Tre film con Edwige Fenech segnano la consacrazione del ruolo della poliziotta versione sexy-comico, diretti da Michele Massimo Tarantini, subito dopo che la bella francoalgerina aveva fatto la pretora (in un doppio ruolo) con Lucio Fulci. Produttore del ciclo è Luciano Martino.

Il primo film è La poliziotta fa carriera (1976), sequel apocrifo del capostipite alto: La poliziotta (1974) di Steno, interpretato da Mariangela Melato. Tarantini sceneggia il film insieme a Francesco Milizia e Marino Onorati, un buon esperimento di commedia sexy che però non ha la forza dell’originale. Nel film di Steno la parte erotica era modesta, si limitava a un tentativo di approccio tra Oreste Lionello e Mariangela Melato, durante il quale l’attrice milanese mostrava appena le lunghe gambe fasciate da calze autoreggenti.
La stessa Edwige Fenech diceva: “Questo lavoro non va assolutamente considerato il seguito de La poliziotta con Mariangela Melato. Quel film aveva intenti sociali che qui mancano del tutto. La Melato era una donna che aveva problemi con la società, io invece sono una poliziotta sul piano comico. Ne faccio di tutti i colori, sbaglio tutto, provoco un macello, ma alla fine colpisco il cattivo. Questo è il primo film comico alla Harold Lloyd con una protagonista femminile. Recito vestitissima e la comicità è più nel dialogo che nelle situazioni. Mi è stato chiesto di recitare, non di spogliarmi, in definitiva. Segno questo della mia evidente evoluzione” (Michele Giordano “La commedia erotica italiana” – Gremese, 2002).
La valutazione della Fenech è veritiera, dobbiamo dire che nel film recita bene una parte comica che la vede a fianco di attori interessanti della commedia scollacciata. Il paragone con La poliziotta di Steno risulterebbe ingeneroso, perché si tratta di opere troppo diverse. La poliziotta è una parodia impegnata, al femminile, dei poliziotteschi che proprio Steno aveva lanciato con La polizia ringrazia (1972) e si propone di fare un discorso sociale. Tarantini con La poliziotta fa carriera vuole soltanto far sorridere utilizzando gli schemi consolidati della commedia sexy.

La sigla del film è un pessimo cartoon erotico disegnato in modo infantile, mentre la pellicola comincia con un primissimo piano sulle cosce di Edwige Fenech che sfoggia mutandine di pizzo e body nero. Falso allarme, in ogni caso, perché il film è molto castigato ed entra subito in argomento con Gianna che vuole far di tutto per arruolarsi in polizia, pure se il padre (l’ottimo Gianfranco Mulè) è contrario.
Le parti sexy sono poche. Il medico Pambieri tenta con ogni mezzo di palpare Gianna, il fidanzato Gammino al cinema pare avere “più mani della dea Kalì” per toccarla, come dice la poliziotta, mentre il ragazzo si giustifica: “La mano della legge ti protegge”. Infine poche sbirciate sotto le gonne e una sequenza dove la Fenech mostra le tette.

Edwige è Gianna Amicucci (la Melato si chiamava Gianna Abbastanza), poliziotta pasticciona doppiata in romanesco, Mario Carotenuto è il burbero commissario di polizia (nel film con la Melato era il capo dei vigili) e Alvaro Vitali il poliziotto imbranato collega di Gianna (Alvaro Tarallo e non Cavallo come dice Marco Giusti su Stracult) che viene massacrato di insulti e botte dal comandante.
Vitali era presente pure nel film di Steno, doppiato e in una parte anonima, invece nei tre film di Tarantini diventa co-protagonista, la sua caratteristica fondamentale è quella di far funzionare tutti i congegni meccanici che si inceppano.
Ci sono anche Michele Gammino (il fidanzato pugliese di Gianna, pure lui poliziotto), Giuseppe Pambieri (il medico che la circuisce), Francesco Mulè (il padre che fa il portinaio), Gigi Ballista (è il questore mentre nel primo film faceva l’avvocato), Riccardo Garrone (lo spacciatore Borotalco), Gianfranco D’Angelo (un breve cammeo), Nello Pazzafini (protettore delle prostitute) e Jimmy il Fenomeno (cantante rock molto trash).

La trama è inutile riassumerla perché si tratta di un collage di situazioni comico-erotiche basate sul doppio senso. Divertente è la parte in cui la poliziotta viene addestrata al lavoro e l’istruttrice elenca una serie di offese ricorrenti. Quando tocca alla Fenech le dice: “Sottosviluppata!”. Risposta molto consapevole delle sue doti: “Me se po’ di’ tutto meno che quello!”.
La neopoliziotta si dimostra subito pasticciona, combinandone di tutti i colori: fa esplodere bombe a mano, morde avversarie di karatè e non sa rispondere a facili domande durante l’esame. “Chi fa le leggi?”, le chiedono. “Il padrino… il padrone della Fiat…”, risponde lei che non sa raccogliere i suggerimenti. Per fortuna è raccomandata dal questore Gigi Ballista.

Una delle poche occasioni per mostrare Edwige Fenech seminuda è la vestizione da poliziotta, dove Tarantini ci fa vedere il seno e un po’ di cosce. Da un punto di vista squisitamente sexy aveva fatto di meglio con La liceale interpretato da Gloria Guida.
Le malefatte di Gianna continuano anche dopo arruolata, visto che si presenta al comandante Carotenuto (ottimo come sempre) sfasciandogli l’auto e multandolo per divieto di sosta. Subito dopo mette nei guai un onorevole (Gianfranco D’Angelo in un breve cammeo) che aveva lasciato l’auto posteggiata dove non voleva farla scoprire.

Un leitmotiv del film è il fidanzato che cerca di avere rapporti con Gianna ma non ci riesce, perché la bella poliziotta ha deciso di concedersi solo dopo il matrimonio. Gammino è bravo e divertente a recitare una parte da poliziotto imbranato che si esprime in un pugliese a tratti incomprensibile. In una scena molto trash Gammino dialoga pure con la televisione e minaccia l’annunciatrice di romperle il canale, lei si impaurisce e lui spenge la televisione.
La Fenech non si lascia spogliare dal fidanzato, anche perché vede un tipo sospetto sul tetto e lo insegue, infine si accorge che era soltanto uno che cerava di recuperare un pappagallo scappato.

Gianna cade dal tetto a causa del maldestro fidanzato e finisce in ospedale dove il medico guardone Pambieri le pratica con grande piacere un’iniezione. Uno dei doppi sensi ricorrenti della pellicola è proprio quello dell’uccello, che va preso, che è scappato fuori e via di questo passo.
Un’altra avventura di Gianna la vede alle prese con il problema di una ragazza madre alla quale riporta il figlio, poi si traveste da prostituta, si mette a battere agli ordini di Nello Pazzafini, scopre un giro di droga e compie una retata di spacciatori che si erano radunati in una villa.

Gianna si esibisce anche in una parte comica a base di cazzottoni e colpi di kung-fu alla Bud Spencer e Terence Hill che diventerà una costante in queste pellicole. La bella poliziotta si libera di alcuni delinquenti intenzionati a violentarla ed è la prima scena che ci presenta la Fenech nelle vesti di superpicchiatrice.
La parte in cui Gianna si traveste da prostituta è molto divertente, non poteva mancare l’incontro con il gelosissimo fidanzato che decide di andare a puttane e finisce per scegliere lei.
Anche la scena dove viene ingaggiata per “sverginare” un omosessuale è molto comica e subito vediamo lo stesso gay che insidia Alvaro Vitali durante l’arresto.

Un’altra sequenza maliziosa vede Edwige Fenech gettarsi da un tetto mentre i giornalisti la fotografano in mutande rosse per pubblicare lo scatto in prima pagina su tutti i quotidiani. Dopo lo scandalo, Gianna viene relegata a incarichi sedentari.
Riportiamo un discreto scambio di battute. Gianna: “No, io a sedere sto male”. Carotenuto: “No, tu a sedere stai bene, dai retta a me…”. Ballista: “Per me come la mettiamo la mettiamo sta sempre bene”. L’allusione alle doti fisiche della poliziotta è evidente.

Gianna torna alla caccia dell’uccello scappato e quando il padrone grida “L’uccello mio!”, lei risponde: “Un giorno o l’altro lo prendo l’uccello tuo! Te lo prometto”. Molto trash, se si vuole.
Rincorrendo l’uccello, finisce che Gianna scopre lo spacciatore Borotalco dopo un interminabile inseguimento che sembra ironizzare sul poliziottesco.
Da ricordare un fumettistico Vitali che guida la macchina con i piedi, la carambola finale delle auto, il mega incidente che porta all’arresto di Borotalco e alcuni poliziotti che finiscono ingessati.

 

Gianna viene premiata per il servizio reso, nelle sequenze finali tutti le guardano le cosce e persino un cardinale fa commenti sulla sua bellezza. Il fidanzato è geloso all’ennesima potenza e cerca di coprirla come meglio può. Il finale è molto trash con il tema portante della caccia all’uccello.
Citiamo qualche dialogo. Non se ne può fare a meno. Gianna: “Mamma mia, c’è l’uccello di fuori!”. E ancora: “E no, l’uccello lo prendo io… l’ho preso”. La poliziotta si getta nel mucchio e lo cattura. Gianna stringe in alto il pappagallo tra le mani. Alvaro Vitali, intanto, ha perso tutti i denti per via di una caduta. “Tanto ha fatto che l’uccello l’ha preso in mano”, concludono i colleghi.

Con questo film Edwige Fenech dimostra di essere anche un’attrice comica e di sapersi adattare alle gag di attori come Alvaro Vitali e Gianfranco D’Angelo. In futuro la vedremo sempre più utilizzata a fianco di Lino Banfi, che pare il suo comico prediletto.
Si può dire che il ciclo de La poliziotta segna l’inizio della crisi della commedia scollacciata, che poco a poco diventa sempre più commedia e sempre meno scollacciata.
La fine della commedia sexy è decretata dalla televisione, che contribuisce a uccidere tutti i generi cinematografici, soprattutto l’erotico-trash basato sul voyeurismo. Le televisioni private cominciano a inondare i teleschermi di culi e tette e la curiosità egli spettatori viene soddisfatta.

Un buon ritorno alla commedia erotica per Edwige Fenech è La dottoressa del distretto militare (1976) di Nando Cicero, pellicola che inaugura la serie interminabile delle dottoresse. Infatti dopo il film di Cicero con la Fenech sono in molti a provare di dire qualcosa di nuovo sul tema delle sexy dottoresse di corsia.
Ricordiamone alcuni tra i tanti. La dottoressa sotto il lenzuolo (1976) di Gianni Martucci, con la dottoressa Karin Schubert e (soprattutto) Orchidea De Santis come sexy infermiera. La dottoressa ci sta col colonnello (1980) di Tarantini, con Nadia Cassini e il suo sedere mitico, che chiama Lino Banfi coglionello per tutto il film. La dottoressa preferisce i mariani (1981), sempre di Tarantini, che prova a lanciare un’anonima Sabrina Siani, fino a quel momento volto simbolo del peplum e del cinema avventuroso.
In queste pellicole, pure nel ciclo della soldatessa che vedrà impegnata la Fenech, il cliché è identico agli erotici scolastici, solo che al posto della scuola abbiamo il distretto militare o una guarnigione di arrapatissimi soldati, con le battute e situazioni che ne conseguono.

La dottoressa del distretto militare vede interpreti: Edwige Fenech, Alfredo Pea, Alvaro Vitali, Gianfranco D’Angelo, Mario Carotenuto, Carlo Delle Piane, Grazia Di Marzà, Alfonso Thomas, Nino Terzo, Renzo Ozzano, Tom Felleghi, Franca Scagnetti, Guerrino Crivello e Jimmy il Fenomeno.
La sceneggiatura è del regista insieme a Francesco Milizia e Marino Onorati. Produttore il solito Luciano Martino.

