KKDTW9 Black Dahlia Mugshot

Alla signora Betty Bersinger piace passeggiare all’alba per Leimert Park, quando c’è ancora poca gente in giro. Ma alle sette e mezza del 15 gennaio 1947 la donna scopre in quel quartiere periferico di Los Angeles qualcosa che le fa accapponare la pelle dall’orrore. Vicino a un marciapiede, l’uno accanto all’altro, giacciono i due pezzi del corpo nudo di una giovane donna perfettamente segato a metà. Correndo a perdifiato, Betty raggiunge una cabina per chiamare la polizia. Quando arrivano gli agenti, i miseri resti sono già circondati da curiosi e fotografi. Non era mai accaduto prima, né accadrà in seguito, che le immagini nitide di un cadavere in quelle terribili condizioni vengano pubblicate sulle prime pagine dei giornali americani. Il corpo nudo e straziato di una bella ragazza bruna, alta, slanciata, con le gambe affusolate, è destinato a colpire l’immaginazione del pubblico.

Grazie alle impronte digitali si arriva alla sua identificazione, perché la giovane donna aveva avuto un piccolo precedente penale: a 19 anni era stata arrestata per ubriachezza, quando secondo la legge californiana si possono bere alcolici solo al compimento dei 21 anni. La ragazza uccisa, che ormai aveva 22 anni, si chiama Elizabeth Ann Short. Dopo il macabro ritrovamento, la vittima diviene nota come “Black Dahlia”. Dalia Nera, perché usava portare un fiore fra i capelli e vestiva spesso di nero.

Elizabeth nasce nello stato settentrionale del Massachusetts il 29 luglio 1924, da Cleo Short e Phoebe. Sei anni dopo, l’automobile del padre viene trovata senza nessuno a bordo accanto a un ponte. Si pensa subito al suicidio, ma poco dopo Cleo scrive una lettera nella quale si scusa per aver abbandonato la moglie e le cinque figlie (Virginia, Dorothea, Eleanora e Muriel, oltre a Elizabeth). Si sentiva prigioniero, unico uomo in una famiglia con sei femmine, per questo si è trasferito nella lontana California. Sono gli anni duri della Depressione, la più grande crisi economica della storia, che lascia senza lavoro la metà degli americani. Phoebe, la moglie, riesce comunque a tirare su da sola le figlie, preoccupandosi soprattutto di Elizabeth, da tutti chiamata semplicemente Beth. Siccome la piccola soffre d’asma, viene mandata tutti gli inverni in Florida perché tragga giovamento del clima caldo-umido.

Come le sorelle, Beth deve lasciare presto la scuola per iniziare a lavorare. Dopo aver fatto la cameriera, a 19 anni saluta la madre per andare ad abitare dal padre a Los Angeles. Non lo fa perché ne sente la nostalgia, ma perché, come tante coetanee, vuole diventare un’attrice di Hollywood. Appena arrivata litiga con il padre perché la tratta come una serva, e lui reagisce cacciandola di casa. Poco male, di giorno Beth trova lavoro in un ufficio postale e di sera passa da una festa all’altra, non perdendo mai l’occasione per divertirsi. Arrestata per ebbrezza, viene rispedita dalla madre sull’altra costa dell’America. Dopo aver lavorato brevemente a una mensa scolastica, Beth se ne va di nuovo. Stavolta in Florida, cui la legano molti ricordi dell’infanzia. Qui si mette con Matt Gordon, un maggiore dell’aeronautica. La storia d’amore si interrompe perché Matt deve partire per il fronte, visto che siamo negli anni della Seconda guerra mondiale. Il maggiore si distingue per il suo eroismo sul campo di battaglia ricevendo molte onorificenze, e un giorno, dall’India, scrive a Beth chiedendole di sposarlo. Lei accetta con gioia, ma il 10 agosto, poche settimane prima della fine della guerra, Matt muore in un incidente aereo.

La giovane, l’anno successivo, cerca di risollevare il proprio umore cogliendo un nuovo pretesto per tornare a Los Angeles. Va a trovare il tenente Gordon Fickling, con il quale in passato aveva avuto una storia d’amore in Florida e che adesso si trova di stanza nella città californiana. Lei ha sempre avuto un debole per gli uomini in divisa e ha giurato di sposarne uno. Per stare accanto a Gordon per un po’ lavora alla mensa della base militare, ma poi si licenzia e inizia a frequentare locali equivoci dimenticandosi del tenente. Non riprenderà più a lavorare. Cerca in tutti i modi di entrare nel cinema, ma le propongono solo film pornografici, che lei rifiuta. Si trova sempre a corto di denaro, cambia spesso albergo e quando può si fa ospitare da qualche conoscente, mosso da compassione per quella ragazza senza fissa dimora. Sempre per risparmiare, trascorre la fine del 1946 in un appartamento di due stanze insieme a otto ragazze, anche loro desiderose di entrare nel mondo dello spettacolo. Le ragazze vedono che Beth esce con un ragazzo diverso ogni sera. Non sembrano amici veri e propri, ma estranei dei quali non approfondisce mai la conoscenza. A una coinquilina, Beth dice che si sta nascondendo perché ha paura di un suo ex ragazzo. Dovrebbe pagare un dollaro al giorno per l’affitto, ma non può permettersi nemmeno quello: quando arriva il momento di saldare scappa dalla porta di servizio, per non incrociare il padrone di casa.

Nell’ultima settimana della sua vita, l’avvenente 22enne viene notata mentre vaga senza meta a San Diego, nel sud della California, da Robert Manley, detto “Red” (il Rosso) per i suoi capelli color rame. Robert è un venditore di 25 anni, già sposato, anche se questo non gli impedisce di invitare la bella ragazza sulla sua macchina. Beth risponde no, ma basta che lui insista un po’ per convincerla. Passano la notte in un motel e il giorno dopo arrivano a Los Angeles. La ragazza viene vista per l’ultima volta il 10 gennaio proprio insieme a Robert, nell’elegante hotel Biltmore. Beth rimane affascinata dagli stucchi sui soffitti, dai lampadari di cristallo e dai marmi alle pareti. Per lei sono una sorpresa, dato che finora ha frequentato solo alberghetti di infima categoria. Rimasta sola, passeggia nella hall fino alle 22, quando esce per una destinazione ignota. Il resto possiamo immaginarlo leggendo il referto dell’autopsia cui verrà sottoposta di lì a poco.

La ragazza viene colpita sulla testa da un corpo contundente e, una volta stordita, qualcuno la lega stretta alle caviglie. Lo sconosciuto la porta in un luogo isolato, probabilmente un garage o una cantina. Qui la sevizia, colpendola ripetutamente con un coltello che le sfregia anche il viso. Le torture durano tre giorni, prima che la morte metta fine alle inaudite sofferenze di Beth. Ma per il carnefice se ne è andata troppo presto, e in un accesso d’ira taglia il corpo in due alla vita. Dopo averlo completamente lavato, lo abbandona nudo in un campicello, mettendo le due parti a poca distanza l’una dall’altra. Secondo gli psicologi forensi, l’assassino deve essere un sadico molto ordinato e sempre attento ai minimi particolari.

All’inizio delle indagini la polizia mette sotto torchio Robert il “Rosso”. Il giovane racconta che aveva salutato Beth all’albergo e, uscendo, aveva visto che lei aveva raggiunto un telefono a gettoni. Sottoposto alla prova della macchina della verità, viene lasciato andare perché risulta sincero. Anni dopo si scoprirà che il poligrafo, o macchina della verità, è uno strumento tutt’altro che infallibile, tanto da venire bandito da tutti i tribunali. Robert non è un uomo psicologicamente stabile. Comincerà a sentire voci misteriose finché, nel 1954, la moglie lo farà internare in manicomio. Morirà nel 1986.

