NAVIGANDO NELLA STORIA CON FRANCO CAPRIOLI

Il periodo dalla fine degli anni quaranta alla prima metà degli anni cinquanta per il settimanale cattolico Il Vittorioso è probabilmente il più bello e ricco della sua intera storia, dato che giungono a piena maturazione i talenti dei più grandi autori della scuderia: da Sebastiano Craveri a Benito Jacovitti, da Franco Caprioli a Gianni De Luca.

Anche dal punto di vista redazionale, il periodico è denso di rubriche giornalistiche e di grandiose tavole fuori testo, fra cui molte delle migliori “panoramiche” di Jacovitti e le ricercate “anticipazioni scientifiche” di Kurt Caesar.

 

 

L’apogeo de Il Vittorioso

Le grandi pagine, già dal numero 43 dell’ottobre 1950, salgono a sedici, e la stampa, su carta opaca di prima qualità, è sempre perfetta. Ma i germi della crisi nascono proprio nel momento di massimo successo della testata. Il nemico n. 1 del Vittorioso, mentre si avvicina la metà degli anni Cinquanta, non è più la stampa a fumetti “pericolosa”, ma qualcosa di molto più temibile, e che soprattutto non si può combattere ad armi pari.
Nel 1953, infatti, iniziano le trasmissioni della Televisione Italiana.

Un bell’articolo di Ugo Sciascia, nel 1954, illustra la novità nelle pagine del Vittorioso. Ma se a quell’epoca la tv è ancora un passatempo per pochi ricchi, in pochi anni l’apparecchio radiotelevisivo diventerà una presenza quasi ubiquitaria, e i fumetti, in generale, perderanno parte del loro appeal presso il pubblico giovanile.
Intendiamoci, niente a che vedere con quello che accadrà dagli anni settanta in poi, ma le avvisaglie, specie nell’anno di Lascia o raddoppia? ci sono tutte, e Jacovitti se ne fa interprete, proprio nel 1955.

 

La trasmissione di Mike Bongiorno inizia il 26 novembre, la copertina di Jac è del 22 settembre: profetico, davvero. Ma le cose sono iniziate a peggiorare già l’anno precedente. Nel 1954, infatti, diminuiscono in percentuale le storie dei grandi e popolari autori, mentre appaiono (ed è la prima volta, dall’anteguerra) anche opere di dubbio valore, che sanno tanto di riempitivo. D’altra parte è in atto anche un ricambio generazionale, testimoniato da malinconici addii di figure-simbolo del settimanale. Significativa è la lettera che Gino Bartali scrive ai lettori del Vittorioso in occasione del suo addio allo sport, il 20 marzo 1955.

 

Bartali era stato vicinissimo al giornale fin dal 1937. L’anno precedente Caesar l’aveva ritratto insieme al suo arcirivale Fausto Coppi, destinato a una fine tragica pochi anni dopo, ma adesso davvero “solo al comando”.

 

Alla fine del 1955, viene deciso il passaggio alla stampa in rotocalco, che porta a un notevole peggioramento della resa grafica generale: ne soffrono soprattutto il tratto raffinato di Franco Caprioli e le cromie di Kurt Caesar. Contemporaneamente, la foliazione passa a ventiquattro pagine, ma senza un aumento qualitativo generale dei contenuti. Ne guadagnano solo alcune belle copertine a mezzatinta, rese possibili dalla nuova tecnica di stampa.

Interessante, in questo periodo, forse proprio sull’onda della montante tv e nello spirito di una ricerca del benessere ancora lontana dal boom economico, ma già avvertibile, la curiosa “sponsorizzazione” di alcune tavole a fumetti, fra cui una sorprendente “panoramica” del grande Jac.

Il Vittorioso 1950/56: Franco Caprioli

Mi ero ripromesso di seguire l’evoluzione, in questi anni cruciali, dei maggiori autori in forza al Vittorioso: soprattutto Caprioli, De Luca e Jacovitti.

