Frankenstein Junior, il migliore film di Mel Brooks, è il primo a trattare la storia di Frankenstein con un tono diverso dal solito.

Il romanzo Frankenstein o il moderno Prometeo fu scritto da Mary Shelley e pubblicato nel 1818, più di duecento anni fa.
Da allora di adattamenti ce ne sono stati a pacchi: a partire dalla “edizione definitiva” del 1831.

Da quel Frankenstein del 1931 diretto da James Whale e La moglie di Frankenstein (1935), Il figlio di Frankenstein (1939) e Il terrore di Frankenstein (1942), che diedero vita al primo ciclo, fino al 1974 di Frankenstein Junior di Mel Brooks, di film tratti dal romanzo ne sono usciti a non finire.

FRANKENSTEIN JUNIOR, IRONIA DELICATA VERSO UN GENERE

Frankenstein Junior si apre con una bella panoramica di questo lugubre castello dipinto su fondale statico.

FRANKENSTEIN JUNIOR, IRONIA DELICATA VERSO UN GENERE

All’interno del castello qualcuno aspetta la mezzanotte accanto alla bara del Barone Von Frankenstein. Molto umilmente si è fatto incidere nome e titolo a caratteri cubitali sulla cassa.

FRANKENSTEIN JUNIOR, IRONIA DELICATA VERSO UN GENERE

All’ora esatta la bara viene aperta per recuperare quel cofanetto che il cadavere tiene ben stretto, in cui c’è il testamento. Dopo un po’ di tira e molla con la salma, finalmente l’affare gli viene tolto dalle manine scheletriche.

FRANKENSTEIN JUNIOR, IRONIA DELICATA VERSO UN GENERE

Nella New York dei primi anni trenta, in un’aula di Medicina il giovane dottor Frederick “Fronk-en-steen” (Gene Wilder), sta tenendo una lezione sulle funzioni del sistema nervoso centrale. Durante la lezione uno studente, che vuole parlare del famoso nonno del dottore, fa sclerare Frederick.

Essere il nipote di Victor Von Frankenstein, un uomo conosciuto per le sue bizzarrie e i grotteschi esperimenti sui cadaveri, è una costante umiliazione e fonte di vergogna per Frederick.

FRANKENSTEIN JUNIOR, IRONIA DELICATA VERSO UN GENERE

Terminata la lezione, si presenta a Frederick un certo Gerard Rosenthal (Richard Haydn), l’esecutore testamentario di suo nonno. Proprio il suo avo, come disposto nelle sue ultime volontà, lascia tutti i beni terreni al nipote. Compreso il castello in Transilvania.

FRANKENSTEIN JUNIOR, IRONIA DELICATA VERSO UN GENERE

Preso atto della cosa, il dottore saluta l’algida, fredda e vanitosissima fidanzata Elizabeth (Madeline Kahn) e parte per la Transilvania.

A destinazione lo attende Igor (Marty Feldman). È un individuo gobbo, strabico e bizzarro, nipote dell’Igor che lavorava per Victor Frankenstein, assegnatogli come assistente personale.

FRANKENSTEIN JUNIOR, IRONIA DELICATA VERSO UN GENERE

A Frederick è stata assegnata anche un’altra aiutante (non si sa bene per cosa): la graziosa Inga (Teri Garr). Fatte le debite presentazioni i tre si dirigono al castello.

FRANKENSTEIN JUNIOR, IRONIA DELICATA VERSO UN GENERE

Una volta arrivati al castello, di cui adesso è proprietario, Frederick fa la conoscenza di un altro strambo personaggio: l’austera governante Frau Blücher (Cloris Leachman). Ogni qualvolta viene nominato il suo nome, curiosamente, i cavalli nitriscono spaventati.

FRANKENSTEIN JUNIOR, IRONIA DELICATA VERSO UN GENERE

Frederick, sempre ostinato nel continuare a dire che il suo nome si pronunci Frankenstin, vive la situazione con il solito distacco.

Il dottore scopre il laboratorio segreto del nonno e il suo diario intitolato “Come lo feci”, in cui spiega ben bene come riportare in vita un cadavere. Dapprima scettico, poi incuriosito e infine sempre più affascinato, Frederick si dedica agli esperimenti dell’avo.

Deciso ad andare fino in fondo con l’aiuto dell’ormai inseparabile Igor, Frederick si mette alla ricerca del soggetto perfetto per il fatidico esperimento. Come da istruzioni lasciate dal nonno, ha bisogno di un soggetto più grande rispetto a un uomo comune.

I due trovano il cadavere di energumeno “lungo due metri e venti… e largo come un armadio a due ante” in un cimitero. Questo vuol dire che, in proporzione, la creatura sarà dotata, come sottolinea lascivamente Inga, di un enorme Schwanzstück”.

Tutto sembra andare per il meglio fino a quando, mandato alla ricerca di un cervello perfetto, Igor fa cagnara mandando tutto all’aceto. Avrebbe dovuto portare il cervello di un certo Hans Delbrück, scienziato e pure santo. Però, spaventato da un fulmine, fa cadere il cervello, che finisce spalmato sul pavimento. Perciò ripiega su un cervello di fortuna che dovrebbe appartenere a un certo Ab-Normal.