Nei mesi successivi al delitto, i giornali pubblicano ossessivamente le foto di quel cadavere nudo straziato, continuando a dedicare largo spazio al caso di Dalia Nera. Le fantasie dei mitomani vengono alimentate a dismisura: la polizia dovrà imboccare decine di false piste perché vengono accusati (o si autoaccusano) 60 persone, molti uomini e qualche donna. Spinti dall’opinione pubblica, gli inquirenti mettono a lavorare sul caso centinaia di agenti e di ispettori, che interrogano a fondo migliaia di persone. Verrà ricordata come l’inchiesta più imponente e costosa di tutti i tempi.
Il ritratto della vittima fatto dagli investigatori è il seguente: “Non sembrava avere obiettivi chiari nella vita. Non ebbe mai un lavoro fisso per tutto il tempo che risiedette a Los Angeles. Viveva alla giornata, era una specie di vagabonda un po’ squilibrata, ma non una prostituta. Ci sono stati uomini di tutti i tipi nella sua vita, perché le piaceva fare la civetta, ma ne abbiamo trovati pochi che hanno dichiarato di avere avuto rapporti sessuali con lei”. Allora, chi può essere stato a commettere un omicidio così orribile?

Si fa il nome di Walter Bayley, un chirurgo di 67 anni che “forse” la conosceva. I sospetti si concentrano su di lui anche perché risulta che dalla coscia destra della vittima sia stato rimosso un tatuaggio, un fiore, con precisione chirurgica. Quando il medico muore, nel 1948, si scopre che soffriva di una malattia cerebrale degenerativa, la quale potrebbe spiegare il sadismo usato per uccidere Dalia Nera. Tra gli indagati c’è anche Woody Guthrie, il cantante folk anticonformista che ispirerà Bob Dylan. Guthrie aveva molestato una ragazza che (ancora “forse”) conosceva Beth.

Un altro sospetto è George Hodel, pure lui medico. Secondo una sua paziente con problemi mentali, il dottore conosceva bene l’hotel Biltmore e (sempre “forse”) Dalia Nera era sua amica. La figlia quindicenne Tamara, che tra l’altro lo accusa di molestie sessuali, sostiene che il padre aveva confidato il delitto alla moglie, dicendole che nessuno sarebbe stato capace di provare la sua colpevolezza. George Hodel muore nel 1999. Cinque anni dopo suo figlio Steve, ex detective, scrive un libro nel quale accusa il padre di aver ucciso Dalia Nera e molte altre persone nel giro di un ventennio. Neppure stavolta, però, vengono esibite prove convincenti.

Tra i tanti che si autoaccusano dell’orribile crimine, c’è Joseph Dumais, un soldato di 29 anni che però si trovava nel New Jersey al momento del delitto. Altri, come Leslie Dillon e Melvin Bailey, si attribuiscono la paternità di quel crimine spaventoso, ma anche nel loro caso si tratta di pura mitomania. A distanza di più di settanta anni il dipartimento di polizia di Los Angeles ha ancora un agente ufficialmente assegnato alle indagini, per tentare di dare un volto all’assassino di Dalia Nera. Anche se dubitiamo che se ne occupi davvero.

 

Tra i molti film ispirati al celebre caso, si possono ricordare Gardenia blu (1953) di Fritz Lang e The Black Dahlia (2006) di Brian De Palma, con Scarlett Johansson e Hilary Swank.

 

(Per leggere altri articoli sui delitti famosi clicca QUI).

 

 

Di Sauro Pennacchioli

Contatto E-mail: info@giornale.pop

Un pensiero su “NESSUNO HA UCCISO DALIA NERA”
  1. The Black Dahlia è la riduzione cinematografica del romanzo di James Ellroy che è ossessionato dal caso della Short perché ricorda la fine della madre ( si veda anche il suo I Miei Luoghi Oscuri ).
    Anche il classico L’assoluzione ( True Confession ) è tratto da un romanzo che racconta una possibile verità sul caso della Dalia Nera. Persino Nick Raider ( Acque Torbide – lo special del 1996 ) ha indagato sull’omicidio di una donna ritrovata nelle stesse condizioni di Beth Short.
    La Dalia Nera è il Jack the Ripper degli USA: un mistero che ” deve ” restare tale per permettere alla coscienza collettiva di sentire la colpa di aver condannato Beth per poter avere una storia da raccontare davanti al fuoco del camino globale dopo il crepuscolo.
    Lo sceneggiatore Peter Milligan racconta bene questa sindrome nei primi numeri del suo Shade The Changing Man , esplicitando il concetto colla figura di JFK.

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