Il primo, Franco Caprioli, è quello che cambia meno, nella storia tarda del settimanale cattolico. Già nel 1950, infatti, ha raggiunto la piena maturità artistica e uno stile molto personale, con il suo caratteristico pointillisme. Il suo tratto evolve tutto sommato molto poco, mantenendosi a livelli di assoluta eccellenza. Credo che gli esempi che riporto siano a questo proposito assai eloquenti.
Kim, il piccolo amico, su testi di Roudolph, è del 1950. Caprioli ormai si dedica completamente agli scenari esotici. Le storie di ampio respiro gli permettono di disegnare grandi vignette dense di particolari: una visione contemplativa del Fumetto, che evoca ritmi lenti e un senso del meraviglioso che solo Gianni De Luca, in modo assai più drammatico, quasi “nevrotico”, può emulare.

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Del 1951 è Aquila Maris, stavolta su soggetto di Belloni, vero e proprio Kolossal storico che si pone dichiaratamente sulla scia di certa cinematografia di genere peplum, soprattutto l’hollywoodiano Quo Vadis di Mervyn LeRoy, uscito nelle sale quello stesso anno.

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Le prime puntate sono poco movimentate e decisamente didascaliche, ma la storia prende quota ben presto, con memorabili scene “panoramiche” e d’azione.

 

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Aquila Maris ha un notevole successo, e nel 1953 si replica con Hic Sunt Leones, ancora di ambiente antico romano e paleocristiano.

 

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Nel 1954 appaiono due storie di ambiente western, interpretato in chiave filologica e molto personale dal Maestro di Mompeo. La più interessante, dal lato grafico, è Il segreto del Pugnale, parte di un ciclo più ampio. Cosa notevole, stavolta non è indicato il nome di uno sceneggiatore, per cui quasi certamente i testi sono dello stesso Caprioli.
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In quel periodo Franco Caprioli inizia a lavorare alle illustrazioni di un trattato di antropologia e archeologia, il Viaggio attraverso la preistoria di Mario Bianchini. Il libro sarà poi edito con la parte grafica, che costituisce la maggior parte dell’opera, assai mutila e fortemente penalizzata da un’assai discutibile colorazione.

 

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Intanto, però, la grande passione per gli studi naturalistici, archeologici ed evoluzionistici, ispira a Franco Caprioli una bellissima (e singolare) storia-saggio, Una strana avventura, che curiosamente Il Vittorioso pubblica in bianco e nero e in piccolissimo formato. Colpa di temi non graditissimi alla redazione?

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Il Vittorioso 1950/56 – Franco Caprioli, seconda parte

Come dicevo, Franco Caprioli in questo periodo di grandi cambiamenti modifica molto poco il suo stile. Fa delle storie western, come un po’ tutti (è l’epoca del grandissimo successo di Tex Willer ed epigoni), ma sono molto personali, quasi filologiche, basate non sulle pellicole hollywoodiane, ma sulla documentazione d’epoca, e che quindi appaiono senz’altro “diverse”. Ma il suo grande amore è (e resterà fino alla fine) il mare, come ai tempi dell’Isola Giovedì, sul Topolino giornale Anteguerra. E all’ambiente marinaro Caprioli unisce il suo amore per l’etnologia, l’archeologia, e la preistoria. Ricorda, a volte, il miglior Brick Bradford di William Ritt e Clarence Gray.
L’ambiente precolombiano è al centro de Il tesoro di Tahorai-Tiki-Tabù, di cui cura anche i testi. Storia ispirata molto probabilmente alle imprese di Thor Heyerdahl e alla sua zattera Kon-Tiki.

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Anche Al di là della Raya (1954), storia di Ferdinando Magellano, è tutta di Franco Caprioli, testi e disegni. E penso che si collochi, graficamente, allo zenith della sua arte.

 

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Negli anni sessanta il Maestro di Mompeo subirà una certa involuzione, per tornare però, con gran sorpresa e gioia degli appassionati, agli antichi splendori nei primi anni settanta su Il Giornalino, proprio poco prima della sua scomparsa.

 

(Gli altri articoli di Giornale POP dello stesso autore, dedicati ai fumetti pubblicati in Italia negli anni trenta e oltre, li trovate cliccando QUI).

 

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