La trama è una scusa per mostrare le grazie di Edwige Fenech, che in ogni caso lo fa con parsimonia. Si parte con un postino del distretto (Ozzano), che se ne va in moto per le strade di Roma a consegnare le cartoline precetto alle future reclute.
Cicero si scatena da par suo inventandosi la gag del cieco, che scambia la biglietteria del tram per un vespasiano, ma è da citare anche il militare che paragona il pelo di una bella ragazza alla barba di Fidel Castro.

Durante la consegna delle cartoline precetto, il militare ne combina di tutti i colori, infine arriva anche da Gianni (Pea). Lui fa la bella vita all’Hotel Hilton e ha messo su un giro di accompagnatrici straniere con la complicità dell’amico Nicola (Thomas), parrucchiere per cani. Gianni, sconvolto dall’idea di dover fare il soldato, cerca ogni pretesto per marcare visita.

Nella parte iniziale citiamo una scena che rasenta il porno, con protagoniste due anonime figuranti (una mulatta e una svedese) che prima si fanno praticare clisteri da Gianni, poi cominciano ad amoreggiare. Gianni inventa il trucco della macchia nei polmoni per essere ricoverato all’ospedale militare del distretto.
La scena della visita di leva è una delle parti più trash di tutto il film: vediamo sfilare una serie di sederi nudi davanti a dottori disincantati che ascoltano le simulazioni dei peggiori malanni. Erano cose che accadevano davvero nell’Italia degli anni settanta, pure se in misura meno eccessiva di quel che mostra Cicero. Adesso che la leva obbligatoria è stata abolita questo film è un documento storico del periodo.

Al distretto incontriamo Pappalardo (Vitali), che mangia pagine di giornale per farsi venire l’ulcera e inghiotte pure una zampa di gallina.
Divertente la corsia dell’ospedale capitanata dall’infermiere Nino Terzo, che parla nel suo tipico modo aspirato e dal dottor Frustalupi (D’Angelo), cattivissimo e inflessibile. D’Angelo recita la solita parte a base di risatine stile nazista pazzo ed eccessi mimici, ma diverte nella caratterizzazione di un dottore a caccia di simulatori.
Durante la visita in corsia uno dei degenti non ne può più della sua arroganza e lo aggredisce mordendolo a un orecchio. Per questo Frustalupi si deve far sostituire da Elena (Fenech), assistente e futura moglie, che al distretto tenta di fare il medico ma comprende che i degenti vogliono solo evitare il servizio militare.

Frustalupi manda avanti una casa di cura privata per vecchietti danarosi che sfrutta e tratta malissimo, organizzando anche un traffico illegale di attrezzature mediche con una ditta americana. Molto bravo Mario Carotenuto, nei panni del colonnello Farina, pure lui un simulatore che cerca di ottenere la pensione di invalidità per causa di servizio. Il colonnello non crede nell’esercito, sta dalla parte dei soldati, a un certo punto protegge Gianni e lo fa restare al distretto perché utile come traduttore.
Fa parte del cast Jimmy il Fenomeno, un’improbabile suora che ramazza il pavimento e intona preghiere.

Edwige Fenech che visita in corsia è uno spettacolo per gli occhi degli allupatissimi militari, che non la perdono di vista un solo istante. Inutile dire che Gianni si innamora della dottoressa facendola diventare protagonista di sogni erotici, le parti più sexy del film.
La prima sequenza onirica vede Gianni nelle vesti di dottore mentre visita una Fenech vestita di bianco, la spoglia lentamente, la fa restare a seno nudo, le tocca le parti intime, infine si fa pagare cento milioni per fare l’amore con lei.
Peccato che sul più bello Gianni si sveglia e la Fenech torna a essere l’irraggiungibile dottoressa di corsia.

Da citare pure la scena di Alvaro Vitali che aspira un uovo con il sedere e lo deposita in una catinella. L’uovo si rompe a causa dell’arrivo improvviso dell’infermiere. “Fai le uova rotte?”, chiede Nino Terzo. “Per forza, c’ho l’ulcera”, risponde Vitali.
Carlo Delle Piane caratterizza bene la figura dell’analista appassionato di teatro e annoiato del lavoro.
Gianni fa cadere il sangue nelle urine pure se l’esame lo fa davanti al medico, ma la Fenech non cade nel trucco e per smascherarlo minaccia di operarlo.

Seconda parte onirica con Gianni che sogna di operare la dottoressa per un’unghia incarnita. Nel sogno la Fenech ci sta sempre, il soldato la fa denudare, sino a scoprirle il seno e il lato b.
Al risveglio la dottoressa gli fa capire di averlo smascherato. Gianni non si arrende e prova a scambiare le sue lastre con quelle di un soldato riformato perché privo di testicoli. La dottoressa pare convinta, prova pena per il ragazzo, ma quando gli chiede di spogliarsi si rende conto di essere stata presa in giro ancora una volta.

Un’altra parte interessante vede Alvaro Vitali masturbarsi con il filo della calza di un’infermiera, ma la cosa non finisce bene.
La sequenza dove Nino Terzo lava i piedi di Vitali e gratta quattro centimetri di sporco per farlo riformare è irresistibile. L’acqua è nerissima. Terzo: “Da quanto tempo non ti lavavi i piedi?”. Vitali: “Perché, si lavano?”.

Edwige Fenech diventa volgare da quanto è stressata da un ambiente dove tutti la vogliono fregare. Carotenuto mostra le lastre e chiede: “Dove gliele metto?”. Risposta della dottoressa: “Se le appenda al culo!”.
Gianni si finge ragazzo padre, spaccia un ragazzino per suo figlio, la dottoressa si intenerisce ma alla fine capisce il trucco.
Intanto il colonnello e il medico Frustalupi architettano la truffa delle attrezzature sanitarie con la ditta americana. Frustalupi promette la famosa pensione di invalidità in cambio del via libera all’affare. Era il periodo dello scandalo Lockeed, Cicero fa pure critica sociale (ridendo castigat mores!). Gianni organizza al colonnello una serata all’Hilton, ma le cose vanno male perché il militare finisce nella camera di una mostruosa donnona di nome Addolorata.

