Si decide di comprare una nuova fotocamera o un nuovo obiettivo fotografico. L’offerta è immensa, e il contesto produttivo di chi è nato e cresciuto con la fotografia analogica e con il made in Japan / Germany non esiste più. Esistevano allora fotocamere di riferimento, Leica e Nikon, poi Canon appena sotto e poi tutti gli altri in discesa fino alle economiche Cosina e Praktica e alla sovietica Zenit. Tutte facevano comunque buone foto al meglio delle loro possibilità e del loro prezzo, non capitava di comprare materiale difettoso per progetto e nessuno si metteva a pontificare che un obiettivo Minolta era tecnicamente buono quanto un Leica, anche se poi magari lo era, ma esisteva una gerarchia. Era un mondo ordinato nel quale orientarsi con buona sicurezza.

Le riviste specializzate erano tante, comprendendo quelle non italiane, ma alla fin fine le recensioni si leggevano su “Tutti fotografi” e “Fotografare”, forse anche “Reflex”, che però non compravo, che ogni tanto pubblicavano anche dei numeri speciali raccogliendo le prove del materiale più consigliabile. I negozianti aiutavano, soprattutto quelli dei grandi nomi come Photo Discount o Giovenzana a Milano: a inizio anni Ottanta fu uno di loro a suggerirmi di comprare un cavalletto Manfrotto, azienda che oggi ha 800 dipendenti, allora non la conosceva nessuno.

Detto questo, oggi come tutti anche io per decidere se comprare un obiettivo fotografico o anche un telefono che sostituisca alla bisogna una vera fotocamera esploro internet: qui però parlo nello specifico delle fotocamere vere e proprie, i telefoni sono un universo a parte.


I siti di recensioni

In rete, le recensioni di materiale fotografico sono sostanzialmente tutte vacuamente uguali, alcune sicuramente scritte da programmi automatici che ora sono chiamati intelligenza artificiale ma che esistono da sempre. Per quanto riguarda le recensioni di fotocamere vengono indicati il numero dei pixel e si specifica se il sensore è di qualche nuova generazione. Immancabilmente, e dico immancabilmente, se il sensore non è full frame, ma APS-C o Micro Four Third (cioè più piccolo del formato di riferimento pari a 24x36mm), il recensore sottolineerà che impostando una alta sensibilità le immagini risulteranno rumorose, insomma meno nitide, e specificherà anche che questo dipende dalla inferiore dimensione dei singoli pixel. Ogni volta, ogni volta, ogni volta questa tiritera. Ho avuto fotocamere APS e MFT, e solo fotografando a mano libera in piena notte un castello in lontananza illuminato da una mezzaluna ho costatato un effettivo peggioramento dell’immagine rispetto al full frame.

Centinaia di milioni di fotografi hanno fatto riprese magnifiche con pellicole mediamente da 100 Iso (Ilford FP4, Kodak Tri-X…) che arrivavano a 1600 Iso se tirate per i capelli; ora le fotocamere arrivano a 50.000 Iso e più, e in effetti con quelle sensibilità producono immagini non perfettamente nitide, sono in pratica dei visori notturni – ma discettare con gravità del rumore di quelle immagini significa parlare di situazioni estreme, improbabili quanto molto specifiche, e significa anche perdere il senso storico della tecnologia, e con quello il senso del ridicolo. Insomma, chissenefrega se a 64.000 Iso l’immagine non è granché, si ringrazino gli ingegneri che hanno prodotto un tale miracolo.

Dico Iso perché in questo mondo di uniformazione si dice così come si dice di foglio Iso A4, ma in privato uso ancora ASA e a volte persino DIN.

Il 14 agosto 2004 alle tre del mattino ho fotografato il trasferimento del sommergibile Toti fino alla sua sede definitiva al Museo della Scienza di Milano. La macchinetta Kodak da 3 megapixel di cui disponevo arrivava solo a 200 Iso di sensibilità, qualcosina in più sarebbe avrebbe certamente evitato il mosso. Fu comunque una notte divertente.

 


Poi il recensore passerà a delucidare quanti scatti al secondo può fare la fotocamera presa in esame: dieci, cinquanta, duecento, e questo gli permetterà di dissertare sul fatto che sì, può fare duecento scatti al secondo ma non in modalità raw, o solo in modalità raw o solo jpg o qualche altra distinzione con tutte le possibili varianti. E con così tanti scatti potrà discettare della velocità dell’autofocus nel seguire i movimenti del soggetto. Una così grande quantità di scatti può servire al fotografo sportivo che ha comodità nel scegliere la foto venuta meglio di un ginnasta all’apice dello sforzo, o quella in cui il solito animale selvatico ha per un istante la faccia più simpatica mentre sbrana un’antilope. Ma è davvero un parametro importante? Nella stragrande maggioranza dei casi, anche nelle foto sportive cinque fotogrammi al secondo bastano e avanzano. Il fatto è che la macchina digitale quanto a ripresa in quanto tale ha raggiunto un livello qualitativo difficilmente migliorabile, si punta così sui dettagli, come nelle pubblicità delle automobili: cercate nei dépliant il numero dei cavalli o la velocità massima, sono dati nascosti sotto le mirabolanti descrizioni del monitor da 10 pollici connesso a internet – prezzo alla produzione un paio di euro.

Immancabile il commento sulle pecche della fotocamera se la si vuole usare per i video: ormai l’HD ce l’ha anche il citofono, ora se non hai 8k con rallentatore a 240 fotogrammi al secondo, ecco, scegli un’altra fotocamera per i tuoi video da piazzare su YouTube. Quasi mai un accenno a quanto costa un computer in grado di montare una così imponente massa di gigabyte in movimento. Seguono lamenti stizziti: eh, purtroppo qui abbiamo solo il 4k per di più con il cropping del sensore. A Milano li chiamano ganassa. Ma sono solo aria fritta per giustificare la recensione.

Di seguito il recensore elencherà finalmente le modalità di esposizione che sono sempre, sempre, sempre le stesse da cinquant’anni e più: a priorità di tempo, a priorità di diaframma, manuale e automatica, dove l’automatica potrà essere modulata in vari modi: sport, animali, ecc. Lunghe dissertazioni seguono sul riconoscimento facciale, ora ampliato al riconoscimento dei musi degli animali, visto che sembra si fotografino solo cani e gatti che guardano nel sole.

Prima o poi poteva accadere e si passa alla riduzione delle vibrazioni, che può essere nella fotocamera o nell’obiettivo o in tutti e due. È una di quelle funzioni che vanno bene o benino con qualsiasi marchio, non ho mai letto una recensione che ne dicesse male. Ha particolare risonanza nei gruppi amanti del sistema Micro Four Thirds, perché in effetti le fotocamere Olympus offrivano un diaframma o due di vantaggio rispetto alla concorrenza. Che poi avessero sensori da 16 megapixel quando già si diffondevano i 32, va be’, che sarà mai?

Poi un accenno alla durata della batteria, a qualche menu specifico, fine. Ma allora perché le enormi differenze di prezzo tra la fotocamera entry level e quella più costosa, anche 5.000 euro? Numero dei pixel a parte? Non si sa, soprattutto quando è ammesso candidamente che il sensore della fotocamera da 1000 euro è lo stesso di quello della fotocamera da 3000.

L’unica osservazione che può essere effettivamente utile è la resistenza al flare, in altre parole il modo più o meno efficace in cui un obiettivo risponde a raggi luminosi tipicamente solari che entrano direttamente nell’inquadratura e che possono produrre come striature di luce o diminuire la qualità complessiva della ripresa. Ma con buoni obiettivi il flare è raramente un problema. Con il 20mm Nikon analogico di cui parlo avanti ho regolarmente fotografato con il sole in piena inquadratura oppure laterale al tramonto, situazioni difficili, e il Nikon non ha mai fatto una piega.

 

A chi servono queste recensioni?
Io vorrei per esempio sapere qual è il numero di scatti garantiti dal produttore salvo guasti; e magari vedere delle relative prove concrete su campo, come quando Ikea mostrava nei negozi dei marchingegni che aprivano e chiudevano i cassetti per mostrare che duravano decine di migliaia di movimenti, o “Quattroruote” tirava scema una automobile in prova. Le macchine per uso professionale arrivano anche a 200.000, per quelle da borsetta il produttore ne garantisce 50.000 o meno, poi può andar bene o andar male. Ma questo è un dato a volte raro da sapere.

Vorrei che si parlasse del fatto che troppe fotocamere sfornano file jpg che non sono abbastanza buoni da essere usati subito; il solito ganassa non ignora il problema, ma sottolinea che certo, per un risultato ottimale bisogna passare il file in Photoshop e software analoghi. Ma se uno ha cento scatti da vendere magari non dispone del tempo necessario a passarli tutti prima della consegna. Le recensioni, soprattutto quelle dei blog, sono troppo spesso scritte da gente che con la fotocamera fotografa anatre, non produce immagini. I produttori spingono sugli argomenti che tirano e mettono sì a disposizione vari settaggi per produrre un file jpg decente, ma alla fin fine il cielo è sempre di un blu che sembra dipinto da uno sotto Lsd. E quindi vai di Photoshop, e che palle. Ancora, Olympus produceva file jpg piuttosto buoni, ma come detto sopra, erano da 16 megapixel, massimo 20, che troppo spesso non bastano.

 

Sottostazione elettrica ferroviaria, file jpg sfornato da fotocamera Olympus Pen-F; il blu del cielo non è perfetto, ma del tutto accettabile


Vorrei che il recensore interpellasse il produttore per sapere se e quando usciranno nuovi firmware (vedi più avanti). Cose di questo genere nisba, però nella valutazione finale la macchina perde un punto perché non è sigillata contro la sabbia e non sopporta di stare in acqua per più di trenta secondi. Non è tropicalizzata. Ma quando mai mi è caduta una fotocamera dal canotto (a parte che affonda e tanti saluti), e se proprio voglio andare a far foto sulla spiaggia di Milano Marittima mi compro uno di quei sacchetti proteggi fotocamere che si trovano o trovavano per una decina di euro, non mi sembra questo un problema. Se poi di mestiere faccio ritratti di palombari o di beduini mi attrezzo di conseguenza. Se parlate tedesco, qui trovate una dissertazione sulla faticosa situazione dei firmware Leica.

Sospetto (e sai che sospetto geniale!) che le recensioni servano soprattutto ai recensori, che tentano di cavare due soldi dalle pubblicità sui loro siti. Al potenziale acquirente servono poco. A meno che il recensore non conduca delle prove concrete, il che talvolta fa, ma sono prove quasi sempre su YouTube rivolte a gente che a quanto pare vive in bei parchi assolati e che ama moltissimo fotografare anatre e tramonti. Mai trovato una recensione di uno che analizza il migliore obiettivo per fotografare campanili, che sono un soggetto disgraziato da rendere.

Cito una tipica frase da recensione fotografica online bloggistica: “Il corpo macchina è compatto, l’otturatore è silenzioso, tutto sommato i comandi ci sono ma qualche combinazione porta a fare strani contorsionismi innaturali. Ma soprattutto mancano un paio di centimetri sotto per avere una presa più comoda“. Io che me ne faccio di ‘sta roba? Ma ammetto che sono testi oziosamente gradevoli da leggere.

 

E se non fotografi anatre?
Fotografo cose come pali di cemento centrifugato, tralicci, condotte dell’alta tensione, centrali elettriche, condotte forzate, interni di ambienti tecnologici, fognature, architetture brutaliste. Quasi nessuna delle tante fotocamere digitali che ho avuto ha mai prodotto buoni risultati di suo, soprattutto con strutture filiformi: tralicci, reti metalliche, cavi elettrici, ecc.,, credo perché semplicemente i miei soggetti non sono compresi tra quelli che i loro cervellini elettronici hanno in memoria (inoltre servono tanti ma tanti pixel). Quelli hanno in testa gatti, tramonti, scene innevate, gruppi di amici, castelli, spose in bianco, bambini da soli, in gruppo, con adulti, eccetera eccetera eccetera. Se fotografo un sottile traliccio bianco e rosso su uno sfondo blu mi viene immancabilmente fuori un palo grigiastro contro uno sfondo blu elettrico e poi ci passo i quarti d’ora in Photoshop per tirar fuori il soggetto dal file raw, cioè quello non trattato dalla macchina fotografica, e non sempre ci riesco. Se ho bisogno di un risultato sicuro uso una Hasselblad 500 e poi scannerizzo la pellicola 6×6. In questo senso, la mia prima fotocamera digitale, la Kodak da 3 Megapixel già citata, aveva un cervellino elettronico elementare e faceva buone foto.

 

Ripetitore passivo Telecom, immagine tratta dalla mia ricerca storica sui ripetitori telefonici in microonde


Una parentesi sulle diapositive

Prima del digitale ho sempre usato diapositive, anche per il bianco e nero (pellicola Scala dell’Agfa). Per chi non c’era o ha dimenticato, la diapositiva è un supporto che non può essere modificato, la fotografia deve essere buona da subito, esposizione, inquadratura, luci, ombre, colori: devi saper fotografare, non è che poi muovi il mouse e sistemi. Con il digitale continuo forse scioccamente a seguire la pratica analogica. O meglio, mi piacerebbe farlo solo che, appunto, la fotocamera non si limita a ubbidire, decide lei che cosa voglio ottenere, e il file raw, cioè il file che la fotocamera produce e poi rielabora, è una roba che convertita cosi com’è non è molto migliore del jpg. E comunque, chi si ricorda di com’era davvero la luce nel momento in cui ho fatto la fotografia? Questo del conflitto tra la volontà del fotografo e quella della fotocamera è un punto fondamentale della fotografia digitale e nessun recensore sospetta neanche che sia un punto fondamentale.

La foto che segue è stata scattata con una modesta fotocamera del 2009. L’ho ridotta di formato e quindi di definizione per motivi tipografici, e la giornata nebbiosa e uggiosa era molto difficile per le riprese. In ogni caso il dettaglio della centrale di raddrizzamento della linea ad alta tensione in corrente continua Germania-Scandinavia è esattamente ciò che si vedeva dal vivo, la fotocamera ha messo poco o niente di suo.

 

Lubecca, lato tedesco del collegamento ad alta tensione in corrente continua Germania-Scandinavia


Le recensioni umanistiche

Ci sono poi le recensioni blog-umanistiche, quelle che più o meno collassano sul: non importa quanti pixel ha la fotocamera, importa la loro qualità! La qualità del pixel? Ma che cavolo vuol dire? Vorranno forse dire che importa come quei megapixel del sensore vengono elaborati (vedi sopra), però non lo dicono. In ogni caso, questa dei pochi megapixel che vanno benone quanto i tanti megapixel  è una scemenza, ritratti di gatti nell’orto a parte: se con un obiettivo da 28mm di focale devo fotografare una parete di cemento lunga cinque metri con delle scanalature a intervalli, poniamo, di 20 centimetri, se ho un sensore da 48 megapixel (e un obiettivo adeguato) le scanalature si vedono, se di megapixel ne ho 16 – come ancora la Olympus, ora OM System si ostina a propinare – avrò un muro grigiastro con vaghe ombrature verticali. Su questo argomento consiglio il mio prossimo articolo fotografico.

 

Gli obiettivi
Tutti lo sanno, ma nessuno ne parla volentieri Gli obiettivi per le fotocamere digitali in linea di massima non sono di per sé favolosi, secondo i parametri della ottica fotografica classica. Perché i quattro parametri principali per valutare la qualità di un obiettivo sono:

risoluzione, cioè la precisione con cui raccoglie la luce e la riferisce alla pellicola o al sensore (espressa in linee per millimetro);
fedeltà geometrica, se una linea è retta deve essere riferita retta, non curva;
aberrazione cromatica assente o minima, senza entrare nel merito, la capacità di riferire correttamente i colori soprattutto delle fasce laterali dell’immagine, senza sbavature;
vignettatura, cioè la capacità di trasmettere alla pellicola o al sensore la medesima quantità di luce sia che provenga dal centro immagine sia dagli angoli.

C’è un quinto parametro che ritengo assurdo e che riguarda la qualità dello sfuocato, che va molto di moda e di cui parlerò più avanti, e ci sono parametri inventati di sana pianta come la qualità delle stelline prodotte dalle luci puntiformi sfuocate, ma di queste cose mi rifiuto di parlare.

 

Sì, quindi?
Ora, questi quattro parametri non vanno tanto d’accordo tra loro, la bravura dei progettisti è, era, di trovare materiali e combinazioni geometriche delle lenti che producano un buon compromesso. Ma con il digitale tutto sommato basta concentrarsi sulla risoluzione, cioè sull’acutezza visiva della lente. Perché la fedeltà geometrica, l’aberrazione cromatica e la vignettatura, sai cosa? Le aggiusta la fotocamera o il fotoritocco. In rete non troverete un obiettivo uno con una recensione negativa, sembra di vivere in un paradiso delle lenti. Magari si solleva qualche dubbio su certi zoom 24-400mm, che di loro sono dei miracoli di progettazione e compromessi megagalattici. Ma qualche recensore più serio mostra che cosa davvero vede l’obiettivo prima della correzione della fotocamera: dadi bianchi che diventano un po’ sferici con striature rosse sui bordi. Visto che il digitale è comunque in buona parte invenzione di microprocessori la faccenda si può accettare, basta sapere che la nostra immagine è la creazione di un computer fantasioso basata su dati incompleti forniti da un sensore e convivere con questa idea. Ora, visto che tre parametri su quattro vanno a posto da sé, il quarto sarà necessariamente buono di suo, no? No, con la complicità di troppi recensori. Vediamo alcuni recenti casi concreti che mi hanno fatto perdere tempo e pazienza..


Gli obiettivi cinesi

Il mercato degli obiettivi è sempre stato diviso in due, quelli costruiti dai grandi produttori di fotocamere come Nikon e quelli costruiti da produttori minori specializzati: Tamron, Tokina, Sigma, ecc. sono i classici nomi cui uno si avvicina se non trova i soldi per l’obiettivo dei suoi sogni. Sono costruttori di tutto rispetto e ce la mettono tutta tenendo però conto che il loro è il pubblico degli squattrinati e che i costi per ricerca e fabbricazione non possono superare certi limiti. A un certo punto, moltissimi giovani fotografi analogici hanno avuto uno zoom Tamron 70-210.

Ma adesso è arrivato il terzo incomodo, i produttori cinesi, che hanno invaso il mercato di obiettivi di ogni genere, moltissimi grandangolari, ma anche teleobiettivi e lenti normali (cioè attorno ai 50mm di focale). Sono in buona parte privi di elettronica e quasi tutti disponibili con baionette (l’aggancio alla fotocamera) per tutte le marche principali. Quando l’obiettivo è privo di elettronica, ma dotato di ghiera per la regolazione del diaframma, la fotocamera digitale va impostata in modalità manuale o su priorità di diaframma / di tempo. Dopo aver letto recensioni suadenti, andando contro le mie certezze interiori ho comprato due fish-eye cinesi di marche diverse, con l’intenzione di restituire il peggiore. Entrambi di metallo massiccio, pesanti, bellissimi da vedere, con un perfetto e soddisfacente movimento fluido della messa a fuoco e della ghiera dei diaframmi. Li ho scelti tra quelli premiati da 5 stelle dai clienti Amazon e altrettante sui vari blog fotografici. 

Ho avuto parecchi fish-eye, un obiettivo che produce immagini inusuali perché di forma o circolare o tendenzialmente circolare. Andava parecchio di moda negli anni Sessanta e Settanta, anche nel cinema. Il fatto di non doversi preoccupare troppo della distorsione geometrica che, anzi, più ce n’è meglio è come diceva Baldan Bembo, dovrebbe dare campo libero alla ricerca della maggiore definizione possibile, anche tenendo conto che essendo ipergrandangolari tutto nella ripresa diventa piuttosto piccolo. Ecco una ripresa con fish-eye.

 

Ex bar della stazione ferroviaria di Moneglia, abbandonata nel degrado; immagine realizzata con obiettivo fish-eye


Ora, dal punto di vista della definizione i due fish-eye cinesi tanto applauditi e da me comprati sono molto mediocri. Come prima impressione nel mirino non sono male, poi ingrandisci un dettaglio e quel dettaglio semplicemente non c’è, c’è una macchia. Ma con il fish-eye Nikon, al posto della macchia c’è una decorazione incisa nel legno. Certo, il fish-eye cinese costa 290 euro, quello di marca 1650 euro, ma come si dice, se una cosa non funziona è comunque troppo cara. Oddìo, ho letto qualche giorno fa un articolo vagamente critico su un obiettivo cinese da 79 euro (che è quello che costa un paraluce Leica). Pur di non parlarne esplicitamente male il tizio diceva che era interessante per chi avesse voluto sperimentare con quella focale (normalissima, un 50mm). Ma piantala, di’ che è una porcheria e che manuale per manuale con 30 euro ci si compra un bell’obiettivo Fujica del 1978 con attacco a vite che in digitale va molto ma molto meglio.
Aggiungo che pochissimi recensori indagano sulla qualità meccanica dell’obiettivo in esame. Un movimento fluido della messa a fuoco è una gran bella cosa, ma bisognerebbe sapere con quanta cura sono sigillate le lenti, ché la muffa ci mette niente a formarsi, e la polvere se limitata a qualche puntino non danneggia l’immagine ma porta a zero il valore dell’obiettivo casomai si volesse rivendere. Parlo di muffa e polvere tra le singole lenti che compongono un obiettivo, che possono arrivare a quindici e più.

 

Ma perché?
Ma com’è possibile che decine di recensioni in tutte le lingue dichiarino che questi barattoli invece sono bellissimi, che non vale la pena di spendere di più? Tra parentesi, è da notare che se uno vuole un fish-eye vuol dire che sa che cosa vuole, non è qualcosa che si compra per sbaglio o disattenzione, e sai cosa? Il recensore la tira regolarmente in lungo per paragrafi e paragrafi, e che è un obiettivo particolare che non a tutti può piacere e che bisogna abituarsi (abituarsi?) a immagini deformate e via e via e via. Come se uno recensisse un Velosolex sottolineando continuamente che non è una funivia.

 

I produttori indipendenti e troppo sportivi
Era da un po’ che pensavo di prendere un teleobiettivo relativamente potente, almeno 500 millimetri. Non per solo sfizio, parecchi dei miei soggetti si trovano in zone inaccessibili se non in elicottero o agli scalatori, devo riprenderli per forza da lontano. Mi sono informato, un’ora e mezzo di elicottero costa minimo 1.500 euro che moltiplicati per la ventina di soggetti che ho ancora in elenco da fotografare mi fa una cifra che al momento vorrei destinare alla spesa del sabato. Qualche alpinista a volte mi aiuta e fotografa quello che mi serve, già che ci passa accanto. Il drone aiuta molto, ma a parte che con la patente che ho è illegale spingerlo oltre i 500 metri di distanza, non è una faccenda così semplice riprendere una struttura di 4 metri per 3 che senza binocolo non puoi vedere da dove ti trovi, né da dove ti trovi riesci a vedere il drone: in questo caso si vola in due, uno segue il drone col binocolo e l’altro lo pilota, ma resta il fatto che a distanza il tuo soggetto è difficilissimo da trovare e la batteria dura venti minuti se va bene.

Il 500 millimetri Nikon costa da 3500 euro in su, sempre troppo anche a rate per un uso sporadico, ma ecco che a inizio anno i siti specializzati presentano e raccomandano caldamente uno telezoom di nota marca indipendente e di antica tradizione: per poco meno di milleduecento euro uno zoom 150-500 millimetri persino dotato di riduzione delle vibrazioni (cioè dei servomeccanismi compensano il tremolio delle tue mani, che è sempre presente a meno che non sei morto).

Lo ordino, anche spinto dalle rate chilometriche a interessi zero offerte da Amazon e dal fatto che un tizio mi ha comprato per una cifra astronomica una rara Nikon FM3 che non ho mai usato. Non è bello come il Canon, men che meno il Nikon, tutto un plasticone che però va comunque sui due chili. A mano libera è impossibile farci foto non mosse, puntate voi con precisione tre chili di roba tutta sbilanciata, ma mi dico, è dotato di riduzione delle vibrazioni.

Vado all’orto botanico per provarlo, c’è un sole pazzesco, aria limpidissima, faccio un po’ di foto, alcune a mano libera, altre utilizzando dei muretti come sostegno; non ne vien fuori una nitida che sia una, anche usando tempi veloci, 1/500, 1/1000 di secondo e la focale più corta, di 150mm. È un problema di lente o di vibrazioni che non vengono ridotte? Ma anche con 500mm di focale la regola empirica dice che con 1/1000 di secondo c’è da stare tranquilli anche senza controllo elettronico, quanto meno con 24 megapixel, figuriamoci con la focale a 150. Probabilmente con un obiettivo dal peso ragionevole, non questo. Rimango perplesso.

 

L’orto botanico di Berlino; foto scattata con telefonino economico


Il giorno dopo piazzo il cavalletto davanti alla finestra, e con una Nikon Z6II e il bestione fotografo gli alberi del cortile, non c’è un filo di vento. Le immagini sono in effetti più nitide, non danno sensazione di sbavatura, il che vuol dire che forse il sistema antivibrazioni non funziona e che quello del corpo macchina non ce la fa, sempre che sia attivo, perché le istruzioni dell’obiettivo dicono che il sistema obiettivo+fotocamera va gestito da uno specifico menu della fotocamera che però non c’è. Le immagini sono meglio riuscite di quelle dell’orto botanico, ma non mi sembrano comunque soddisfacenti. Decido di fare un confronto, prendo un teleobiettivo Nikon di metà anni Ottanta, un 180mm 2.8 e impostando lo zoom in prova sulla medesima lunghezza focale faccio dei ritratti comparativi a una foglia particolarmente simpatica. Il Nikon, che potete trovare a 200 euro se tenuto bene, è molto migliore, guardate voi stessi.

 

Nota marca indipendente, obiettivo zoom 150-500mm del 2024; questo è il file jpg prodotto direttamente dalla fotocamera. Di solito la qualità dei file jpg prodotti dalla Nikon è buona anche se non eccezionale, forse qui obiettivo e fotocamera non dialogano al meglio (problemi di firmware del primo?, vedi più avanti nel testo).

 

Nota marca 150-500mm, file jpg convertito da raw con il programma Rawtherapy. Decisamente meglio.

 

Nikon 180mm 2.8 ED, obiettivo completamente manuale del 1983; file jpg convertito da raw con il programma Rawtherapy


Penso: va be’, si sa, uno zoom non è buono come un’ottica fissa. Sarei quasi tentato di accettare il compromesso, non ho voglia di mandare indietro l’obiettivo, se non ci fosse il problema che evidentemente la riduzione delle vibrazioni non funziona e senza cavalletto l’obiettivo non è utilizzabile. Cerco di fino in internet e arrivato a pagina 25 delle ricerche di Google noto un tizio che in un blog lamenta che le foto del suo e mio telezoom non sono granché nitide. È perplesso, perché anche lui sente il peso dell’entusiasmo generale dei recensori, di professione e di quelli che hanno fatto l’acquisto e l’hanno votato. Gran discussione tra gente che non ha la minima idea di come risolvere la faccenda e alla fine salta fuori che forse il produttore più o meno sa di questo genere di problemi, e che per questo sta aggiornando i firmware (cioè i software di gestione dell’obiettivo). O che bellezza, penso, scarico il software dal sito ufficiale, collego l’obiettivo al pc e il programma mi dice che il firmware è la Versione 1.0. E ci credo che non va, siamo quasi a una versione beta! Dài, evviva, carichiamo l’aggiornamento! L’aggiornamento non c’è, non esiste. C’è quello per la versione Sony e basta. E non solo, a parte gestire il firmware, il software ufficiale dovrebbe anche programmare diversi parametri dell’obiettivo, ma non lo fa, appena ci provi cade la connessione USB. Istallo il programma su un altro PC, uguale. Istallo la versione Android, il telefonino mi dice che sì, ha la sensazione che ci sia qualcosa di collegato alla porta USB, ma non sa dirmi che cosa sia e già che ci sono di stare attento ai virus. Lo stesso mi dice il tablet.

Ne ho piene le tasche, oltre tutto anni fa avevo già avuto problemi con un aggeggio che funzionava a metà perché mancava l’aggiornamento del firmware, l’aggiornamento non era mai arrivato e io avevo buttato via i soldi. Dico ad Amazon che gli rimando l’obiettivo e Amazon mi redarguisce: Chiama l’assistenza tecnica, prima!, sono cose difficili da maneggiare! Vista la mia esperienza, sono io l’assistenza tecnica, così prenoto senza indugio la restituzione. Tra tutto ho perso sei ore, e sono al punto di partenza. Per i miei soggetti fotografici difficilmente raggiungibili risolverò con un duplicatore di focale di fine anni Settanta sul teleobiettivo di metà anni Ottanta, potevo pensarci prima ma mi piace comprare cose nuove.

 

Senti scusa, ma tutti i vecchi obiettivi sono così buoni?
Non c’entra con l’argomento principale dell’articolo, ma rispondo volentieri a questa domanda. Dipende, in linea di massima la risposta è sì con lenti dai 50mm di focale in su: un obiettivo che uso volentieri per le foto di architettura è un Nikon Ai 55m Micro, che ti tirano dietro su eBay e in digitale funziona benissimo. Per i rari ritratti uso spesso un 135mm 3.5 nella versione del 1964 che produce bellissime immagini.
Per i grandangolari il discorso è diverso. Un obiettivo con cui per quarant’anni ho scattato migliaia di foto è un 20mm 2.8, una lente da sempre considerata una delle migliori di Nikon, e benché in effetti sia favolosa, il 20mm Nikon serie Z (cioè per mirrorless) lo batte con evidenza. Stesso discorso per il 24mm e il 28mm. Per il 18mm non ho modo di fare confronti, ma penso sia la stessa faccenda. Non so dire se il problema siano lenti e progetti migliori o il fatto che i grandangolari per reflex usano un sistema chiamato retrofocus, che inganna i raggi luminosi facendoli focalizzare più lontano da dove dovrebbero secondo la focale dell’obiettivo (altrimenti non potrebbero essere montati su una reflex), e la cosa implica una complicazione ottica.
Di seguito due dettagli di una ripresa fatta con i 20mm analogico e digitale Nikon.

 

Obiettivo Nikon 20mm AiS, metà anni Ottanta

 

Obiettivo Nikon 20mm serie S per sistema Nikon Z

 

La parte ingrandita per il confronto è indicata dal quadratino rosso


Sia chiaro, l’obiettivo analogico va benissimo se non si hanno esigenze particolari come le mie, fate ben mente locale sulla dimensione del dettaglio. Però non è migliore del digitale. Inoltre la differenza qualitativa è soprattutto agli angoli.

 

Lo sfuocato
Pensavo che il mio catalogo di parole e espressioni insopportabili fosse completo da tempo: vestaglia, panno lenci, sostenibile, ciabatte, vinello, “ci sta“, ecc. Ma ecco che da qualche anno una nuova parola, imprevedibile, quasi fatta apposta per infastidirmi mi colpisce regolarmente, ed è la stessa in tutte le lingue: bokeh. Credo derivi dal giapponese e vuol dire banalmente lo sfuocato.

A nessun fotografo è mai importato più di tanto delle parti fuori fuoco delle proprie immagini. Ovvio, se vuoi mettere in risalto un volto tieni aperto il diaframma e tutto quanto è attorno a quel volto è sfuocato, e questo vale per qualsiasi dettaglio che vada evidenziato soprattutto se si pone contro uno sfondo denso di elementi. Si può anche usare in altri pochi modi, è un elemento compositivo della ripresa così come la luce, le ombre, i contrasti, ecc., Da sempre tutti i fotografi sanno che alcuni obiettivi hanno uno sfuocato più gradevole, altri meno, ma a nessuno è mai importato un fico secco per il banalissimo motivo che si fotografa il soggetto, non ciò che non è il soggetto. Mica si sta lì a fare zen fotografico. Forse non sapendo più che cosa inventare per propagandare una lente piuttosto che un’altra i recensori sotto l’occhio benevolo dei produttori hanno messo in piedi tutta una filosofia dello sfuocato, bello, meno bello, geometricamente opinabile, gradevole, troppo invadente, sciapo, ecc., quanto ad aggettivi si va verso il livello delle critiche d’arte contemporanea.

E c’è il pezzo forte, gli obiettivi catadiottrici! Che sono teleobiettivi che usano specchi anziché lenti per trasmettere e ingrandire l’immagine (sì va bene, per ridurre l’angolo di campo di ripresa, va meglio?). È un sistema economico ed efficace, produce risultati non eccezionali ma che si possono usare. Ma, tragedia, le parti sfocate non sono solo confuse, ma riprodotte come confusi cerchi. Che gioia deve provare il recensore quando può sottolineare per la milionesima volta che eh be’, certo il bokeh dei catadiottrici è proprio brutto, eh insomma gli obiettivi a lenti eh be’, sono un’altra cosa. Nessuno fa una analisi concreta di quanta perdita di qualità il sistema a specchi introduca rispetto a un teleobiettivo a lenti: il commento immancabile è sì, manca un po’ di contrasto ma c’era da aspettarselo. Sai che me ne faccio di questo commento. E poi, perché lo sfuocato a cerchi è peggio di quello cosiddetto normale? Ma chi l’ha detto? L’idea che gli strumenti tecnologici debbano essere privi di identità mi ricorda quei copri telefoni di velluto rosso o verde pesantemente decorato che negli anni Sessanta cercavano di occultare appunto i telefoni in certe case piccolissimo borghesi: meglio le vette del Kitsch piuttosto che la semplice eleganza formale di un telefono.

Nel complesso è ammirevole e auspicabile che un argomento ignorato da sempre assuma nuova importanza nella considerazione delle persone. Pensiamo alle maniglie delle porte, per secoli le maniglie sono state solo maniglie, poi ci si è resi conto della potenzialità espressiva di quel fondamentale accessorio e attorno alle maniglie sono nate idee e intere aziende. Ma ben progettate, ben fatte e costose maniglie sono montate su porte di pari qualità: per farla breve, che importanza ha il bokeh se poi l’immagine è la solita anatra nello stagno? Prima fate foto eccezionali, poi parliamo dei dettagli, anche se poi ammirando la foto eccezionale a nessuno interessa più il bokeh. Ma ovviamente dissertare sul bokeh riempie righe su righe e accende discussioni nei commenti agli articoli.

In una recensione sui catadiottrici io vorrei vedere fianco a fianco diverse immagini dello stesso soggetto ottenute da catadiottrici vecchi, come il diffusissimo Tamron 500mm, e di attuale produzione anche cinese, assieme a immagini ottenute da obiettivi a lenti costosi e non costosi. Ma i blog non possono permettersi un tale impegno e forse nessuno è così autorevole da farsi prestare ventimila euro di obiettivi dai produttori. Una frase in particolare mi tira scemo: il contrasto (del catadiottrico) è basso, quindi la pur buona risoluzione viene penalizzata. Quindi? è qualcosa che si può sistemare con settaggi opportuni di Lightroom? Il danno non è sanabile? Boh.

 

Le recensioni su YouTube
Non ho mai capito la passione per le videorecensioni, comunque sia in campo audio e video vanno fortissimo. Amplificano a dismisura i difetti delle recensioni scritte prendendo venti volte tanto il tempo che serve a leggere un testo con gli stessi contenuti. Sottolineano cose assurde come l’ergonomicità della fotocamera (qualsiasi fotocamera è ergonomica), la consueta difficoltà di leggere il display sotto il sole di mezzogiorno a luglio, e se la fotocamera è particolarmente compatta state certi che a un certo punto il recensore dirà che i tasti d’impostazione o regolazione possono risultare troppo piccoli e quindi scomodi se avete mani grandi, o i guanti. Come quelli che nelle recensioni di automobili ti dicono che se sei alto due metri e dieci, il tettuccio dell’abitacolo può risultare un po’ basso.

Per allungare il brodo, nei video ci sono spesso scene turistiche, il recensore che cammina nell’ampia piazza, visioni dal drone del recensore che raggiunge il lago con le anatre, cose così. Oppure presentazioni che non finiscono mai con il recensore seduto al tavolo, e allora tiri avanti il cursore fin quando non vedi le anatre, almeno sai che lì c’è azione. Qualcuno fa prove comparative, soprattutto di videocamere, mettendo fianco a fianco due o quattro riprese da foto o videocamere diverse. Sono relativamente utili, quasi solo per il confronto dei sistemi di stabilizzazione, ma è difficile considerarle vere e proprie comparazioni. Se non avete niente da fare, le recensioni su YouTube sono spesso gradevoli, ma non ne ho mai trovata una davvero utile nel suo complesso. Non dimenticate nei commenti di ringraziare l’autore per il suo fondamentale aiuto.

