso Hollywood, all’apparenza terra dei sogni, ma in sostanza gabbia dorata. A Hollywood si ragiona per numeri e la creatività è solo un accessorio da sfruttare alla bisogna. Nasce così Fuga da Los Angeles.

La fuga, virtuale e idealistica, di John Carpenter le cui veci sono affidate e reggono sulle spalle una figura in grado di sostenere tutte quelle battaglie che un uomo comune non potrebbe mai affrontare. Ovviamente, si tratta di Snake Plissken.

Direi quindi di buttare l’occhio su Fuga da Los Angeles e cercare di capire perché questo pseudo-remake è un film decisamente assai migliore del precedente.

FUGA DA LOS ANGELES PER JOHN CARPENTER

Non c’è bisogno di ricorrere alla scienza per accorgersi del punto di rottura raggiunto da John Carpenter.
Dal 1974, che ne segnò l’esordio con Dark Star al 1996 di Fuga da Los Angeles, in ventidue anni il regista aveva girato, fra cinema e televisione, circa diciassette pellicole. Da Fuga da Los Angeles al 2010, in cui uscì il suo ultimo film The Ward, soltanto tre. Arriviamo a cinque se contiamo pure i due episodi della serie Masters of Horror.

Questi sono i segni che indicano un regista stanco del proprio mestiere.  Il Gioco di Troni di Hollywood e la lotta per l’integrità artistica  raramente concessa ai suoi lavori , avevano profondamente logorato.
Infatti, Fuga da Los Angeles sembra indicare un cambiamento di paradigma nella carriera di Carpenter, non solo nella sua prospettiva e atteggiamento come regista, ma anche la sua conseguente pigrizia tecnica. Era riflessa nella scarsa ricezione delle sue opere dalla critica e dal pubblico.

Insomma, in parole economicamente svantaggiate, uno che le cose ormai le butta alla cazzomannaggia, così, tanto per farle. Ogni tanto gira qualche cosa svogliatamente, ma giusto perché è quello che ci si aspetta da uno che di mestiere fa il regista.

FUGA DA LOS ANGELES PER JOHN CARPENTER

La trama in brevis. Nel 1998 il tasso di criminalità a Los Angeles aveva raggiunto picchi vertiginosi. Due anni più tardi, il 23 agosto del 2000, un terribile terremoto colpisce Los Angeles. La San Fernando Valley viene inondata dal conseguente tsunami e la zona dell’area cittadina si trasforma in un’isola, che va da Malibu ad Anaheim.

Nel frattempo un integralista religioso si candida alle presidenziali degli Stati Uniti ottenendo larghi consensi con la la tesi che la disgrazia non sia altro che una punizione di Dio.
Il tipo viene eletto presidente etrasforma l’America nel paese della cuccagna, proprio: per legge niente tabacco, bevande alcoliche, droghe, carne rossa, armi da fuoco, empietà, ateismo, libertà di espressione/religione e, dulcis in fundo, niente sesso extra-coniugale. Una favola, insomma.

Chiunque infranga le leggi-comandamenti viene automaticamente spogliato della cittadinanza e deportato sull’isola-prigione di Los Angeles per esservi detenuto a vita. Però puoi sempre scegliere di pentirsi e farsi fulminare sulla sedia elettrica. Bell’affare, eh?

FUGA DA LOS ANGELES PER JOHN CARPENTER

Nel 2013, un detenuto sull’isola di Los Angeles, tale Cuervo Jones, seduce la figlia del presidente, Utopia, facendola aderire alla sua causa. Una volta fattole il lavaggio del cervello, la ragazza ruba il telecomando del padre per la Spada di Damocle, superarma che consiste in una serie di satelliti in grado di rendere inutili tutti i dispositivi elettronici sul pianeta.
Durante il viaggio a bordo dell’aereo presidenziale Air Force Three, Utopia si lancia con una capsula di salvataggio e atterra a Los Angeles per unirsi a Cuervo.

FUGA DA LOS ANGELES PER JOHN CARPENTER

A questo punto, con la Spada di Damocle in pugno, Cuervo annuncia che si prenderà l’America con l’aiuto della forza d’invasione di cui è a capo, composta da una coalizione di stati del Terzo mondo. Se il presidente proverà a fermarlo, staccherà la spina del paese mandando tutto in black out.
Ultimo, ma non meno importante, Cuervo è a conoscenza del codice segreto in grado di “spegnere” l’intero pianeta.

A questo punto entra in scena Snake Plissken, catturato per un’altra serie di reati, e pronto per essere “esiliato” bello e impacchettato a Los Angeles.
Al suo arrivo nel centro per la deportazione Snake incontra il Presidente che, conoscendone la fama, gli propone la missione di recuperare l’arma. Nel caso avesse successo gli garantirebbe un perdono completo e incondizionato.
Naturalmente, per assicurarsi che non si “distragga”, a Snake viene iniettato il Plutoxin 7, un virus artificiale che lo ucciderà nel giro di dieci ore.

FUGA DA LOS ANGELES PER JOHN CARPENTER

Questa è la trama del film, per niente lontana da 1997: Fuga da New York. C’è da dire che di un ipotetico sequel di Fuga da N.Y. se ne parlava da quando il film uscì nelle sale nel 1981, riscuotendo un largo successo. Difatti, John Carpenter ingaggiò un autore per buttare giù una bozza, completata nel 1985. Il risultato parve schifare lo stesso Carpenter che diede forfait, mandando il progetto in stallo.

