No Escape, da noi e in altri Paesi distribuito e conosciuto come Fuga da Absolom, è un film difficile da mettere a fuoco.
Fuga da Absolom è, in sé, un mischione di robe schiaffate assieme senza un vero e proprio senso. È difficile capire se il film funziona davvero oppure se è la miscellanea di suggestioni a tenerlo, in qualche modo, in piedi.

Facciamo un passo indietro, perché la storia dietro il film è quasi più interessante del film stesso. Allora, Victor A. Kaufman, ex presidente della Columbia Pictures e fondatore della TriStar, nel 1992 fondò la Savoy Pictures Entertainment. Era un piccolo studio cinematografico indipendente, il cui obiettivo era collocarsi nella fascia di produzione medio-bassa, al massimo tra i dodici e i venti milioni di dollari per film.
Fascia in cui già si davano battaglia Miramax e New Line Cinema.

 

Fuga da Absolom – Ray Liotta contro The World…

FUGA DA ABSOLOM E DALLA LOGICA, MA CI STA

Senza farla più lunga del necessario, nel 1993 uscì la prima produzione Savoy: Bronx (A Bronx Tale) di e con Robert De Niro. Il film andò bene e le cose stavano ingranando. Seguirono un paio di filmetti e poi nel 1994, uscì La signora ammazzatutti (Serial Mom). È una commedia nera molto carina di John Waters, con Kathleen Turner nel ruolo di una casalinga serial killer.

Ecco, questi due, e giusto un altro paio di film al massimo, sono stati gli unici successi della Savoy. Nel 1994 fece il passo più lungo della gamba schiantandosi a terra di faccia: volevano fare il blockbuster super-mega-wow. Così, ingaggiarono Sylvester Stallone mettendogli in mano venti milioni di dollari. Indovina per cosa? Niente. Un progetto in studio che, alla fine, non venne mai realizzato. Venti milioni andati via, così. Alé.

Essenzialmente fu questa cosa dei venti milioni dati in amicizia a Stallone che portò a Fuga da Absolom. Un ripiego nato da un progetto fallito. Nonostante tutto l’idea di piazzare un film di genere era ancora lì. A causa delle perdite, però, la Savoy si occupò solo della distribuzione di Fuga da Absolom. A metterci il dinero fu la Pacific Western Productions, società fondata dalla storica produttrice Gale Anne Hurd.

FUGA DA ABSOLOM E DALLA LOGICA, MA CI STA

Tra una cosa e l’altra riuscirono a ingaggiare Ray Liotta. Attore famoso e di sicuro più abbordabile rispetto a Stallone & company, che da soli si ciucciavano mezzo budget. Ray Liotta all’epoca era conosciuto principalmente per i ruoli da cattivo, tipo Henry Hill in Quei bravi ragazzi e il maniaco psicotico in Abuso di potere.

In realtà pure per lui Fuga da Absolom era una specie di ripiego. Accettò la parte per la possibilità di staccarsi dall’immagine del cattivo che lo avrebbe fatto finire come un caratterista. Magari sarà stata tutta questa storia di compromessi e accomodature il motivo per cui Fuga da Absolom pare una cosa, come dire… raffazzonata.

A ogni modo, il film è basato su The Penal Colony, un romanzo di Richard Herley pubblicato nel 1987. Se il film sia uguale al romanzo, oppure tragga solo vagamente ispirazione per il soggetto, vallo a sapere. Sarebbe interessante saperlo, però.

FUGA DA ABSOLOM E DALLA LOGICA, MA CI STA

Il film di Fuga da Absolom è uscito nel 1994 e ambientato nel 2022. In questo futuro (quasi giorni di un futuro passato, ormai) la società ha deciso che la scelta migliore è costruire gigantesche colonie carcerarie. Su carta lo scopo è sfruttare gli ergastolani come forza lavoro a costo zero. Benissimo.

In questo scenario, l’ex capitano dei marines J.T. Robbins (Ray Liotta) dopo aver ucciso un superiore viene condannato all’ergastolo e portato a Leviticus, un super-mega-carcere di super-mega-massima sicurezza. Tra parentesi, il Leviticus più che un carcere pare una vera e propria città. Le cui megalitiche torri svettano per centinaia di metri in mezzo al deserto che lo circonda.

Addirittura, Robbins viene trasportato con la monorotaia di aereo-super-fantascienza della prigione. Tutto molto bello, certo, ma non è questo il punto: il film si chiama Fuga da Absolom e non Fuga da Leviticus, no?
Viene fuori che Robbins è troppo tosto e il super-mega-carcere troppo morbido. Perciò, il direttore (Michael Lerner) decide di sbattere Robbins ad Absolom.

Ci sarebbe da chiedersi quale sia il rapporto costi-benefici di tutto questo. Quanti prigionieri, per esempio, dovrebbero essere trasportati ogni giorno solo per giustificare la monorotaia.
Devi pure sforzarti, veramente tanto, per credere che: A) per il suo comportamento, Robbins non venga ucciso subito; B) che Absolom sia una punizione più dura del super-fanta-carcere.

