Dario Argento è l’indiscusso padre dell’horror moderno italiano, che riesce a prendere il meglio del cinema nero di Mario Bava e a fonderlo, in una miscela di macabro e di giallo, per dare origine al thriller all’italiana. Gira alcuni horror soprannaturali, ma è nel thriller contaminato da elementi orrifici che lascia la sua firma di autore.
Ci ricorda un assassino in guanti neri (il regista interpreta la parte del killer), inafferrabile, che uccide nei modi più impensati ed efferati. Un’altra caratteristica del suo modo di narrare è il punto di vista soggettivo dell’assassino che mette sempre lo spettatore dalla parte di Caino, come se stesse leggendo un romanzo scritto in prima persona dal serial killer.

Dario Argento è un regista surrealista, crea un’estetica della morte e del delitto seguendo la lezione di Mario Bava e Alfred Hitchcock, ma tracciando una strada originale. È un caposcuola, che ha il solo demerito di non aver saputo creare una factory, forse per eccessivo individualismo, anche se registi interessanti come Michele Soavi, Lamberto Bava e Luigi Cozzi gli devono molto.
uccelloArgento comincia la sua carriera come critico cinematografico e sceneggiatore, collabora con Sergio Leone e Giuseppe Patroni Griffi, quindi debutta alla regia con L’uccello dalle piume di cristallo (1970), un thriller campione d’incassi solo grazie al passaparola che segna la nuova strada del giallo all’italiana.
Non siamo ancora nel campo dell’horror, ma il giallo è ricco di elementi macabri che vanno dall’inafferrabile assassino in nero ai paurosi delitti fotografati con dovizia di particolari. Argento dimostra grande abilità tecnica nell’uso di ralenti e soggettive, riprende i luoghi alternando esterni a interni e ambienta bene la storia. Il film mette in primo piano una figura di killer con impermeabile nero, guanti e cappello, divenuta un topos.
La soggettiva dell’assassino è un elemento dello stile di Argento che deriva da Mario Bava. Altri elementi argentiani sono: le telefonate del maniaco, i rantoli, i sospiri, la caratterizzazione macabra di chi uccide in modo efferato usando coltelli e rasoi. Sei donne per l’assassino (1964) di Mario Bava è la prima pellicola che porta certe cose sul grande schermo, ma Argento è un ottimo allievo e detta le fondamenta di un genere.
cat9tails2Il gatto a nove code (1971) bissa il successo di pubblico del primo thriller, anche se la critica colta non comprende Argento, come non aveva capito Bava. Non è horror neppure questo film, ma abbiamo un assassino che uccide per colpa di un’anomalia genetica e ci sono alcune sequenze ambientate in una cripta che ricordano i vecchi film gotici.
Il film è scritto da Dardano Sacchetti e musicato da Ennio Morricone, vive di grandi momenti di tensione e di numerose soggettive dell’assassino. Argento si conferma mirabile confezionatore di omicidi, un vero genio nell’arte di riprendere la morte. L’estetica dell’assassinio sarà uno dei suo marchi d’autore, così come l’inadeguatezza dei dialoghi e la carente direzione degli attori sarà uno dei difetti costanti. Il gatto a nove code del titolo, altro non è che la matassa ingarbugliata che gli investigatori devono dipanare.
four_flies_on_grey_velvet_ff6Quattro mosche di velluto grigio (1971) è il terzo thriller zoologico che conferma una moda seguita pedissequamente da molti registi, ma questa volta sono presenti elementi horror più marcati. L’horror è insito nel modo di rappresentare la realtà più che nella storia, nella tensione narrativa, nella presenza incombente di un assassino inquietante che si muove in notturni tenebrosi. Quattro mosche di velluto grigio è un film leggendario per la sua introvabilità: è passato in televisione nel 1991 e ci sono voluti anni per rivederlo sui canali di Sky (nel 2009).
La musica di Ennio Morricone rende il film ancora più suggestivo e confeziona la cornice giusta per un soggetto interessante, scritto dal regista insieme a Luigi Cozzi e Mario Foglietti. La pellicola è ricca di invenzioni visive nuove, come il cuore pulsante che campeggia nei titoli di testa, ma soprattutto presenta i giocattoli per bambini in funzione horror. La maschera dell’assassino – che verrà scoperto grazie al medaglione con le quattro mosche di velluto grigio – è un pupazzo infantile.
Le parti oniriche sono un elemento importante del film, perché il protagonista sogna sempre un’esecuzione araba con una testa tagliata dalla scimitarra. Nel finale si comprende che il sogno è un’anticipazione di quella che sarà la fine dell’assassino, decapitato da una lamiera dopo un incidente d’auto.
Il film è ricco di elementi fantastici, non ultimo quello della retina che resta impressionata da un’immagine al momento della morte, unico elemento che consente di individuare il killer. Numerosi gli elementi da thriller horror, come la sequenza nel parco introdotta da una musica per bambini e le esecuzioni feroci realizzate dal killer.
La tensione è stemperata da elementi comici impersonati da Bud Spencer e Oreste Lionello, ma anche dalla presenza di Jeanne-Pierre Marielle nei panni di un investigatore gay. Mimsy Farmer è una killer psicopatica ossessionata dal ricordo del padre, che si rivela solo nell’ultima scena ma prima uccide tutti coloro che si avvicinano alla verità. Michael Brandon è un ottimo protagonista nei panni di un batterista che ha sposato una donna molto ricca e si sente perseguitato da strane presenze. Il killer è sua moglie, ma lui non lo sa.

La trilogia thriller lancia Dario Argento come nome nuovo del cinema italiano, apprezzato da un pubblico giovane a caccia di emozioni forti.

Le cinque giornate (1973) è un film storico interpretato da Adriano Celentano ed Enzo Cerusico e rappresenta un momento di pausa rispetto al filone principale.
Nel 1973 anche la televisione italiana si accorge di Argento e gli affida una serie di quattro telefilm intitolati La porta sul buio: Il tram e Testimone oculare sono due episodi che Argento dirige in prima persona, mentre le altre due storie servono a far debuttare i collaboratori Lamberto Bava e Luigi Cozzi.
maxresdefaultProfondo rosso (1975) è il suo film più importante, il lavoro indimenticabile che ne decreta il successo imperituro. Non siamo ancora nell’horror puro, ma in una cornice gialla classica, contaminata da penetranti elementi macabri. La parte orrifica prende il sopravvento sin dalle prime scene in un teatro, che vedono la sensitiva Helga Ullman (Macha Meril) avvertire la presenza in sala di un omicida e quindi finire massacrata nel camerino. Marcus Daly, un pianista inglese (David Hemmings) indaga insieme alla giornalista Gianna Brezzi (Daria Nicolodi) ed entrambi vengono coinvolti in una spirale interminabile di omicidi. Profondo rosso è un film talmente noto che pare inutile raccontare la trama, anche perché sono stati scritti saggi ponderosi e approfonditi sulla pellicola.
Fa da spartiacque tra il thriller puro e l’horror e segna la nuova strada di Dario Argento, sempre più in preda alla sua fantasia macabra e visionaria. L’elemento paranormale è sempre presente, così come incontriamo ambientazioni gotiche e momenti surreali scanditi da apparizioni di pupazzi meccanici. L’estetica dell’omicidio viene perfezionata secondo la lezione di Maria Bava, ma da ora in avanti sarà presa a modello anche da autori statunitensi come John Carpenter e Rick Rosenthal nella saga Halloween (1978 – 81).
Il merito della sceneggiatura ricca di suspense va diviso tra il regista e Bernardino Zapponi che inseriscono in una storia gialla elementi macabri e momenti di puro terrore. Funziona tutto, persino la colonna sonora dei Goblin che ha fatto epoca, ma – se proprio vogliamo trovare un difetto – lo rinveniamo in alcuni dialoghi impostati e in certi personaggi troppo monodimensionali. A parte i due ottimi protagonisti, vanno menzionati interpreti come Clara Calamai, Eros Pagni e Gabriele Lavia che lasciano caratterizzazioni memorabili. Un finale a sorpresa che mostra il killer riflesso nello specchio del corridoio come se fosse un orribile dipinto è un altro colpo di genio e di fantasia surrealista. Inutile dire che Profondo rosso è stato uno dei film più amati degli anni Settanta e che il suo successo è ancora ammantato da un alone di leggenda.
suspiria-007Suspiria (1977) è il primo passo verso un horror puro, viscerale, soprannaturale, che si libera degli obblighi di trama per realizzare un’estetica pura dell’omicidio. Non manca il clima gotico, anche se la storia si svolge in epoca contemporanea e vede protagonista Suzy Bannion (Jessica Harper) impegnata a studiare danza all’Accademia di Friburgo. L’attacco è completamente gotico, perché si svolge in una sorta di castello durante una notte di tregenda. Il terrore ci accompagna per lunghe sequenze e raggiunge il culmine nella scena del bagno con il primo omicidio di una ragazza che frequenta la scuola, afferrata da una mano che rompe il vetro della finestra.
Alida Valli è miss Tanner, un’insegnante dell’Accademia, coadiuvata da Madame Blanc (Joan Bennett), entrambe piuttosto tese per le indagini della polizia. Allieve della scuola sono anche Olga (Barbara Magnolfi) e Sara (Stefania Casini), che faranno una brutta fine.
Dario Argento descrive un’invasione di larve, dimostrando la sua attrazione verso gli insetti, ma soprattutto inserisce una serie di omicidi davvero efferati. Non è il solito thriller, però. Lo spettatore se ne rende conto – nonostante i primi omicidi a base di mani guantate, colpi di coltello e rasoio – soltanto nel finale, assurdo e rocambolesco e che mette in primo piano la figura di una setta di streghe. Una delle scene emblematiche vede protagonista il pianista cieco interpretato da Flavio Bucci mentre viene assalito e sbranato dal suo cane in una surreale piazza deserta.
La storia presenta un clima da fiaba horror e si ispira a Bava per le suggestioni visive, l’uso adeguato del colore e la suggestiva fotografia. Il finale è spettacolare, ma al tempo stesso scioccante e inatteso, in perfetta sintonia con una storia onirica e soprannaturale che racconta il primo atto delle Tre Madri. La musica ossessiva dei Goblin è un elemento inscindibile che caratterizza i momenti fantastici della trama e i delitti più efferati. Suspiria rappresentò un successo di pubblico senza precedenti, anche se gli spettatori amanti del thriller uscirono dal cinema con un senso di delusione per il finale soprannaturale.

In questo periodo Argento debutta come produttore e lancia in Italia Dawn of the Dead – Zombi (1978) di George A. Romero, lavoro emblematico nella cinematografia degli zombi metropolitani, ormai entrato nell’immaginario collettivo. La mano di Argento si nota in alcuni dettagli macabri, nell’estetica dell’omicidio e nell’uso della musica intensa dei Goblin. Gli zombi cannibali hanno invaso gli Stati Uniti e i poveri esseri umani asserragliati in un supermercato possono soltanto morire.

2 pensiero su “DARIO ARGENTO DIVENTA RE DELL’HORROR E DEL THRILLER”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *