Da sempre la grande passione della mia vita è la radio. Da bambino l’ascoltavo in ogni possibile occasione, soprattutto la notte sotto le coperte tenendo il volume bassissimo per non subire la censura dei genitori: negli anni Sessanta i piccoli andavano a letto alle nove, punto e basta. Mi affascinava e entusiasmava il fatto che da quello scatolino bianco della Braun potessero scaturire così tante storie e musiche, così tante informazioni che in buona parte per la mia età mi erano incomprensibili, ma che erano pur sempre informazioni e un qualche valore lo avevano sicuramente. Crescendo, verso i dieci anni cominciai a godere del linguaggio radiofonico in sé, le sigle, gli annunci, il tono, la struttura dei programmi, mi piacevano i buffi quiz come Il gambero e i grandi spettacoli come Gran varietà, ma mi infastidiva l’umorismo legato a una cultura che avrei poi scoperto romano-napoletana, così lontana dalla mia cultura di milanese imbruttito ante litteram.

L’estendersi dell’interesse ai fatti tecnici della radio, termine che per intenderci comprende qualsiasi tecnologia di telecomunicazione, fu un fatto naturale. A dieci anni ustionandomi a più non posso le dita con il mio primo saldatore, un Ersa 30 (ancora in produzione e che uso ancora, sebbene non lo stesso), e seguendo un progetto della rivista “Costruire diverte” (poi diventata “CQ Elettronica”), misi insieme il mio primo ricevitore, in onde medie. Era quasi sordo, con quei tre soli transistor, ma quello zio di cui ho raccontato su Giornale Pop mi svelò il trucco di usare attraverso un condensatore la rete elettrica come gigantesca antenna, e la radio divenne utilizzabile. Con buon senso mi proibì di ripetere l’esperimento senza la sua presenza.

Non ho poi fatto studi tecnici, come sarebbe stato forse ovvio, in fin dei conti a sedici anni curavo la manutenzione tecnica sia di bassa sia di alta frequenza di una radio commerciale (oltre ad avere un mio programma di buon successo), e a diciassette ero in grado di ricevere e stampare le immagini dei satelliti meteorologici americani in orbita polare, una faccenda per niente semplice, a ripensarci oggi. 

Ma bisogna pensare che ancora negli anni Settanta del Novecento il mondo italiano era diviso in due categorie più una: le élites culturali, cioè le persone che avevano fatto o dicevano di aver fatto il classico e si erano laureate in lettere, e il popolo di seconda scelta pur dotato di buona cultura, quello dei tecnici, dei fotografi, dei grafici, gente che aveva fatto l’istituto tecnico o, peggio, il liceo artistico, e che comprendeva per estensione in qualche modo anche gli ingegneri laureati che non si sapeva bene che mestiere facessero, ma che avendo a che fare con bulloni e cavi elettrici non erano comunque gente raccomandabile. Il figlio di buona famiglia, vera, sedicente o aspirante, non avrebbe mai potuto mischiarsi con la plebe tecnica. La terza categoria, gli elettrauto, i benzinai, i camerieri, per l’intellighènzia semplicemente non esistevano e per questo non godevano neppure del disprezzo dei filologi.

Appartenendo formalmente (molto formalmente) alle dette élites, è andata che non sono diventato un bravo ingegnere elettronico e per contro non mi sono neanche divertito niente a lavorare nel mondo supponente e arrogante della cultura umanistica.

Però dall’incontro tra passioni tecniche e visione storica del mondo ho sviluppato la capacità di vedere la tecnologia e la scienza con occhi inusuali, incuriosendomi delle vicende umane, delle casualità e delle apparenti assurdità che in pochi decenni hanno portato dai carretti a cavallo agli smartphone. Entusiasmandomi per l’introduzione definitiva di nuove circuitazioni come i PLL e di nuovi componenti come i LED. È la mia una posizione scomoda e imprecisa: gli ingegneri non capiscono che cosa trovi di così poetico in un cavo coassiale, i soliti umanisti si fanno vanto di non sapere neanche cambiare una lampadina e schifano i miei racconti.