Lieto fine tra la Fenech e Pea, che fanno l’amore sul lettino della sala operatoria sotto gli sguardi esterrefatti del colonnello, del fidanzato cornuto e degli affaristi americani. Una breve scena erotica che mostra abbastanza e che è pure piuttosto sensuale. “La rianimazione da noi la facciamo ancora con metodi artigianali”, confida un imbarazzato medico agli acquirenti americani.
Il finale è comico-trash con Gianni spedito in Sardegna a fare il militare, dove incontra Alvaro Vitali. Quest’ultimo si è sposato con una donna che sembra molto bella, ma che al momento di urinare si scopre fornita di attributi maschili. Pea: “Ma come hai fatto?”. Vitali: “Sulle prime è stata dura, poi mi sono abituato”. Vitali cammina con fatica…

Non vi fidate della trama raccontata da Marco Giusti su Stracult, perché come spesso accade non è affidabile. Se il critico ha visto il film forse lo ricorda male o lo confonde con altre pellicole. A Mereghetti il film non è piaciuto e lo ritiene una delle più deboli tra le commedie sexy del periodo d’oro, che si limita ad accumulare in maniera meccanica momenti più volgari che comici.
Secondo noi è piacevole e divertente e le parti grottesche sono la sua vera forza. Tutti ricordiamo Vitali che aspira l’uovo con il sedere, la recluta Delle Piane che beve l’urina al posto del tè, l’infermiere che lava diversi centimetri di sudicio dai piedi di Vitali per farlo riformare, Jimmy il Fenomeno truccato da suora e via dicendo.
Una scena cult è quella della visita medica dove arriva di tutto: dai soldati senza palle ai super dotati. La Fenech si mostra nuda soltanto nei sogni di Pea, che si materializzano alla grande.
Per Marco Giusti il film è addirittura un capolavoro del genere, ma senza arrivare a tanto si può senza dubbio definire un lavoro divertente che conserva ancora tutta la sua freschezza.

 

 

Taxi Girl (1977) di Michele Massimo Tarantini per alcuni è riconducibile al filone delle poliziotte, ma non è così perché qui la Fenech è Marcella, una tassista che per caso si trova a indagare su un giro di droga. In comune con i film de La poliziotta ci sono solo l’origine romana della protagonista e una serie di comprimari come Alvaro Vitali.

Uscito un anno dopo Taxi Driver (1976) di Martin Scorsese con Robert De Niro, non ha niente a che spartire con quel film, se non una voluta assonanza nel titolo. Il film è scritto da Francesco Milizia e da Luciano Martino, ed è sceneggiato dal regista in collaborazione con lo stesso Milizia. La fotografia è di Giancarlo Ferrando, il montaggio di Raimondo Crociani e le scenografie sono di Francesco Calabrese. Produce immancabilmente Luciano Martino per Dania Film e lo distribuisce Titanus.

Da poco è uscita in dvd una pregevole edizione della pellicola realizzata con un nuovo transfer digitale del negativo originale (formato cinematografico 2.35 ottimizzato 16X9). Vale la pena comprarla solo per ascoltare il pregevole audio commentario del regista Michele Massimo Tarantini (che non aveva mai visto prima il film) e del critico cinematografico Franco Grattarola. Ci sono tante curiosità da scoprire e l’appassionato può rivedere anche il trailer originale del 1977.

La Fenech ritrova George Hilton, attore con cui aveva girato tanti thriller erotici. Impersona Marcella, affascinante tassista che dà la caccia a un contrabbandiere di stupefacenti (Maccione). Il film è inquadrabile come pochade da avanspettacolo e presenta poche incursioni nel sexy, segno che il periodo d’oro del cinema scollacciato è ormai alla frutta.
Marcella ha un fidanzato sposato (Hilton), un attore di fotoromanzi bello ma senza una lira che si fa mantenere da una moglie brutta e gelosa (De Lorenzo).

Fa parte del cast pure Michele Gammino, uno spasimante poliziotto che vuole sposare la tassista e che durante una cena dai suoi genitori tenta di convincere tutti che le donne non debbano lavorare e che il suo stipendio è sufficiente per mantenere una famiglia. La Fenech risponde versando una zuppiera colma di pasta in brodo sulla testa del compagno maschilista. La storia è surreale, non ha una vera e propria trama.

C’è chi ha definito il film una sorta di Hellzapoppin (1941) all’italiana, che ricorda il cinema dei fratelli Marx senza né capo e né coda, ma a suo modo godibile. Taxi Girl prende in giro il poliziottesco serio che cita a piene mani con il personaggio di Gianfranco D’Angelo, poliziotto innamorato di Tomas Milian che sogna di entrare nella Squadra antiscippo (1976).
A un certo punto c’è pure un film nel film con Gastone Pescucci regista di un poliziottesco che viene rovinato da Edwige Fenech durante una finta rapina in banca.

La trovata del film interrotto torna pure nelle sequenze finali girate alla De Paolis, quando la polizia fa irruzione sul set scambiando un figurante per un vero bandito.
Una delle sequenze più erotiche della pellicola, prima dei titoli di testa, ha come protagonisti George Hilton, valido attore uruguayano poco utilizzato nella commedia sexy, ed Edwige Fenech. Il rapporto sessuale tra i due si svolge dentro la Fiat 124 gialla della tassista, ma viene interrotto dalla bruttissima moglie impersonata da Rossana Di Lorenzo, che spara alcuni colpi di fucile.

