72 anni ben portati.

Tanti ne sono trascorsi da quando, nel 1952, debuttò nelle sale cinematografiche Don Camillo, destinato a diventare uno dei film più visti di sempre non solo in Italia, ma anche in Francia, Germania e molti altri Paesi ancora.

Tratto dalla raccolta di racconti “Mondo Piccolo, Don Camillo” che il giornalista e scrittore Giovannino Guareschi diede alle stampe nel 1948, narra della bonaria e sempre esilarante rivalità che, in un immaginario paesino della Bassa emiliana del secondo dopoguerra, a pochi passi dal Po, vide contrapposti due coetanei amici-nemici.

Don Camillo

A contendersi le simpatie dei compaesani si confrontavano, da un lato, Don Camillo, esuberante parroco dalle scarpe grosse, ma dal cervello fino e dalla battuta pronta, dall’altro Giuseppe “Peppone” Bottazzi, umanissimo sindaco tanto comunista da voler chiamare Lenin Libero il suo ultimogenito.

I due protagonisti, impersonati rispettivamente dagli indimenticabili Fernandel e Gino Cervi, fra litigi, riconciliazioni e colpi di scena di ogni genere, fra i quali la contrastata storia d’amore, in stile Montecchi e Capuleti, di due giovani appartenenti a famiglie di tendenze politiche opposte, un crocifisso parlante, la costruzione di una Casa del Popolo e la visita di S.E. il Vescovo, tengono ancora incollati allo schermo gli spettatori di ogni età, con le loro irresistibili gag anche se già viste e riviste.

Eppure, quando il film fu girato nel 1951, la rivalità fra Democrazia Cristiana e Partito Comunista era tanto aspra e sentita che non si trovò nessun regista italiano disposto a dirigerlo, tanto che la casa produttrice Cineriz dovette affidare l’incarico al francese Julien Duvivier.

Quest’ultimo, per fare da sfondo alle avventure di Don Camillo e Peppone, scelse il paese di Brescello perché, fra tanti, era l’unico che vedeva affacciarsi sulla piazza principale tanto la chiesa parrocchiale quanto il municipio, elementi necessari alla buona riuscita del film.

Giovannino Guareschi volle essere personalmente presente sul set per tutta la durata delle riprese, alloggiando in casa del vero parroco del tempo, Don Alberici.

Nella chiesa di Brescello si può ancora ammirare il crocifisso “parlante” impiegato durante la registrazione del film.

Scolpito in legno di cirmolo dall’artista Emilio Bianchini, su progetto dello scenografo Bruno Avesani, contava cinque facce intercambiabili atte a far mutare l’espressione del Cristo, a seconda delle esigenze delle diverse scene.

Sull’onda dell’enorme successo della prima pellicola, fra il 1953 e il 1965 ne furono girate altre quattro, per un totale dunque di cinque.

Una sesta, Don Camillo e i giovani d’oggi, rimase incompiuta nel 1970 quando, a poche settimane dall’inizio delle riprese, si scoprì che Fernandel era affetto da un male in fase terminale che non gli consentì di completare le riprese, portandolo alla tomba a pochi mesi di distanza.

Proprio per rispetto di Don Camillo-Fernandel, il buon Peppone-Gino Cervi si rifiutò di terminare il film con un attore diverso dall’amico di sempre, perché di Don Camillo ce ne poteva essere uno soltanto, gli altri erano “fuffa”.

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