Una buona spinta me l’hanno precocemente data i libri e le riviste anglosassoni spesso scritti da autori capaci di unire l’autobiografia all’empatia a una curiosità senza pregiudizi. I loro testi dedicati alle scoperte e evoluzioni tecniche, che siano quella del radar o dei coloranti artificiali, o alla storia dei laboratori Bell da cui sono usciti i transistor e per estensione i microchip, per fare degli esempi, sono sempre stati di buon livello e negli ultimi anni hanno raggiunto un buon livello di perfezione nel coinvolgere il lettore in argomenti che gli sarebbero altrimenti estranei. Nei primi anni Settanta il solito zio mi diede da leggere un libro divulgativo americano (tradotto in italiano) sulla meccanica quantistica, non ci capii molto ma quel poco mi servì più tardi come base.

Le poche persone che frequento non capiscono perché perda tempo e soldi a fotografare e studiare quei manufatti che a loro sembrano solo dei pali, per di più posti in luoghi scomodissimi da raggiungere, e se glielo spiego vedo scendere nei loro occhi il velo della noia.

Il fatto è che quando cominci a conoscere qualcosa, quel qualcosa soprattutto se intrinsecamente complesso diventa sempre più interessante in modo esponenziale. Penso però che per pressione sociale la maggior parte delle persone segua interessi stereotipati, in certo senso autorizzati. Non tutti, anni fa ho conosciuto una solitaria signora che colleziona isolatori elettrici, ne ha di meravigliosi e conosce la storia di ognuno. Sentirla raccontare storie di isolatori è entusiasmante, il suo gruppo di appassionati conta penso non più di venti persone. La sua foto ufficiale la vede in cima a una scala mentre svita isolatori da pali della luce dismessi.

Ho pensato che forse qualche lettore di Giornale POP troverà interessante qualcuno di quegli oggetti e quelle strutture e storie invisibili alla vita di tutti i giorni e per me così affascinanti. E questo dedicato alle antenne Blaw-Knox è il primo di una serie di articoli dedicati ai pali.

Fino alla nascita delle emittenti private, che usavano le frequenze attorno ai 100 MHz impropriamente identificate come banda FM, le radio erano soprattutto le radioline, quelle che i mariti in passeggiata domenicale tenevano attaccate all’orecchio per seguire la partita mentre la moglie chiacchierava con la suocera. Ricevevano in onde medie da circa 530 a 1600 kHz. Per una relazione con la velocità della luce, più è bassa la frequenza maggiori sono le dimensioni della relativa antenna, e le frequenze delle onde medie sono piuttosto basse. Ancora più basse sono le onde lunghe che quasi tutte le vecchie radio da tavolo e le autoradio avevano, ma a parte una lontanissima stazione in lingua francese e la sporadica presenza di lingue inidentificabili, su quelle frequenze non c’era niente di interessante. Sotto le onde lunghe ci sono le onde extralunghe (VLF, Very Low Frequencies), usate per emissioni tecniche come i segnali di tempo campione o per i collegamenti con i sommergibili in immersione. Sotto le onde extralunghe non c’è più niente.

Sulle onde medie, alla sera facevano improvvisamente la comparsa stazioni di altri Paesi, ed era stranamente accattivante seguire la telecronaca di una partita di calcio in una lingua completamente incomprensibile come il polacco, o i notiziari in spagnolo che si intuivano ripetere le stesse notizie sentite al telegiornale della Rai assieme a notizie probabilmente importantissime sul generalissimo Franco. Per fatti elettromagnetici, sparendo il sole, le onde medie hanno campo libero.

Come detto, le loro antenne di trasmissione erano grandi, anzi altissime. Settanta, cento metri e più. Poi con qualche artificio si potevano fare un po’ più corte, ma non di molto e comunque perdendo in efficienza. Spesso anche le potenze di trasmissione erano abnormi, Radio Monte Carlo, che in onde medie si poteva ricevere anche di giorno da Ventimiglia a Roma, utilizzava un trasmettitore da un milione di watt. Il bollettino tecnico dell’emittente sottolineava che l’acqua usata per raffreddare le gigantesche valvole di trasmissione, d’inverno era riciclata nei termosifoni dell’emittente.

Nei primi tempi della radio a inizio Novecento, le antenne per onde medie e lunghe erano costituite da cavi elettrici tesi da un alto traliccio all’altro distante qualche decina di metri.

 

Antenne per onde lunghe a Nauen, in Brandeburgo. Le antenne vere e proprie sono i cavi tesi tra i tralicci alti 266 metri. Il timbro postale di questa cartolina riporta l’anno 1913 (collezione dell’autore, foto fuori diritti).


Poi i tralicci metallici sono diventati essi stesse le antenne (che in occasione di questo articolo ho scoperto chiamarsi torri autoirradianti), ancorate a tiranti e poggianti su semisfere isolanti di porcellana, un materiale in grado di sopportare centinaia di tonnellate di pressione.

