I primi decenni del secolo scorso hanno visto fiorire negli Stati Uniti un genere letterario (e, quasi contemporaneamente, cinematografico) che ha fatto scuola, il noir. Se scrittori come Chandler, Hammett e James Cain sono ormai celebri, altri sono meno conosciuti.
È il caso di Daniel Mainwaring, nato in California nel 1902 e morto nel 1977. La sua carriera inizia come giornalista per il San Francisco Chronichles. Tra il 1939 e il 1946 scrive, utilizzando lo pseudonimo Geoffrey Homes, una serie di romanzi neri pubblicati nelle collane di tascabili economici, che ottenevano un grande successo negli Stati Uniti in quegli anni. Nel frattempo, come molti colleghi si trasferisce a Hollywood e comincia l’attività di sceneggiatore.

Nel 1941, sempre con lo pseudonimo Homes, scrive la prima sceneggiatura per il film No Hands on the Clock (Frank McDonald), traendola da un suo romanzo. Stessa cosa per il secondo lavoro, Crime By Night (William Clemens). Entrambi inediti in Italia.

Il successo giunge nel 1947, quando Mainwaring firma con il suo nome la sceneggiatura per un film della Rko, Le catene della colpa (Out of the Past), diretto da Jacques Tourneur. Anche in questo caso all’origine c’è un suo romanzo, Build My Gallows High, pubblicato l’anno prima. Il produttore Warren Duff, non convinto della prima stesura, affida il copione a James Cain, ma nemmeno la nuova versione lo convince e così ne fa scrivere una nuova a Wainwaring. Ed è quella definitiva, non molto dissimile dal romanzo, se non per l’ambientazione a San Francisco (che sostituisce New York), per il finale e poco altro.

Il detective Jeff Bailey viene assunto dal gangster Nick Sterling perché ritrovi la sua donna, Kathie, che gli ha sparato ferendolo e che, così sospetta lui, gli ha rubato una grossa somma di denaro. Jeff rintraccia Kathie in Messico, ma se ne innamora e invece di riportarla a Nick fugge con lei. Il socio di Jeff, che ora lavora per Nick, scopre dove si sono rifugiati e li ricatta. Kathie lo uccide e sparisce. Tempo dopo, Jeff gestisce una pompa di benzina e crede d’essersi lasciato il passato alle spalle. Ma non è così. Nick e Kathie entrano nuovamente nella sua vita.

Il successo del film di Tourneur convince la Rko a produrne un secondo nel 1949 con la coppia di protagonisti (Robert Mitchum e Jane Greer) e sempre sceneggiato da Mainwaring (questa volta con il nome Homes). Il tesoro di Vera Cruz (The Big Steal), per la regia di Don Siegel, ha però un’atmosfera diversa, meno torbida: il noir è diluito in situazioni da commedia e il finale, al contrario del precedente, è lieto.

Un ufficiale dell’esercito americano è accusato del furto di un’ingente somma di denaro. Si reca perciò in Messico per cercare il vero colpevole. Trova invece la donna del ladro, che si unisce a lui nell’inseguimento. Ma sulle sue tracce c’è un corrotto superiore, che vuole impossessarsi della refurtiva.

Dopo questo film, la Rko allontana Mainwaring per il suo radicalismo politico. Che si può intuire dalla sceneggiatura di Linciaggio (Lawless, 1950), di Joseph Losey, tratta da un altro suo romanzo, The Voice of Stephen Wilder (pubblicato con il suo vero nome, mentre la sceneggiatura è firmata Geoffrey Homes).

Un giovane messicano, dopo una rissa con un coetaneo bianco, scappa e viene inseguito dalla polizia. Accusato dell’omicidio di un agente, viene difeso soltanto da un giornalista.
Secondo Losey, Mainwaring è stato uno scrittore sottovalutato, rovinato dall’alcol (come quasi tutti gli scrittori Usa nati nei primi decenni del ‘900) e dal fatto d’essere stato inserito nella lista nera del maccartismo.

“The Lawless è anche caratterizzato, nei suoi momenti migliori, da una atmosfera di angoscia soggettiva, di tensione, di paura” (Goffredo Fofi), in G. De Marinis – G. Cremonini, Joseph Losey: Il Castoro Cinema – La Nuova Italia, 1981.
La riflessione di Fofi può essere applicata a maggior ragione ad alcune delle sceneggiature scritte da Mainwaring negli anni Cinquanta. Ad esempio per l’ottimo La belva dell’autostrada (The Hitch-Hiker), diretto nel 1953 da Ida Lupino. Nel quale un evaso psicopatico che semina il terrore lungo le autostrade californiane si fa dare un passaggio da due amici e li prende in ostaggio. Mainwaring in realtà non è accreditato come co-sceneggiatore (risultano solo la regista e il produttore Collier Young), ma la sua mano si sente. Nell’atmosfera tesa e angosciante, appunto, ma anche in certi scorci ambientali e soprattutto per come sono delineati, con pochi tratti, i personaggi. I buoni e il cattivo hanno un vissuto, poco detto ma intuibile, per nulla banale.

Tra il 1955 e il 1956 Mainwaring scrive due film che hanno dei punti in comune. L’ambientazione in una cittadina della provincia americana, la lotta contro un nemico che appare invincibile, il protagonista che si impegna a combatterlo, eccetera. Il primo film è La città del vizio (The Phenix City Story, 1955), sceneggiato come Dan Mainwaring, diretto da Phil Karlson e ispirato a un fatto realmente accaduto.

In una cittadina dell’Alabama, Phenix, il gioco d’azzardo e la corruzione regnano sovrani. Un anziano e disilluso avvocato non si immischia nelle faccende della malavita, ma cambia idea quando una nuova ondata di crimini coinvolge suo figlio, anch’egli avvocato, e la sua famiglia.

Nel 1956 firma ancora con il vero nome quella che può essere considerata la sua migliore sceneggiatura, per il fantascientifico L’invasione degli ultracorpi (Invasion of the Body Snatchers), e torna a collaborare con Don Siegel.
Sam Peckinpah, che nei primi anni Cinquanta sta muovendo i primi passi nel mondo del cinema e che lavora principalmente come supervisore dei dialoghi, riscrive in parte il copione di Mainwaring. Valerio Caprara, nella monografia su Peckinpah (Il Castoro Cinema, La Nuova Italia) a proposito di Mainwaring scrive: “All’epoca considerato eccellente scrittore, dallo stile semplice e lirico, anche se non di adeguato successo”.
Da notare che Mainwaring e Peckinpah per un decennio hanno a che fare con gli stessi generi (noir, poliziesco) realizzati dallo stesso tipo di produzioni e in parte con gli stessi registi (Siegel e Tourneur).

Non stupisce quindi che Peckinpah (assistente e direttore dei dialoghi in cinque film di Siegel tra il 1954 e il 1956) si occupi della revisione della sceneggiatura scritta da Mainwaring. In quale misura esattamente la modifichi non è però dato saperlo.
L’invasione degli ultracorpi è tratto dal romanzo The Body Snatchers di Jack Finney (pubblicato nel 1955 ed edito nel nostro paese con il titolo Gli invasati).

Il medico Miles Bennell, fermato perché ritenuto pazzo, racconta l’allucinante vicenda di un’invasione aliena iniziata nella cittadina di Santa Mira. Attraverso dei baccelli arrivati dallo spazio, gli extraterrestri si sostituiscono agli esseri umani assumendone le sembianze. Naturalmente non viene creduto. Ma nel camion coinvolto in un incidente vengono trovati degli strani baccelli.

La sceneggiatura di Mainwaring nel complesso resta piuttosto fedele alla storia originale. Non mancano però alcune variazioni.
Il finale del romanzo è diverso. Miles riesce a salvare il pianeta dall’invasione aliena (cosa che nel film viene solo suggerita). Becky, la donna di cui Miles è innamorato, non diventa un ultracorpo (e nemmeno i suoi amici Jack e Terry) e i due addirittura si sposano. Inoltre è diversa la caratterizzazione di alcuni personaggi. A cominciare da Miles, che Finney in maniera esplicita descrive come un medico generico depresso che beve parecchio (in questo simile a molti protagonisti della narrativa hard-boiled poliziesco del periodo).

Una caratteristica che rende L’invasione degli ultracorpi unico nel suo genere e che è con ogni probabilità è farina del sacco di Mainwaring riguardoa il taglio decisamente noir (e realistico) più che fantascientifico dato alla narrazione (realizzato poi magistralmente da Siegel). Con in più una digressione sentimentale tutt’altro che accessoria, presente del resto in altre sceneggiature di Mainwaring.

 

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