Absolom è una lussureggiante isola in mezzo all’Oceano Pacifico, dove i prigionieri vengono lasciati a loro stessi. Le razioni però arrivano puntualmente ogni mese. Comunque, qui si sono organizzati in due fazioni. Da un lato ci sono gli Esterni, feroci e cannibali guidati da Marek (Stuart Wilson). Dall’altro, gli Interni, guidati dal Padre (Lance Henriksen). Un gruppo civile e ordinato, organizzato tipo villaggio medievale.

Cerchiamo di capirci un attimo. Metti che, forse, il romanzo originale da cui è tratto Fuga da Absolom sia un tantino più approfondito. Magari, chiarisce e spiega meglio il perché di tante cose. Tipo, tutt’intorno all’isola ci sono le difese di fantascienza, i laserini che fanno pew! pew!, i satelliti in orbita che monitorano la situazione… Eh, per quale motivo?

FUGA DA ABSOLOM E DALLA LOGICA, MA CI STA

Pure qui viene da chiedersi quale sia effettivamente il lavoro per cui i prigionieri dovrebbero essere sfruttati. Cioè, nessuno fa una beata mazza. Viene fatto uno sforzo enorme per tenere questi poveracci sull’isola e pure per tenere segreto quello che fanno lì. Cioè, non fanno niente. Chi finanzia tutto questo e a che pro? Quali sono i rapporti costi-benefici per tenere in piedi tutta la baracca?

Fuga da Absolom è, fondamentalmente, un prison movie a cui hanno appiccicato ogni possibile idea fantascientifica vista nei precedenti trent’anni. C’è di tutto: Fuga da New York, 2013 – La Fortezza, Sotto massima sorveglianza, Moon 44 e via dicendo. Anche se, a guardarlo bene, presenta una fin troppo sospetta somiglianza con Terminal Island.

Questo è un film d’exploitation del 1973, in cui tutti gli assassini di primo grado vengono sbattuti su un’isola privata adibita a prigione. La protagonista si trova poi in mezzo a una guerra civile tra i prigionieri divisi in due fazioni. Un po’ troppo familiare, eh? Al di là di questo, forse nel romanzo originale ci sarà, non so, una riflessione di qualche tipo sui sistemi carcerari o qualcosa del genere.

Nel film, sparsi qua e là ci sono alcuni dialoghi che vanno in questa direzione; ma sono superficiali e per lo più senza un particolare significato né intrinseco, né utile per l’economia della situazione.
Fuga da Absolom ci prova di tanto in tanto, ma ogni tentativo d’approfondimento di qualunque tema viene sbattuto al cesso, e mai più ripreso, in 3.8 secondi netti. Per non parlare dei personaggi.

Robbins, il protagonista, anziché un eroe pare più uno che ha bisogno di un concreto aiuto psichiatrico. Entra in contatto con entrambe le fazioni, ma l’unica cosa che gli interessa è la Fuga da Absolom. Ok, chiaro che questo è il leitmotiv del film, ma diamogli un minimo di contesto. Una motivazione, che vada giusto un tantino più in là del “devo scappare da qui”.

In generale, questo è un problema che hanno in comune tutti i personaggi. Insomma, non è stato fatto proprio un gran lavoro di caratterizzazione. Sono per lo più stereotipi vagamente abbozzati che si limitano a qualche frasetta fra una battaglia e l’altra. A conti fatti, Fuga da Absolom è per il cervello l’equivalente di un blocco di cemento ai piedi di un nuotatore.

La trama è riassumibile su un post-it che non spiega mai niente. Ogni svolta narrativa non porta a nulla, se non a domande che il film non si prende la briga di rispondere. Perché Absolom doveva rimanere un segreto, perché alcuni prigionieri sono stati esiliati sull’isola? Addirittura, a un certo punto viene fuori che gli uomini di Marek attaccano gli Interni quattro-cinque volte l’anno. Sul serio?

Eppure, nonostante tutto, Fuga da Absolom è un film incredibilmente divertente. Vero che la sceneggiatura è confusa. Ogni questione viene abbandonata subito, ma viene abbandonata a favore di sparatorie, torture, guerriglia e battaglie con la balestra. Cose, appunto, divertenti. Il ritmo è veloce e quasi mai ammorba.

Guardando Fuga da Absolom è chiaro che tutti gli sforzi sono andati unilateralmente verso l’azione. Il livello tecnico è alto, si vede che è stato speso la maggior parte del budget (venti milioni, per dire) ed è veramente piacevole guardare set e costumi. Ovvio che le aspettative della Savoy fossero altre. Il flop del film al cinema è spiegabile per il fatto che tutto si limita a un collage di temi saccheggiati qua e là.

Non è proprio proprio il massimo, questo no. Però, almeno, anni dopo ci rimane un B-movie che, per la sua semplicità e immediatezza, è sempre divertente da guardare. Forse pure un tanto così sopra la media. Oh, alla fine meglio di niente, no?

 

Ebbene, detto questo credo sia tutto.

Stay Tuned, ma soprattutto Stay Retro.

 

 

Un pensiero su “FUGA DA ABSOLOM E DALLA LOGICA, MA CI STA”
  1. Beh, intanto Absolom appare solo nel titolo italiano, dato che il titolo originale e’ No Escape.

    Ora, dopo un colpo di Google-Fu ho scoperto che e’ scaricabile una versione probabilmente abbastanza legale del libro Penal Colony, e l’ho messo fra le cose da leggere… 😀

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