 

antenna onde lunghe di Lakihegy - Ungheria
La base dell’antenna per onde lunghe di Lakihegy, poco distante da Budapest, alta 350 metri (immagine copyright © Károly Teleki).


Le onde medie sono state ormai disattivate in quasi tutta Europa. È vero che la qualità audio del sistema di trasmissione utilizzato, la modulazione di ampiezza, non era granché rispetto a quello delle stazioni FM (modulazione di frequenza) e digitali, ed è anche vero che con pochissime e irrilevanti eccezioni non esistevano emittenti private in OM. Ma la dismissione degli impianti e l’abbattimento delle antenne non sono state una grande idea. I pochi ascoltatori e i costi di manutenzione relativamente alti degli impianti corroborati da ipotetici inquinamenti da radio frequenza hanno giustificato la decisione, dimenticando o facendo finta di dimenticare però che in situazioni di catastrofi naturali sia la rete internet sia le emittenti locali sono le prime forme di comunicazione a saltare, così legate a una forte alimentazione elettrica, mentre una singola stazione in onde medie anche a distanza dalla zona colpita può garantire il contatto con milioni di persone dotate di ricevitori da una decina di euro e alimentati a batteria. Si sarebbero potuti  conservare almeno alcuni impianti pronti per l’uso e invece via di dinamite.

I tralicci-antenne delle onde medie sono stati parte integrante dei panorami istituzionali delle città, come le scuole e gli uffici postali. Erano così importanti da essere presidiati giorno e notte dai carabinieri. A Milano si vedevano quelli di Rai Radio 1 e Radio 2 passando dalle parti di Siziano e si intravedeva quello di Radio 3 dietro via Antonini (sic!); svettavano su una collina sovrastante Bologna, stazionavano ai margini di Trento e di Brunico, erano centinaia, onnipresenti e ignorati. A Caltanissetta è sopravvissuto uno dei più alti tralicci radiofonici del mondo, costruito nel 1949, una volta disattivato è stato comperato e conservato dal Comune per la sua importanza etnoantropologica, non domandatemi che cosa voglia dire. In centri minori come Cortina d’Ampezzo, fino all’ultimo sono sopravvissute le antenne a filo dei primordi.

 

Antenna per onde lunghe di Caltanissetta (da Wikipedia, autore OppidumNissenae, riprodotta con licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported).


Ammetto che per un occhio laico, soprattutto in Europa i tralicci radiofonici sono (erano) un po’ tutti uguali, di altezza variabile, con sezioni sovrapposte a base triangolare o quadrata e tiranti agganciati a distanze regolari.

 

L’antenna per onde medie di Trento, abbattuta attorno al 2020 (foto dell’autore).


Ma tra le due guerre mondiali ha avuto notevole diffusione un altro tipo di traliccio, dotato di una fortissima personalità, di forma romboidale se osservato su un lato, e conosciuto in ambiente tecnico come Blaw-Knox, il nome della azienda che l’ha ideato alla fine degli anni Venti del Novecento. Per la sua bellezza e perfezione formale è tuttora il migliore simbolo grafico della comunicazione radiofonica. È una torre costituita da due piramidi a base quadrata contrapposte, ancorata al suolo da soli quattro (oppure 4+4) tiranti fissati a metà della sua altezza, come si può vedere in questa immagine dei due tralicci di Bisamberg, nei pressi di Vienna, costruiti nel 1933 e crollati nel 1945 per fatti di guerra.

 

Sender Bisamberg 1
Le antenne romboidali di Bisamberg (Vienna); da “Funkschau”, 29 gennaio 1933 (immagine fuori diritti).


Rispetto al traliccio di lato regolare con tiranti disposti lungo l’intera lunghezza, il Blaw-Knox presenta due vantaggi: necessita appunto di un solo set di tiranti fissati alle basi delle piramidi contrapposte, e può essere costruito in due fasi utilizzando la base della piramide inferiore come sorta di cantiere per quella superiore. 

Alla fine degli anni Trenta si dovette però costatare che questa antenna non garantiva comunque la migliore diffusione del segnale in onde medie perché ne proiettava una parte verso l’alto (lobo secondario), mentre invece su quelle frequenze viaggia per così dire rasente a terra, e per questo fu abbandonata per i nuovi impianti e via via rimpiazzata per i vecchi. Motivo per cui di torri Blaw-Knox ne sono rimaste pochissime al mondo, il numero esatto non è noto, penso non più di una trentina, e alcune sono protette dalle varie sovrintendenze per il loro valore storico.