Hilton è molto bravo, recita con un buffo accento sudamericano che spesso finisce per diventare veneto. La sua mimica è notevole, la presenza pure, risulta ottimo nelle parti comiche, così come era bravo nel western e nel giallo a tinte erotiche. Hilton e la Fenech hanno fatto coppia sul set per diversi film diretti da Luciano Martino, che restano una delle cose migliori interpretate dalla bella attrice franco-algerina.

Hilton è un attore che viene davvero dai fotoromanzi (come il regista Tarantini) e noi lo ricordiamo con nostalgia nei western di Giuliano Carnimeo e nel fulciano Tempo di massacro (1966).
La Fenech, doppiata in romanesco, è l’unica donna che lavora in mezzo a tanti colleghi uomini, tra i quali spicca Alvaro Vitali (nella finzione si chiama Gigante). I tempi sono diversi da La Poliziotta e qui la Fenech è accettata senza problemi dai tassisti uomini, il femminismo ormai ha fatto breccia.

La location da cui partono i tassisti è la stupenda Piazza Navona, niente di più azzeccato per esportare l’immagine di Roma all’estero. Citiamo anche la colonna sonora Taxi taxi girl, che passa durante i titoli di testa e accompagna alcune scene della pellicola, mentre la Fenech scappa verso Piazza Navona e guida il taxi con le tette al vento.

La parte iniziale del film ricorda molto La liceale (1976), con Gloria Guida, perché anche qui Tarantini insiste sui particolari anatomici della stupenda attrice. Ma Taxi girl, di un anno successivo, abbandona il taglio erotico-malizioso per un erotismo più votato al comico.

Enzo Liberti e Adriana Facchetti sono i genitori di Marcella, lui la voleva tassista, ma la madre avrebbe preferito un lavoro come commessa. Liberti recita bene per tutto il film, ma rifiuta di partecipare al finale che reputa indecoroso (un girotondo surreale).
Gastone Pescucci è un bravo finto regista toscano di poliziotteschi, interrotto per ben due volte nel suo lavoro dalla Fenech e dalla polizia.
Enzo Cannavale è un divertente e bonario commissario di polizia che gioca al lotto i numeri abbinati a quel che succede.

Sono evidenti per tutta la pellicola le prese di giro del poliziottesco. tanto per dirne una il finto film che gira Pescucci si intitola: “La delinquenza imperversa, la polizia non ne può più”. La Fenech, per spiegare il tipo di film che per sbaglio ha interrotto, dice: “Roma trema, Frascati piagne, Viterbo si sente male… capito er genere?”.
Il film racconta la vita quotidiana a bordo di un taxi risultando volutamente frammentario e scollegato, pure se possiamo trovare un’unità strutturale nella bravura comica di attori come Vitali e D’Angelo, per tacere di gente come Gammino e Fenech, che comunque fanno la loro parte.

Ci sono scene spericolate recitate da controfigure e da squadre acrobatiche, Edwige Fenech spesso guida a velocità folle, sorpassa sulla striscia continua e la polizia la insegue.
Michele Gammino e Gianfranco D’Angelo sono una coppia comica formidabile, il primo dei due si innamora della Fenech e la vorrebbe sposare, l’altro ha la fissa del poliziottesco, pensa sempre a Tomas Milian, Fabio Testi e Charles Bronson.
Durante una scena in cui fa una delle tante figure barbine si becca un romanesco: “Testi sì… ma de cazzo!”.

Dante Cleri è bravo nella caratterizzazione di un cliente che se la fa sotto durante una corsa in auto. Aldo Maccione è il boss della mafia Adone Adonis, corriere della droga. Mentre Giacomo Rizzo è il suo aiutante mezzo sordo che capisce sempre fiaschi per fischi.
Il regista Tarantini e il critico Franco Grattarola nell’audio commentario citato dicono che Maccione ha un gesso e zoppica per tutto il film perché in quel periodo aveva problemi fisici a una gamba.
La Fenech entra in contatto con i due mafiosi perché un giorno li carica sul taxi e fa fare una pessima figura alla polizia quando pensa che Maccione nasconda la droga nel gesso.

Interessanti sequenze comiche, di una comicità visiva e fisica, sono quelle della pompa da benzina in faccia ad Alvaro Vitali e quella della bottiglia di birra vuota che diventa piena non appena il comico romano se la rovescia in testa. Citiamo pure Hilton quando finge di avvelenarsi per amore della Fenech, che lo molla in mezzo ai comunisti vestito da fascista (recitava un fotoromanzo sul duce) e le prende di santa ragione.

D’Angelo è protagonista di alcune gag da avanspettacolo piuttosto dovertenti, come la moto che gli schizza via da sotto il sedere e lui dice: “Faccio come Roma a mano armata, vado a casa e me fo ‘na passeggiata”. Si tratta di una pochade, più che di una commedia: il senso della storia ha poca importanza, quel che conta è la comicità.
Divertente e surreale anche lo sketch delle cinquanta mogli di uno sceicco che Edwige Fenech carica sulla Fiat 124 e poi la proposta dell’arabo di comprare la bella tassista.

Nuova parte sexy con la Fenech che si esibisce in uno strip e si veste da orientale, non ci sono buchi della serratura e neppure docce, ma il gusto voyeuristico è evidente perché il servo dello sceicco la spia. La Fenech mostra il sedere e il seno, si veste da orientale e si esibisce nella danza del ventre, pure se lo fa con l’aiuto di una controfigura.
Da notare che l’arabo Abdulla Allà (Franco Diogene) è doppiato come Oliver Hardy.

Altra parte interessante vede Hilton e la Fenech in un locale da ballo che danzano un improbabile tango figurato, mentre il geloso Gammino si vendica a suon di multe. La scena successiva mette in gioco ancora la moglie di Hilton, che lo prende a ceffoni perché lui si porta la Fenech a casa credendola fuori per qualche giorno.