 

Tutta questa tiritera per dirvi che:
1. è una iungla: troppi produttori agiscono con troppa leggerezza e le recensioni sono o scritte male o scritte da incompetenti che vogliono fare due soldi parlando di argomenti che tirano, o scritte da gente che ha preso dei soldi o un esemplare gratis dell’obiettivo recensito per farne propaganda positiva; tra parentesi, i siti con troppi banner e pop-up e insomma tanta pubblicità sono sempre da prendere con le pinze (avete mai notato che Giornale Pop non ha pubblicità?);
2. che alla fin fine la cosa migliore da fare è comprare cose di una marca di cui ci si fida da tempo e comprarle sulla fiducia nel marchio in un negozio fisico di cui ci si fida, lasciando perdere le recensioni online. Il bravo negoziante difficilmente ti consiglia che cosa comprare, però ti sconsiglia il prodotto che sa non ben riuscito. Se possibile sono anche da evitare i negozi online; per dire, alcuni anni fa ho preso una fotocamera ovviamente nuova su un rinomato negozio online solo tedesco, e mi è arrivata con su 5400 scatti. Ho potuto restituirla, ma anche lì ci ho perso ore e ore, e mi sono sentito offeso come cliente. Ken Rockwell, che è uno dei pochi che scrivono di fotografia con una sicura competenza e di cui mi fido (fino a un certo punto), quando recensisce qualcosa evidenzia se l’azienda produttrice sigilla la scatola, troppo facile rifilare un reso con una scatola che non sai se è stata già aperta, cosa che nei negozi fisici avviene più difficilmente. Il negozio fisico in linea di massima non ti permette di restituire l’oggetto se per caso ti accorgi che non era la cosa che volevi prendere; il grande negozio online se ne frega, riprende la fotocamera, la manda in centri dove la controllano sommariamente e la reimballano con materiale originale, e se poi la rifila a un nuovo cliente quel reso con un difetto non immediatamente visibile, pazienza, poi quello magari non se ne accorge. Va detto che aziende come Amazon alla fin fine ci perdono di più a riciclare i resi che a buttarli via o a venderli a peso, ma l’opinione pubblica ecosostenibile va accontentata. Però la piccola attività non può permettersi anche solo una recensione negativa e si spera che si comporti di conseguenza.
3. girovagare sui siti specializzati è utile per farsi un’idea di quello che c’è in giro, sono utili come infarinatura e basta; come per altre tecnologie del passato come i giradischi, troppa gente giovane non ha idea di che cosa sia un buon  prodotto e tende ad accontentarsi pensando di avere tra le mani dei gioielli. È normale, se lasci giù mille euro per un obiettivo vorrai parlarne bene anche contro qualche dubbio. Gli integralisti sono persone che non sopportano l’idea di essere stati bidonati.

 

Un vero sito di recensioni
Esistono ovviamente alcuni, buoni pochi siti di recensioni di materiale fotografico oltre a quello del Rockwell. Il migliore in assoluto, ma solo in riferimento alle ottiche Nikon per fotografia analogica è quello di Bjørn Rørslett, un fotografo di roba naturalistica. Il sito in verità non viene più aggiornato da parecchi anni, ma l’autore che nel frattempo è attivo sul blog a pagamento della Nikon, ha deciso di lasciarlo a disposizione. È un sito completamente basato sulla competenza e l’esperienza di Rørslett, che prende in considerazione praticamente tutte le ottiche analogiche Nikon e ne delinea in modo del tutto affidabile e con poche parole pregi e difetti: bastano dieci righe per dire tutto quello che c’è da dire di una lente. Se decidete di usare lenti analogiche sulla vostra Nikon (ma anche di altra marca se mirrorless) digitale fidatevi delle sue parole.

Un sito di recensioni interessante è Digital Photography Review, che assieme a un mare di pubblicità e di aria fritta propone un importante strumento di comparazione, permette cioè di mettere a confronto le immagini dello stesso soggetto scegliendo tra decine di fotocamere provate. È molto utile e mi è servito a arrivare a conclusioni ineluttabili sull’importanza del numero di pixel di una fotocamera. Può capitare di finire su un blog con un autore davvero capace e interessante, ma con le centinaia di prodotti fotografici in commercio che oltre tutto si rinnovano in continuazione, beccare una recensione utile proprio di quello che interessa è difficile. Volendo perdere qualche ora si possono distillare singole notizie utili dalle videorecensioni, ne vedi dieci per mettere assieme cinque o sei informazioni originali.

Piluccando qua e là si trovano misurazioni sul potere risolvente delle lenti, quelle sì sono importanti. Perché oltre i 24 megapixel il limite è l’obiettivo. Ci sono obiettivi analogici che se la cavano bene anche a 48 megapixel, altri recentissimi che non ce la fanno quanto a definizione. Quelle recensioni, necessariamente strumentali diventano allora importanti, ma al momento mi sembrano ancora poco sistematizzate.

Per finire, ho sempre avuto e usato Nikon, Hasselblad e un banco ottico Arca Swiss, e questi miei recenti acquisti cinesi / di marca generica mi hanno così infastidito che eviterò certamente ulteriori esperimenti da centro commerciale. In cinquantadue anni, Nikon non mi ha mai deluso, e ho una trentina di obiettivi e una decina di fotocamere tra analogiche e digitali (non sono così vecchio, ho solo cominciato da piccolo). Questo non toglie che ho bei ricordi anche di una Fujica con attacco a vite e delle prime Olympus, e anche delle Minox e Rollei a telemetro.

Questo articolo fa anche da introduzione al mio prossimo, più sugoso e dedicato al senso della fotografia digitale, senso che nessuno ha mai esplorato e considerato e spiegato, cosa che ho invece fatto io per voi.

 

(Testo e immagini Copyright ©  2024 Andrea Antonini, Berlino; riproduzione vietata).

 

 

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