La giovane surfista Nancy va in una spiaggia nei pressi di Tijuana, fotografata dalla madre anni prima e sconosciuta ai più. Rimasta sola in mezzo al mare, la ragazza si trova a dover affrontare un feroce squalo bianco.

“Paradise Beach – Dentro l’incubo” (The Shallows) è solo uno degli ultimi arrivati tra gli innumerevoli film appartenenti al genere “creature acquatiche letali”. Creature che possono appartenere a varie specie. Tutte o quasi sono state portate sul grande schermo per terrorizzare gli spettatori. Senza contare i vari ibridi, mutanti e alieni vari, a cominciare dal non meglio specificato umanoide anfibio protagonista di “Il mostro della laguna nera” (Creature from the Black Lagoon), diretto nel 1954 dal grande Jack Arnold.

Nel caso di Paradise Beach siamo in presenza di un gigantesco squalo bianco, animale che ormai fa storia a sé: a partire dal 1975, anno dell’inarrivabile capolavoro firmato Steven Spielberg (tratto dal romanzo di Peter Benchley, non dimentichiamolo), sono state realizzate decine di pellicole sul predatore marino per eccellenza e i suoi parenti più prossimi. Con variazioni, negli ultimi anni, che ormai sfociano nel grottesco.

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Il film del catalano Jaume Collet-Serra è, al contrario, un’operazione tutto sommato dignitosa dal punto di vista produttivo, che ricorda il discreto Open Water, diretto nel 2003 da Chris Kentis. Realizzato con una certa cura (anche se gli effetti digitali in alcune scene lasciano un po’ a desiderare) e senza eccedere in trovate spettacolari fini a se stesse o trucchi splatter ormai stantii, ha però il difetto di non riuscire a fare dello squalo un vero e proprio personaggio in grado di rubare la scena alla giovane donna, Nancy, che si trova sola e assediata in mezzo al mare.

Nei migliori titoli del genere lo scontro uomo-animale non si appiattisce in un semplice meccanismo vittima-predatore, ma assume valenza metaforica che, qui, resta inespressa. Blake Lively si danna l’anima per rendere (anche psicologicamente) credibile la sua eroina, ma il regista non riesce a trovare un equilibrio e un amalgama tra le sue gesta, troppo preponderanti, e gli attacchi dell’animale (uno avviene addirittura messo in scena fuori campo, visto attraverso il volto terrorizzato della ragazza), che crediamo risultino oltretutto ben poco spaventosi anche per lo spettatore meno avvezzo. Questo a causa di una serie di digressioni che non giovano alla suspense.

Paradise-Beach
Comprese le questioni familiari che turbano Nancy (tra cui l’elaborazione di un lutto), con dialoghi che Collet-Serra ci propina attraverso dettagli dello smartphone, risolti con terribili finestre che si aprono nell’inquadratura. E a proposito di aggeggi tecnologici: tra gli altri personaggi del film (oltre a un gabbiano di cui Nancy si prende cura), c’è una videocamera che non solo registra lo squalo in azione ma che (spoiler!), alla fine, salva la vita alla donna. In un film targato Sony-Columbia, è il minimo che possa accadere.

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