Proseguendo nel raccontare alcuni sketch gustosi, ricordiamo Edwige Fenech che imita Marlyn Monroe facendo l’oca giuliva in un night club. La Fenech, truccata con una parrucca bionda e con un vestito verde che pare Babbo Natale (parole del regista), si esibisce in uno strip tease davanti agli esterrefatti Maccione e Rizzo.
Lo spogliarello è abbastanza erotico e la bella attrice mostra il seno e sfila le calze lentamente senza alcuna remora, ma il lato sensuale è stemperato dalla comicità degli sguardi dei due attori.

A casa del boss, sia Maccione sia Rizzo ci provano con la Fenech, ma in modo così maldestro che la tassista se la dà a gambe dopo aver messo k.o. il braccio destro del mafioso.
Da citare Rizzo ubriaco che ammira il sedere della Fenech e gli chiede: “Perché non parli?”. In queste sequenze e per buona parte del film dobbiamo dire che l’attrice franco-algerina recita davvero da protagonista comica, non è solo una bella presenza.

Si va vanti a suon di follie. Vitali orina sopra un poliziotto e il malcapitato pensa che piova. La Fenech spara a Maccione con una pistola ad acqua. Hilton viene messo sotto dalla moglie gelosa. Un poliziotto esegue l’ordine di Cannavale, “Spara alle gomme!”, mirando alle gomme da masticare… e via di questo passo.

Il lungo inseguimento finale è una satira continua del poliziottesco, c’è addirittura D’Angelo che finisce sul cartellone di Squadra antiscippo e prende il posto della testa di Tomas Milian.
La sequenza del gatto nero con polizia e delinquenti che si cedono il passo, perché sono superstiziosi, è un altro momento comico delirante da quanto è surreale.

La telecronaca che dal commissariato viene fatta dell’inseguimento ricorda Adriano De Zan al Giro d’Italia in televisione.
Il taxi della Fenech si divide in due e poi si ricompone, inseguitori e inseguiti entrano alla De Paolis e poi pure alla Elios in un set western portandosi dietro il Settimo Cavalleggeri, insomma termina tutto nel caos più completo.
Tanto che l’unico finale possibile è quella del girotondo surreale che conclude una pochade in piena regola.

Tutti i protagonisti (meno l’indignato Liberti) sono sulla scena e cantano per mano “O che bel castello, marcondirondirondello…”. Nella pochade c’era la bagarre e qui abbiamo l’inseguimento caotico, alla fine tutti i personaggi devono essere sulla scena. Il finale surreale ricorda La poliziotta, nella pellicola sono molte le scene ispirate a una comicità dell’assurdo, veri film nel film e parti fumettistiche che vedono Gammino diventare una sorta di Mister Fantastic e D’Angelo volare dentro i cartelloni.
Una comicità alla Mel Brooks, come ha detto qualcuno più importante di noi (Piero Mereghetti), il quale considera Taxi Girl uno dei migliori film interpretati dalla Fenech e uno dei prodotti più geniali usciti dalla fantasia di Tarantini e di Francesco Milizia.

Il film è infarcito di pubblicità indiretta: Cynar, San Pellegrino, Fernet Branca, Vidal, J&B, Cinzano, Muratti e chi più ne ha più ne metta. Davvero troppa!
In ogni caso c’è molto ritmo, i personaggi comici sono azzeccati e nessuno è fuori ruolo, il film è divertente e non scade mai nel volgare, tanto che pure Mereghetti gli ha dato due stelle e mezza.

Edwige Fenech si spoglia poco, lo fa sempre con ironia, è di una bellezza solare e matura che è pure molto naturale. Tarantini dice: “La Fenech era davvero molto brava, sempre attenta alle scene, faceva tutti i controtempi anche sullo sfondo, era una donna intelligente e naturalmente portata a fare l’attrice. Tra l’altro in questo film è molto sexy ma pure molto ironica e dà il meglio di sé come attrice comica”.

Ricordiamo gli interpreti: Edwige Fenech, Aldo Maccione, George Hilton, Enzo Cannavale, Michele Gammino, Gianfranco D’Angelo, Alvaro Vitali, Giacomo Rizzo, Rossana Di Lorenzo, Gastone Pescucci, Adriana Facchetti, Enzo Liberti e Franco Diogene.
Luciano Martino, il produttore del film, era pure compagno della Fenech e la voleva lanciare come vera attrice comica limitando le sue parti sexy.
Sceneggiatore è lo stesso Tarantini insieme a Francesco Milizia, un ferroviere in pensione che sfornava una sceneggiatura dietro l’altra: tra gli autori più geniali di questo tipo di cinema.

Edwige Fenech torna a rivestire i panni della poliziotta nel film La poliziotta della squadra del buoncostume (1979) di Michele Massimo Tarantini, scritto e sceneggiato dal regista insieme a Francesco Milizia e Marino Onorati. Il produttore è Luciano Martino.

Insieme alla Fenech per questa terza avventura della poliziotta (seconda per la nostra attrice) ci sono Alvaro Vitali, Lino Banfi, Marzio C. Honorato, Gianfranco Barra, Sal Borgese, Giacomo Rizzo, Franco Diogene e altri caratteristi compreso l’immancabile Jimmy il Fenomeno. Non c’è più Mario Carotenuto nei panni del commissario.

Lino Banfi è l’irresistibile commissario Scappavia, che se la deve vedere con l’appuntato Tarallo interpretato da Alvaro Vitali. Divertente l’attacco del film con Banfi che va a puttane e viene arrestato da Vitali e dalla Fenech in missione speciale.
La bella attrice franco-algerina replica una parte già recitata in passato e si traveste da mignotta bionda con un abito rosso fuoco munito di generosi spacchi anteriori. Il giorno dopo i due poliziotti vengono a sapere che Banfi è il nuovo commissario e va da sé che Vitali rimedia la solita razione di sputi e scappellotti.

Banfi s’invaghisce della Fenech: per tutto il film lo vediamo a caccia del suo sedere e i suoi occhi cadono sempre nelle scollature aperte o tra le pieghe della gonna. Il fidanzato della poliziotta non è più Michele Gammino, la parte è affidata al meno efficace Marzio Honorato, che in ogni caso con Gianna va sempre in bianco.
La poliziotta decide di smascherare un traffico di prostitute conteso tra il boss francese Pierre La Turaine (Sal Borgese) e l’italo americano Joe Maccarone (Franco Diogene). La Fenech vuole convincere il commissario Nardecchia (Barra) che può entrare nella squadra buoncostume e per far questo si fa assumere come cantante nel night di Maccarone.

Il filo conduttore del film consiste nella ricerca della madre del piccolo Armandino che Gianna affida alle cure del fidanzato. Alla fine si scopre che la madre del piccolo è una prostituta del giro di Maccarone.
Il film si regge soprattutto sulle trovate comiche del duo Banfi – Vitali, che sono irresistibili quando si travestono da donne e fanno eccitare due uomini del boss. Uno dei banditi è il mostruoso Jimmy il Fenomeno, che recita la solita caratterizzazione da schizofrenico.

Va ricordata l’assurda telefonata di Vitali alla polizia per denunciare un evaso (che poi era lo stesso Banfi): rispondono prima Barra e poi Banfi, che sono a due metri da Vitali e dopo qualche gag tutto finisce tra sputi e grida. Classica scena da commediaccia desunta dall’avanspettacolo.
Una gag che proviene dalla altre Poliziotte è quella della Fenech che urta l’auto del commissario e fa venire il carro attrezzi per portarla via da un divieto di sosta.

La fantasia degli sceneggiatori scarseggia perché già la Melato aveva fatto una cosa simile nel film capostipite del genere, come pure la Fenech nella sua prima interpretazione.
Molto sfruttata è anche la gag di Vitali che fa funzionare tutti gli oggetti elettronici, mentre a Banfi non riesce mai niente. La situazione però è utile per far recitare a ruota libera i due comici, che si abbandonano a parti davvero esilaranti con Banfi che dice frasi in pugliese come: “Niente di mele, le pere…” (“Niente di male, le pare…”).
Una scena comica è anche quella con Vitali che spruzza l’inchiostro sulla camicia del commissario e dopo riesce a smacchiarla, non si sa come.

Una vera e propria trama è difficile raccontarla, perché la struttura del film è quella tipica della pochade condita di alcuni numeri da avanspettacolo e di tanta comicità surreale.
La parte terminale come consuetudine è caratterizzata dalla bagarre con inseguimenti senza né capo e né coda, parti assurdi di coppie che fanno l’amore in barca e si ritrovano in piazza, Vitali catturato da un pescatore e lanciato per aria, poliziotti che si tuffano in acqua e restano piantati per terra, comicità pura da avanspettacolo e da cartoon.
La sequenza finale mostra addirittura una bomba che scoppia in mano a Lino Banfi e pare desunta da un cartone animato della Warner Brothers.

Edwige Fenech è doppiata in romanesco, ha i capelli rossi tagliati corti e veste quasi sempre con la divisa da poliziotta, a parte quando si traveste da mignotta o da spogliarellista.
A un certo punto improvvisa anche uno strip e si toglie un elegante vestito scollato per restare con slip neri e seno nudo.
Si tratta di un episodio che ha poco a che vedere con il resto del film, inserito per dare una lezione a un marito traditore e salvare il matrimonio di una donna che le aveva chiesto protezione. L’amante mena il marito fedifrago e scappa via perché crede che la Fenech sia una sua rivale.

Una bella parte sexy la troviamo al night del boss, quando la Fenech cerca di farsi assumere e i due banditi (Giacomo Rizzo e Franco Diogene) le ordinano di far vedere le cosce. La sexy poliziotta tira su la gonna lentamente sino a mostrare gli slip neri. Niente male.
Nelle scene successive la Fenech potrebbe fare a meno di cantare (non ha voce) la pessima Pornography, ma l’esempio Gloria Guida (più dotata come cantante) aveva fatto scuola.
In ogni caso le due sequenze che la mostrano sul palco del night sono da ricordare per una mise molto sexy che prevede un costume tigrato scosciatissimo e munito di un audace perizoma.

Questa parte del night, condita in salsa diversa, tornerà ne La poliziotta a New York, ultimo atto di una stanca serie. Sono numerose le sequenze al commissariato con le cosce delle Fenech che escono fuori dalla divisa quando meno ci si aspetta ed è divertente vedere Banfi e Vitali che allungano la vista stralunati.
Va citata l’immancabile doccia della Fenech, che in questo film è davvero indimenticabile perché più lunga e più spinta del solito. Rizzo e Diogene si alternano al buco della serratura, mentre la Fenech si insapona con calma seno, cosce, glutei e la macchina da presa indugia sul suo corpo sino a mostrare un nudo integrale.

La Fenech cor pelo de fori, come dicevano a Roma, non era cosa troppo usuale. Di sicuro questo film è il più spinto del ciclo della Poliziotta, pure se l’erotismo è stemperato da parti di assoluta comicità. Non si tratta di un film erotico, lo definirei ammiccante. La storia è divertente, si ride parecchio, soprattutto l’attrice franco-algerina conferma di saper recitare e di essere adatta a rivestire ruoli brillanti.
Docce e spogliarelli non mancano, però non sono l’unica cosa del film.

 

Nel 1981 Michele Massimo Tarantini dirige Edwige Fenech ne La poliziotta a New York, ultimo episodio della fortunata serie. Il film è scritto dal produttore Luciano Martino e da Francesco Milizia, sceneggiatori sono lo stesso Milizia, Alberto Silvestri e Franco Verucci.

Edwige Fenech fa due parti, quella di Gianna la poliziotta e di Pupa la svampita. Alvaro Vitali è l’irresistibile appuntato Antonio Tarallo, ma anche il bandito Joe Dodiciomicidi. Renzo Montagnani è MacCaron, agente dell’Fbi, e Aldo Maccione il perfido criminale Big John.
Altri interpreti sono Jacques Stany, Enzo Andronico, Edith Peters, Fidel N’Banga Bauna, Ennio Antonelli e Giacomo Rizzo.