Almeno fino alla prima metà degli anni novanta, quando Kurt Russell in via informale si mostrò molto interessato a rimettersi la benda di Snake sull’occhio.
Insieme a Debra Hill (scomparsa nel 2005 a causa del cancro), storica produttrice e sua ex nella vita vera, Carpenter comincia a scrivere la sceneggiatura, avvalendosi anche dell’aiuto di Kurt Russell.
In poco tempo la nostalgia emersa da questo gruppo storico di nuovo insieme, comportò una lenta ma graduale trasformazione.

FUGA DA LOS ANGELES PER JOHN CARPENTER

Infatti, quello che inizialmente era stato pensato come un sequel con solo alcuni rimandi al film all’originale, si trasformò in un vero e proprio remake.
Mi pare piuttosto chiaro che la struttura e la trama di Fuga da Los Angeles aderiscano strettamente a quella di Fuga da N.Y. Eccezion fatta per il nuovo “significato” di fondo della neo-isola di Los Angeles, diventata un’enorme discarica in cui la nuova morale dell’America getta i propri scarti indesiderati.

L’intera struttura segue Fuga da New York come un cerotto sulla pelle, in cui Snake, con la solita scimmia sulla schiena per la scadenza imposta, avvelenato da quel che dovrebbe essere il suo stesso governo, la sua patria, entra nell’isola-prigione.

Anche qui incontra amici e nemici che utilizza per i propri scopi. Tenta un salvataggio e poi fugge, per tornare alla società. Ma, attenzione: sostanziale differenza rispetto al film originale, stavolta “oltre il muro” non c’è proprio una beata mazza di niente.

Il mondo tratteggiato da John Carpenter contiene molti più dettagli e si dimostra molto più desolante, perché fuori da Los Angeles non c’è niente a cui fare ritorno. Difatti, seguendo questa nuova linea anche il moniker di Snake cambia significato.
Se nel primo film continuava a ripetere «Chiamami Snake!» (diventato Jena nel nostro doppiaggio), per sottolineare il rifiuto alla sua vecchia vita in cui era un soldato degli Stati Uniti, nel mondo di Fuga da Los Angeles, invece, ormai è talmente legato a quel nome conosciuto da tutti che ne è disgustato.


È disgustato come dell’immagine triste che il personaggio ha del mondo intero. Questo atteggiamento è piuttosto chiaro nel film, perché Snake corre senza sosta. Durante tutto Fuga da Los Angeles, Carpenter continua a sottolineare la condotta individualistica di Snake, rappresentando il personaggio come una specie di “pistolero solitario”, un outsider, che si muove in un mondo che non gli appartiene e di cui non fa parte.

Snake non è il solo personaggio ottimamente curato di Fuga da Los Angeles. I comprimari e le varie sequenze non sono certo da meno. Per esempio, nel saggio Order in the Universe: The Films of John Carpenter di Robert C. Cumbow, viene sottolineata la sequenza dei “mostri sotterranei”: una metafora dell’odio di Carpenter per l’industria e l’intero stile di vita californiano.
Per esempio rappresentando il “chirurgo impazzito” di Beverly Hills (Bruce Campbell) e la sua setta di tossicodipendenti della chirurgia plastica disposti a ogni nefandezza, pur di mantenere i proprio cadenti volti artificiali.

Anche le linee di dialogo di Eddie “la mappa dei vip”, il personaggio interpretato da Steve Buscemi, non è che vadano tanto per il sottile. Tipo quando la folla acclama Snake nella sfida al campo di basket: «La città ama i vincitori».
L’intera sequenza è un’altra bella metafora di come a Hollywood si pratichi il culto della celebrità: se sei un vincente tutti ti acclamano. Altrimenti hai solo sputi e pernacchie.

D’altra parte Fuga da Los Angeles non è privo di difetti. Effetti non tanto speciali, con tratti rovinosamente ridicoli e tremendamente a basso costo, sequenze d’azione talmente camp che pare facciano il verso al Batman di Adam West.
Non dimentichiamo, poi, la cagnara generata dall’essere il film un prodotto “ibrido”, a metà tra il sequel e il remake. Però, com’è vero tutto ciò, personalmente ritengo la Fuga da Los Angeles decisamente superiore a quella di New York.

Capiamoci, Escape from N.Y. mi piace e pure parecchio. Si tratta di uno dei miei film preferiti, ma in fin dei conti non è altro che un “semplice” film d’azione. Per carità, ha i suoi messaggi e di certo non mette in scena una storia fine a se stessa che autogiustifica l’azione. Però è piuttosto chiaro come quello sia un film girato da un uomo più giovane e molto più ben disposto verso il suo mestiere, con tutti gli annessi e connessi.

Fuga da Los Angeles, invece, è l’esatto opposto: il messaggio di un artista stanco, sfiduciato e nauseato da tutto ciò che lo circonda. E questo pensiero si riflette direttamente nel film e nei suoi personaggi, facendolo diventare molto più di un semplice prodotto d’intrattenimento.

 

Bene, detto questo credo che sia tutto.

Stay Tuned, ma soprattutto Stay Retro.

 

 

 

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