Ecco la prima costruita in assoluto, nel 1932, della stazione radio Wsm di Nashville, ancora regolarmente in uso.

 

L’antenna in onde medie della stazione radio Wsm (da Wikipedia, autore Garrett A. Wollman licenza CC-by-sa-2.5).


In Europa esistono o dovrebbero esistere ancora cinque antenne di questo tipo, la più importante e bella delle quali è a Lakihegy, un paesino adiacente a Budapest. Per moltissimi anni utilizzata per la diffusione dei programmi radiofonici in onde lunghe (come già ricordato, una banda di frequenze appena sotto le onde medie), è alta 314 metri e non sarà abbattuta: con amor proprio sconosciuto alla maggior parte dei Paesi dell’Ovest europeo, da alcuni decenni è considerata monumento nazionale ungherese e come tale è intoccabile. Come in quasi tutto il mondo, anche in Ungheria i programmi in onde lunghe sono stati sospesi, ma l’impianto ha trovato nuova vita come telecomando: con una portata di 500 chilometri, il suo segnale viene per esempio usato per inviare il segnale di accensione e spegnimento dell’illuminazione stradale di grandi città (maggiori informazioni qui).

 

L’antenna per onde lunghe di Lakihegy, Budapest (foto dell’autore).


La visione ravvicinata delle viti di regolazione dei tiranti (che in questo caso sono due per lato, vista la mole) dà l’idea sia delle dimensioni sia della necessità di creare un equilibrio perfetto al decimo di millimetro per questa torre del peso che stimo in circa 300 tonnellate e che come abbiamo visto poggia su una superficie di pochi centimetri quadrati.

 

I tiranti dell’antenna per onde lunghe di Lakihegy (foto dell’autore).


Curiosamente, la torre della televisione di Bratislava, capitale della Slovacchia, è stata costruita nel 1975 seguendo la stessa forma a piramidi contrapposte, quasi certamente un richiamo simbolico alla forma delle antenne Blaw-Knox.

 


Ancor più curiosamente la sede della radiotelevisione slovacca, sempre a Bratislava, è un edificio a piramide invertita di metà anni Ottanta che piace pensare riprenda idealmente la metà inferiore della nostra antenna romboidale di cui certamente alcuni di voi si sono ormai invaghiti. Il palazzo, che scioccamente è stato compreso dal quotidiano “The Telegraph” tra i trenta più brutti del mondo, è in realtà bellissimo e rappresenta anche una delle poche libertà concesse dagli ultimi ideologi architettonici del socialismo reale tra anni Settanta e Ottanta: leggero acciaio al posto del solito calcestruzzo monumentale. Vale da solo il viaggio nella capitale slovacca, che tra l’altro è a pochissimi chilometri da Vienna.

 

La sede della radiotelevisione slovacca a Bratislava (foto dell’autore).


Le antenne sono in un certo senso degli adattatori, permettono al segnale generato da un trasmettitore di essere adattato a quello che un tempo si chiamava etere, e viceversa raccolgono quel segnale sparso nell’aria e lo consegnano a un ricevitore perché lo decodifichi, anzi lo riveli, per usare il termine tecnico, in musica, parole o dati. Sono strumenti tecnicamente interessanti nella loro varietà e certamente affascinanti, soprattutto per quelle generazioni vissute prima delle fibre ottiche, che per quanto geniali sono alla fin fine banali tubature nelle quali i segnali sono scomposti e mischiati tra loro in sequenze di numeri perdendo ogni identità personale. Nel mondo digitale non abbiamo mai a che fare con i suoni e le immagini originali, ma con le loro ricostruzioni più o meno approssimate create da computer, un fatto che da sempre mi inquieta non poco.

Una antenna collegata a un trasmettitore spento sta solo dormendo, una antenna scollegata è solo un pezzo di ferro, è il segnale che le dona la vita, così come l’anima all’essere umano.

Anche senza le considerazioni sulla loro utilità in caso di emergenze, le antenne principali delle grandi emittenti andrebbero (andavano) conservate, almeno alcune, e utilizzate, anche solo sporadicamente per rispetto e ricordo della loro funzione e degli uomini che le hanno progettate, costruite e usate. A nessuno passerebbe mai per la testa di abbattere un mulino del Cinquecento o sventrare una strada romana, ma i manufatti tecnologici, la vera storia umana degli ultimi secoli, sono trattati alla stregua di spazzatura. Le antenne trasmittenti sono distrutte facendo saltare i loro tiranti, crollano a terra tra gli applausi del popolino che pensa di divertirsi e applaude. 

Questa cartolina di un secolo fa raffigurante le due antenne romboidali dell’emittente di Bisamberg già proposta nella quinta immagine dà bene l’idea di quanto possa essere poetica una intelligente struttura metallica. Soprattutto pensando ai suoni e alle voci che da quella struttura raggiungevano esseri umani in ogni parte del mondo. Dal microfono al tuo cuore, si cantava allora…

 

Le antenne romboidali di Bisamberg (cartolina, timbro spedizione 1933, collezione dell’autore, immagine fuori diritti)

Per economia di scrittura raduno qui alcuni video che possono essere di triste interesse. Il primo riguarda l’abbattimento delle antenne in onde medie di Bari. Al minuto 3:30 l’ingegnere visibilmente commosso commenta che preferisce abbatterle lui, piuttosto che farlo fare da qualcuno “con totale disamore”.


Questo video documenta invece l’abbattimento delle antenne di Siziano, cioè di Milano. La sera qui a Berlino mi piaceva ascoltare in onde medie i notiziari notturni irradiati da Milano; il segnale per via della ricordata buona propagazione notturna era abbastanza buono da permettere di godersi anche la programmazione musicale. La radiolina sulla pancia sotto le coperte come cinquant’anni prima, per qualche mezz’ora mi riconciliava col Paese che ho abbandonato per sempre.


Qui vediamo lo spegnimento dell’ultimo trasmettitore in onde medie tedesco. È straziante.


Ringrazio Károly Teleki per l’immagine di apertura e quella della base dell’antenna di Lakihegy. Sul suo sito www.industrialheritagehungary.com trovate preziose ed esaurienti informazioni sia sull’impianto trasmittente citato sia su siti industriali ungheresi di grande interesse storico.


(Testo © 2024 Andrea Antonini Berlino. Immagini © 2024 Andrea Antonini salvo diversa indicazione in didascalia. L’immagine di apertura è la linea di alimentazione all’antenna di Lakihegy, copyright © Károly Teleki).

 

2 pensiero su “IL FASCINO DELLE ANTENNE BLAW-KNOX”
  1. Non sono un tecnico, ma mi sembra di ricordare che le onde medie e lunghe rimbalzano sugli strati ionizzati nell’alta atmosfera, quindi seguono la curvatura della Terra e arrivano molto lontano.
    Ai tempi della mia gioventù la Grundig vendeva un apparecchio specializzato nel captare le stazioni più lontane, e si chiamava Satellit.

    1. ai tuoi tempi quindi anche ai miei; la Grundig ha prodotto vari modelli di Satellit, funzionava piuttosto bene anche se era un plasticone tipico della produzione consumer tedesca; chi era danaroso passava direttamente alla americana Zenith Transoceanic, molto più piccola e sostanzialmente migliore; chi aveva tanti, ma davvero tanti soldi prendeva una radio per onde corte Sony, tpicamente la CRF-230 (220) e l’inarrivabile CRF-320; questo per le radio per l’ascolto casuale, sennò si passava ai ricevitori da tavolo delle varie Yaesu, Kenwood (Trio), ecc.;
      le onde medie si propagano principalmente per onda di terra, procedono cioè come viandanti sul terreno finché non sono sfinite e si attenuano del tutto; di loro approfitterebbero ben volentieri dei poteri riflettenti della ionosfera per andare più lontano, ma il sole ionizza sfavorevolemente uno strato inferiore a quello “buono”, che invece cannibalizza il segnale;
      se da un lato la propagazione notturna è un fatto positivo per gli ascoltatori, dall’altro è una grana per le emittenti, che possono essere disturbate da altre stazioni distanti ma sulla stessa frequenza; per questo motivo soprattutto negli Stati Uniti dove le onde medie sono ancora diffusissime, le autorità impongono un drastico abbassamento della potenza durante le ore notturne;
      la riflessione ionosferica in verità non segue la curvatura della Terra: agendo da specchio fa rimbalzare il segnale a grandi distanze, soprattutto in onde corte, ma tra l’emittente e il rimbalzo esiste una ampia zona d’ombra nel quale il segnale è assente;

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