L’idea più originale del film è quella dello sdoppiamento dei personaggi principali che consente di giocare diverse carte di comicità. La Fenech già aveva recitato un doppio ruolo convincente ne La pretora, sotto la guida di Lucio Fulci. In questo film è l’integerrima poliziotta Gianna, combina guai per eccellenza, ma al tempo stesso fa la svampita pupa del gangster.

Alvaro Vitali è l’appuntato Tarallo, ma anche un divertente e scalcagnato boss italo-americano. La storia vede protagonista l’agente MacCaron (Montagnani) che sostituisce, l’amante del boss (Fenech) e il suo braccio destro (Vitali) con due sosia trovati nella polizia italiana.
Il piano non pare eccelso, ma la fortuna aiuta la poliziotta Gianna e l’agente Tarallo a catturare anche il pericoloso Turco (Rizzo).

Citiamo solo qualche scena comica piuttosto divertente, perché la trama è davvero esile e banale.
“Questa deve venire dal Culorado”, è la battuta iniziale di Montagnani mentre ammira il sedere di Edwige Fenech vorrere per le strade di New York fasciata da una sexy tuta gialla.
La storia procede con il solito gioco degli equivoci messi in scena da Tarallo e da Gianna, due casinari per eccellenza.

Enzo Andronico allena Gianna a parlare il siciliano, lingua utilizzata da Pupa, così Tarallo viene addestrato da Montagnani a dire poche parole in inglese.
Il film è girato a New York, la produzione italo-francese è piuttosto ricca, tanto che si poteva fare di meglio, il problema era che più dei soldi mancavano le idee.
La storia entra nel vivo quando i due poliziotti riescono a prendere il posto di Pupa e di Dodiciomicidi. La domestica nera Mami se ne accorge subito e si mette dalla loro parte, Big John ha qualche sospetto ma Gianna lo raggira a dovere e cerca di non andare a letto con lui.

In tutto il primo tempo si vede solo un seno nudo di Edwige Fenech e assistiamo a una palpata sul lato b da parte di Aldo Maccione. Niente di più.
Alvaro Vitali nel frattempo si deve liberare di un nero gay che era l’amante del vero Dodiciomicidi. La lotta tra le due bande è per via del traffico di droga, i nostri eroi cercano di avere la meglio sul Turco e su Big John che si fanno una guerra spietata.
La banda del Turco (Rizzo) ha la caratteristica comica che tutti tartagliano, in onore del capo balbuziente.

Il film è fiacco, pure Renzo Montagnani e Aldo Maccione naufragano in una trama risibile e prevedibile, così come Alvaro Vitali e la Fenech non riescono a ricreare il clima di ilarità trash del primo prodotto della serie.
Ne viene fuori un lavoro indefinibile, troppo serio per far parte della commedia sexy, troppo mal fatto per essere commedia d’autore. Un pessimo lavoro in odor di televisione, visti i tempi che stanno cambiando.
Montagnani non riesce a risollevare una comicità che finisce quasi sempre tra ceffoni ad Alvaro Vitali e noiosissimi inseguimenti.

Il secondo tempo della pellicola è la parte peggiore e rasenta davvero il ridicolo. Gianna chiama il bandito “Turcazzo mio” e lo solletica a dovere nei suoi appetiti sessuali, tanto da incastrarlo in una resa dei conti finale a bordo di un aereo.
Citiamo la parte trash di Montagnani e Vitali travestiti da indiani, che se ne vanno a giro per New York in bicicletta. Montagnani indossa un copricapo da indiano, maschera da sub, corna giganti da alce e dice a Vitali: “Fai l’indifferente”. Inevitabile la risposta: “Faccio l’indiano”.

Piuttosto di cattivo gusto la sequenza dove un passante orina addosso ai due malcapitati. “L’America è un grande paese”, dice Montagnani. “E allora proprio qui dovevano venire a pisciare!”, ribatte Vitali.
Parti sexy ce ne sono poche. Vitali tocca il culo alla Fenech e rimedia un ceffone. “Di sicuro è lei. L’ho riconosciuta da come mena!”. Poi becca un altro schiaffo perché cerca un rollino fotografico nella scollatura della poliziotta.

La Fenech incastra sia il Turco che Big John a bordo di un aereo che conduce maldestramente in picchiata dove l’attende il commissario McCaron.
Il finale è confusionario, con Vitali che usa i piedi per aumentare la velocità dell’auto e diventa altissimo.
Sono da salvare gli spettacolari montaggi e gli scontri tra auto durante un inseguimento che ricorda i tempi del poliziottesco.

Quando i banditi catturati vengono costretti da Montagnani a gridare “Viva la polizia!”, la comica è completa. Si tocca il fondo con il gay nero che insegue Vitali. Il comico manda tutti a quel paese e dice: “So’ meglio de Mazinga! C’ho le lame perforanti!”.
Edwige Fenech chiude la pellicola commentando: “Adesso, sarà tutto merito suo… meno male che le bugia c’hanno le gambe corte!”. No comment.

Per Mereghetti si tratta di una stanca appendice della commedia sexy, la storia è prevedibile e sconclusionata, la Fenech non si spoglia nemmeno per una doccia e la comicità e solo puerile.
Non è difficile concordare che la serie della poliziotta era ormai giunta al capolinea e che i veri film della Fenech appartenevano a un altro periodo storico.

 

La commedia scollacciata non esiste più, Edwige Fenech vorrebbe fare altro, ma finisce per ricoprire ruoli che non soddisfano il suo pubblico.
Non basta evitare di spogliarsi per qualificare un film ottimo, ma in questo periodo Edwige Fenech sceglie i copioni solo in base a quella scriminante.
Peccato.

 

Gordiano Lupi, autore dell’articolo, ha scritto “Storia della commedia sexy” in due volumi, Sensoinverso Edizioni

 

 

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