“Venni al mondo il 18 dicembre del 1626, appena prima della mezzanotte”.

Nell’ora più buia e impenetrabile dell’inverno svedese, al Castello delle Tre Corone la nascita dell’erede al trono era attesa con apprensione. Se il bambino fosse sopravvissuto ventiquattr’ore avrebbe compiuto qualcosa di grande, come dicevano le profezie.

Così, molti anni più tardi, avrebbe raccontato la propria nascita la regina Cristina di Svezia.

Se c’era incertezza sul “se” il nascituro sarebbe sopravvissuto in quella stagione più glaciale del solito, non ce n’era sul fatto che sarebbe stato di sesso maschile, perché così si sentiva la regina madre, Maria Eleonora.

Pertanto, quando nel gelido stanzone adibito a sala parto, rischiarato da qualche lumino, la nascita fu annunciata da un pianto stentoreo e si notò la carnagione scura della creaturina, prima ancora di liberare il corpicino dal sacco amniotico tutti decretarono trionfalmente che quello era un maschietto (a causa di una spiccata ipertrofia clitoridea – NdR). La voce si sparse rapidamente per il palazzo reale sino a raggiungere re Gustavo Adolfo, il padre, costretto a letto da un’indisposizione.

Quando però, dopo averla lavata e pulita, ci si rese conto che era una femminuccia, la delusione fu grande e, poiché nessuno osava dirlo al genitore, gliela appoggiarono sul letto nuda senza proferire parola, affinché potesse esaminarla lui stesso.

Gustavo Adolfo, per nulla deluso, esclamò: “Sono certo che questa bambina varrà più di un maschio e sarà molto abile, perché ci ha ingannato tutti quanti!”.

È dunque la stessa Cristina nelle sue memorie a raccontarci come fin dalla nascita la sua vita sia stata all’insegna dell’ambiguità. Nata femmina, si identificò subito con il padre adorato perché trascurata e negletta dalla mamma, la quale, inconsolabile per aver partorito una bambina, la respinse sempre.

Fiera che “nessuna delle debolezze del suo sesso le intaccasse l’animo” non solo accettò, ma persino accentuò, per quanto possibile, la propria mascolinità, facendone una corazza contro l’odiata civetteria.

L’impietoso ritratto che di lei realizzò il pittore Sébastien Bourdon ce la mostra con un naso aquilino, il labbro inferiore pendulo e due grossi occhi fissi in uno sguardo triste, appena ingentilito dai bei riccioli castani, cioè l’esatto contrario di quel che ci si potrebbe attendere da una “bellezza nordica”.

Come amava ripetere, “l’anima non ha sesso”, e in quel Paese fieramente luterano e governato da uomini, dove il Parlamento da poco aveva introdotto l’ereditarietà del trono in linea femminile, una futura regina, più fosse stata “virile”, meglio sarebbe stata accettata.

L’esempio non le mancava, perché il padre Gustavo Adolfo, detto “il Grande”, era un uomo saggio e coraggioso, oltreché un condottiero senza macchia e senza paura.

Con le armi in pugno riuscì a far assurgere il suo Paese al ruolo di potenza continentale nei primi decenni del XVII secolo, durante la cosiddetta fase svedese della sanguinosissima Guerra dei Trenta anni, permettendo così alla mitica “ultima Thule” di uscire dall’epoca arcaica e vetrificata dal gelo in cui l’immaginario collettivo europeo la collocava.

Morto il padre con le armi in pugno sul campo di battaglia di Lutzen nel 1632, Cristina divenne regina a sei anni, dovendo però attendere fino al 1644, con il raggiungimento della maggiore età, per gestire il potere in prima persona.

Intelligente, istruita, capace di parlare cinque lingue, possedeva un grande interesse per tutto ciò che fosse cultura e bellezza, riuscendo a fare della sua corte una specie di “Atene del Nord”. Tenne carteggi con Pascal e Cartesio, quest’ultimo la raggiunse a Stoccolma per buscarvi la polmonite che l’avrebbe portato alla tomba.

I lunghi colloqui con lui, seguiti da quelli col gesuita padre Macedo, la convinsero ad abiurare il luteranesimo per abbracciare il credo cattolico, con la conseguenza di dover abdicare al trono di Svezia in favore del cugino, senza tuttavia rinunciare al suo titolo regale.

Trionfale fu il suo ingresso a Roma nel 1655, dove venne accolta come una figlia da papa Alessandro VII al suo arrivo attraverso la porta di piazza del Popolo, sopra la quale campeggia ancora una lapide dedicata a quel “felici faustoque ingressui”.

Nella Caput Mundi questa “regina senza regno” diventò presto la “Signora dei salotti”, amica e protettrice di grandi artisti quali Bernini e Borromini, oltreché di musicisti come Corelli, Alessandro Scarlatti e Stradella.

A Roma, dopo tante gentildonne (delle quali si diceva fosse innamorata – NdR), incontrò l’unico vero amore maschile della sua vita nella persona del Cardinale Decio Azzolini, e prese dimora nel bellissimo Palazzo Riario alla Lungara (ora Corsini), dove ancora si può visitare la sua stanza da letto.

Croce e delizia di tanti papi e cardinali, Cristina di Svezia si spense nel 1689 potendo godere del privilegio esclusivo per una donna di essere sepolta nella Basilica Vaticana.


Cristina di Svezia

“Ritratto di Cristina di Svezia” di Sébastien Bourdon, 1650 circa, Museo Nazionale di Stoccolma



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