Frine

La storia dell’arte si basa anche su opere che pur non essendo dei grandi capolavori rubano l’attenzione dell’osservatore. È il caso del dipinto del francese Jean-Léon Gérome, che nel 1861 non mancò di suscitare un certo scandalo per la solare nudità della protagonista, negli ambienti artistici della Parigi dell’epoca (oggi è conservato nel Museo Hamburger Kunsthalle di Amburgo). La tela raffigura l’episodio famoso del processo a Frine, che ebbe luogo davanti all’areopago di Atene nella metà del IV secolo a.C.

Andiamo con ordine, partendo dalla domanda più scontata: chi era questa Frine? Era un’etéra, con tutta probabilità la più famosa della sua epoca. Le etére erano diverse dalle comuni prostitute e più che sesso elargivano, dietro compenso, il piacere della compagnia. Si trattava di donne istruite che, pur partendo spesso da una condizione di vita misera, riuscivano ad affermarsi e ad accrescere il loro patrimonio grazie alla spiccata personalità.

La giovane Mnesarete (“Colei che fa ricordare la virtù”), originaria di Tespie, in Beozia, giunse ad Atene intorno al 371 a.C. portandosi dietro un’infanzia di privazioni e un soprannome, Frine (“rospo”), che le era stato appioppato per il colore olivastro della sua carnagione. Mnesarete si rese conto di poter contare su di un’unica risorsa: la sua indiscutibile avvenenza.

Per le strade di Atene cominciarono a circolare voci sulla straordinaria bellezza di quella giovane donna, voci che lei alimentava evitando di mostrarsi senza veli anche ai bagni pubblici. Le cronache mondane dell’epoca raccontano che solo in occasione di celebrazioni religiose come l’Eleusinie e le Posidonie scendeva nuda in mare con i capelli sciolti. La sua carriera e la sua fama crescevano di pari passo alla sua ricchezza, che poteva gestire senza interferenze, essendo una donna libera.

La sua vita, però, stava per essere cambiata in maniera integrale dall’incontro con uno dei più grandi scultori di tutti i tempi: Prassitele. Mnesarete, che nel frattempo aveva definitivamente adottato come nome d’arte Frine, divenne l’amante dell’artista e anche la sua musa ispiratrice. Prassitele la usò come modella per la realizzazione della famosa Afrodite commissionata dalla città di Cnido. Prestandosi a fare da modella alla prima statua della dea dell’amore nuda, fatto considerato scandaloso ad Atene, acquisì grandissima popolarità e ulteriori ricchezze, fino al punto di potersi permettere di commissionare al suo mentore una statua in oro (o più probabilmente in bronzo dorato) che la raffigurava in tutta la sua straripante fisicità.

Attorno al 345 a.C. la fortuna sembrò voltare le spalle alla donna, che venne trascinata in giudizio dall’ateniese Eutia, un uomo che non godeva di grossa considerazione tra i contemporanei perché coinvolto in attività discutibili. L’accusa di Eutia era di empietà (asébeia): se provata, comportava la pena di morte. Frine era accusata di avere organizzato feste oscene nel Liceo ateniese, di aver favorito la promiscuità e di avere corrotto i giovani, ma il reato più grave che le veniva contestato era quello di essere una sorta di sacerdotessa del culto misterico di Isodatte.

Frine pagava il fatto di essere una donna di successo, che agiva in modo sfrontato ed esibizionista, almeno secondo i canoni degli Ateniesi più tradizionalisti. La difesa fu assunta da Iperide, uno dei migliori oratori del tempo (e, incidentalmente, amante della donna). Dato che la accorata arringa non riusciva a fare breccia nel cuore dei giudici, il difensore si avvicinò all’assistita e, strappandole le vesti, le denudò il seno. Invece Marco Fabio Quintiliano riporta una versione dei fatti in cui l’accusata si spogliò integralmente e di sua spontanea volontà. Abbagliati dalla folgorante bellezza dell’etéra, i giudici decisero di proscioglierla dalle accuse.

Da quel momento le tracce di Frine si perdono nelle nebbie della storia. Non sappiamo quale fu il suo destino. Molti, nel corso dei secoli, hanno ridotto questo episodio a puro aneddoto. Noi preferiamo pensarlo come a un raro caso in cui la bellezza ha prevalso sulla ferocia degli esseri umani.

 

Il processo di Frine secondo Vittorio De Sica e Gina Lollobrigida, in un episodio del film “Altri tempi” (1952) di Alessandro Blasetti nel quale venne coniato il neologismo maggiorata

 

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