L’imbarazzato Igor non dice nulla dello scambio e Frederick, inconsapevole, trapianta nella creatura il cervello di un “anormale”.
Bene, non credo sia il caso di andare oltre. Perciò, passiamo pure a “La Domanda”: com’è questo Frankenstein Junior?

 

Nonostante il filone parodistico sia piuttosto prolifico, la maggior parte dei film americani ricorre soprattutto allo slapstick o all’iperbole. Che, spesso e volentieri, finiscono nel demenziale, vedi Balle Spaziali. In questo caso, il “malvagio” Lord Casco è rappresentato con Rick Moranis, un ometto piccolo e gracilino, con indosso la suit di Darth Vader.

L’elmo di proporzioni enormi e assurde, lo fa somigliare a una statuetta bobblehead a grandezza naturale. Sì, indubbiamente l’impatto visivo è divertente, però la dinamica degli eventi in questo caso si regge tutta sull’aspetto “assurdo-demenziale” dei personaggi.

Anche i personaggi di Frankenstein Junior sono caricaturali, ma il film,con i suoi dialoghi brillanti, dà vita a sequenze memorabili.

Inga: Lupo ulula…
Frederick: Lupo “ululà”?
Igor: Là.
Frederick: Cosa?
Igor: Lupo ululà e castello ululì.
Frederick: Ma come diavolo parli?
Igor: È lei che ha incominciato!
Frederick: No, non è vero!

Un altro esempio è l’incontro tra Frederick e Igor. Purtroppo, nonostante il doppiaggio italiano di Frankenstein Junior sia uno dei lavori meglio riusciti in assoluto, per questioni d’idioma alcune finezze si perdono per forza. Tipo quando Frederick arriva alla stazione, si presenta e dice che il suo nome si pronuncia Frankenstin.

Dopodiché chiede, “tu devi essere Igor?”. Per tutta risposta Marty Feldman dice a sfottò “no, si pronuncia Aigor”. In realtà Feldman nella versione originale pronuncia “Eye-gore” mentre un primo piano sugli occhi dell’attore sottolinea il gioco di parole.

Al di là della bravura di Gene Wilder e Marty Feldman, ogni aspetto, ogni dettaglio trova la giusta collocazione. Per il laboratorio, per esempio, Mel Brooks prese le scenografie del set originale del film Frankenstein del 1931.

Forse la cosa più bella di Frankenstein Junior è che si può ridere con lui, non di lui. Anche se la regia di Mel Brooks si rifà (volutamente) a quella di James Whale, Tod Browning, George Waggner, Rowland V. Lee e compagnia cantante, non si ha mai la sensazione che stia semplicemente sfruttando il materiale originale.

Al contrario, Mel Brooks con Frankenstein Junior fa due cose. In primis, il film è una specie di lettera d’amore verso un genere, un certo tipo di film. Palese che Brooks lo adori e perciò, secondo punto, il modo in cui sottolinea ironicamente i cliché dei film horror degli anni trenta e quaranta è sempre delicato. Un po’ come quando si ricordano con ironia le cazzate fatte da ragazzi.

 

Ecco, a questo punto non credo ci sia altro da dire.

Stay Tuned, ma soprattutto Stay Retro.

 

Frankenstein Junior

Titolo originale: Young Frankenstein

Regia: Mel Brooks

Produzione: Michael Gruskoff

Sceneggiatura: Mel Brooks
Gene Wilder, basato su Frankenstein
di Mary Shelley

Starring: Gene Wilder
Peter Boyle
Marty Feldman
Cloris Leachman
Teri Garr
Kenneth Mars
Madeline Kahn

Distribuzione: 20th Century Fox

Data di uscita: 15 dicembre 1974

 

 

 

2 pensiero su “FRANKENSTEIN JUNIOR, L’IRONIA DELICATA DEI VECCHI HORROR”
  1. E’ semplicemente un capolavoro, capostipite nobile di un genere che negli anni 80 diventerà grezzo (ma ancora divertente) e successivamente non farà più ridere. Ne conosco a memoria ogni singola scena, e l’ho visto e rivisto anche in lingua originale, ma non smette mai di strapparmi un sorriso (anche solo leggendo questo articolo).

    Taffetà, tesoro.

  2. Capolavoro assoluto! Decisamente riduttivo etichettarlo come parodia. Giustamente l’autorevole Retronauta dice che si tratta di un atto d’amore. Ma un capolavoro, per essere tale, ha bisogno di raggiungere un delicato equilibrio tra le diverse istanze narrative. Mel Brooks e Gene Wilder hanno realizzato e interpretato divertenti commedie o parodie, ma troppo sopra le righe per essere definiti “capolavori”. Con un’unica eccezione: questo Frankenstein Junior. Credo che il miracolo sia dovuto alla sceneggiatura scritta a quattro mani proprio da Wilder (che fortissimamente volle questo film) e Brooks (che accettò di dirigerlo). La mediazione tra l’ironia poetica di Wilder e il sarcasmo dissacratore di Brooks è risultata vincente.
    P.S.
    Gli errori sul set giunti fino a noi ci mostrano come attori, regista e troupe si siamo divertiti a girare questo film quanto noi a vederlo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *