Un tempo facevo lo sceneggiatore di fumetti. Era l’epoca in cui ancora molte case editrici pubblicavano materiale italiano (ne ho parlato QUI e QUI). Poi, quasi per caso, sono passato a scrivere libri per ragazzi e infine a fare il giornalista. Ciononostante rimango un appassionato di fumetti, per quanto oggi questi mi deludano per i disegni fotografici privi di stile e per le storie che sembrano serie televisive.
Quando li scrivevo non avevo nessuna voglia di parlare di fumetti, ora che non li faccio più ho fondato un giornale web che li tratta spesso (Giornale POP) e un gruppo tematico di Facebook. Proprio nel gruppo di Fb ho appena messo un post sulla bomba atomica, prima di immergermi nella vasca del bagno. In ammollo non si può fare altro che pensare, e in automatico mi è uscito un soggetto ispirato alla bomba atomica. Prima che mi passi di mente lo scrivo di getto qui.
Questo soggetto non avrei potuto svilupparlo quando facevo lo sceneggiatore, perché, come tutte le storie che mi piacciono, non avrebbe trovato un editore.

L’AMBIENTAZIONE

La storia è importante, ma anche il contesto lo è. A me piacciono gli anni trenta e quindi ambiento la storia in quell’epoca. Pensiamo a Indiana Jones, ai personaggi con quel look.
In un’opera di fiction mi affascina la realtà trasfigurata. Mi piacciono i film hollywoodiani dagli anni trenta ai primi anni cinquanta girati negli studi dove venivano ricreati gli ambienti esterni, mentre il neorealismo mi disgusta. Quindi non ambiento la storia a New York, la città che preferisco per il suo immaginario, ma in una metropoli inventata. Ora darò delle spiegazioni piuttosto precise come si è soliti fare in un soggetto, mentre nel testo del fumetto le spiegazioni devono essere date indirettamente, per accenni.

La metropoli si trova in quella che nella realtà geografica è la parte meridionale dell’isola di Vancouver, in Canada, dove sorge la piccola città di Victoria. Di conseguenza chiamerò con questo nome anche la metropoli immaginaria.

COME SCRIVERE IL SOGGETTO DI UN FUMETTO ITALIANO DI SUPEREROI
L’ho messa in quel luogo perché a me piace la pioggia (come ho scritto QUI), e nell’isola di Vancouver piove un fottìo, veramente tanto. Tanto per dire, le fitte e alte foreste dell’isola assomigliano alla giungla di Darkwood, quella di Zagor. Grazie alle correnti calde il clima è più mite che a New York, anche se siamo più a nord.

Un po’ di pseudostoria. Durante la Guerra di secessione americana alcune migliaia di nordisti decidono di combattere per i sudisti e alla fine del conflitto, per non essere accusati di tradimento dai vincitori, devono scappare. Finiscono nell’isola canadese di Vancouver, dove si rendono indipendenti dal Canada (sono soldati abituati alla guerra) fondando una “isola-stato”. Molti cittadini degli Usa scelgono di fermarsi qui durante la corsa all’oro, e la città finisce per trasformarsi in una enorme metropoli di circa 12 milioni di abitanti.
La metropoli ha al centro un bel grappolo di grattacieli tipo Chrysler building e in stile streamline moderne. Devono essere molto ben definiti nei disegni del fumetto, non cambiare da vignetta a vignetta. Pure la topografia della metropoli deve essere ben delineata con schizzi preparatori che il lettore ipotetico neppure vedrà.
(Dovendo scrivere un soggetto ne parlo come se dovesse essere veramente sviluppato in sceneggiatura).

Lo Stato-metropoli è un pretesto per condensare gli Stati Uniti in un luogo solo e, allo stesso tempo, usare situazioni reali cambiandone il nome. A Victoria escono due grandi quotidiani, uno politicamente di sinistra dalla grafica déco e uno di destra dalla grafica goticheggiante, di pomeriggio esce un tabloid con i titoli a scatola.
I poliziotti sono burberi, vige la pena capitale mediante sedia elettrica eccetera.
È come se fossimo negli Stati Uniti del 1939, ma tutto è un po’ diverso.

IL PROTAGONISTA: JAGUAR

Il protagonista potrebbe chiamarsi Rain Man, ma visto che è già il titolo di un film lo chiamerò Jaguar. Il giaguaro (che tra l’altro agli inizi dell’Ottocento era presente anche in Arizona) è considerato dai popoli nativi la divinità evocatrice della pioggia.
Il nostro Jaguar v
ive in un intero piano costruito come una serra, quindi dalle pareti esterne fatte di vetro trasparente, in cima a un normale palazzo tra i grattacieli. L’appartamento è pieno di libri, enciclopedie, riviste scientifiche e quotidiani stranieri. C’è un grosso mappamondo e cartine geografiche alle pareti.

Al centro dell’appartamento, Jaguar legge in continuazione per tutto il giorno, prendendo nota ogni tanto. Ha una corporatura normale, anche se sembra debole e stanco. Ha trentacinque anni, ma ne dimostra una decina di più: quando ha questo aspetto dimesso viene chiamato con il nome di Gregorius. Al suo servizio ha una specie di compassato maggiordomo e una domestica brontolona, che comunque si vedono poco. La terza e ultima dipendente è l’autista figona in divisa e berretto che, senza parlare mai, guida la grossa auto di lusso di Gregorius.

Quando inizia a piovere, e questo come abbiamo visto accade spesso, Gregorius subisce la trasformazione in Jaguar. Non come Bruce Banner-Hulk, che cambia corporatura. La corporatura rimane la stessa, anche se l’aspetto si modifica incredibilmente. I muscoli del volto si contraggono dandogli un aspetto ferino e i capelli si rizzano, ricordando nel complesso Wolverine e, vagamente, un giaguaro. Se quando non piove Gregorius è lento e indolente, con la pioggia Jaguar è agilissimo e tanto forte da spaccare una porta con un pugno. Di solito, quando si trasforma in Jaguar esce all’aperto e si mette a camminare nella pioggia battente andando chissà dove (a conoscere il segreto della sua doppia identità, segreta fino a un certo punto, sono i domestici e pochi altri).

Il coprotagonista, chiamiamolo Mark, è un venticinquenne belloccio piuttosto sfigato con le donne e con il resto del mondo. Possiede un bar abbastanza grande, dove un paio di ragazze lavorano al bancone. Nel locale c’è l’angolo dei giornali, dal quale Mark prende spesso una rivista popolare per leggerla a un tavolo. In un altro angolo c’è la radio. Per le serate gli piacerebbe noleggiare qualche spogliarellista, ma non ha abbastanza soldi e poi teme che la malavita ne approfitti per impicciarsi degli affari suoi.
In ogni caso il locale è molto più movimentato e vivace di quello algido dipinto nel famoso quadro di Hopper.

IL SOGGETTO

Una sera Mark riceve la chiamata del maggiordomo di Gregorius: deve presentarsi subito nella “serra”. Mark collabora spesso con lui perché affascinato dallo stravagante e celebre personaggio, più che per i pochi soldi che riceve come compenso.
Nella sala d’aspetto della “serra”, Mark intravede Dick Turner seduto, un giornalista di mezza tacca del quotidiano scandalistico del pomeriggio: ricorda che da una vita chiede di intervistare in esclusiva Gregorius, ma non sa perché stavolta sia lì. Dick ha l’aria più stravolta del solito, sembra anche un po’ ubriaco e non ha un appuntamento.

Subito dopo arriva Frida, una bella ragazza in abiti dimessi: lei invece l’appuntamento ce l’ha. Mentre accompagna la ragazza allo studio di Gregorius, Mark nota che alle sue spalle il giornalista è sparito.
Camminando tra le librerie della “serra”, Frida dice a Mark che è una ebrea scappata dalla Germania nazista e che ora si ritrova perseguitata dalla polizia locale. Spera che Gregorius, di cui ha sentito dire un gran bene, possa aiutarla anche se non potrà pagarlo molto con i propri risparmi.

Gregorius non sembra fare una buona impressione alla ragazza, moscio com’è. Comunque, Frida racconta la sua storia a lui e a Mark, che si è seduto accanto a lei.
In Germania la ragazza si era innamorata di Helmut, un quarantenne “ariano”, che per amore suo aveva lasciato il laboratorio di fisica nel quale lavorava e l’aveva fatta espatriare. Anche nella metropoli di Victoria hanno avuto seccature con il Partito nazista locale. Più di una volta, persino in pubblico, alcuni militanti hanno minacciato Helmut perché intenzionato a sposare una ebrea. Qualche giorno fa Helmut è stato trovato cadavere e, dalle serrate domande alle quali ha dovuto rispondere durante un interrogatorio, ha capito che la polizia sospetta fortemente di lei, forse per pregiudizio razziale. Per questo Frida vorrebbe che Gregorius l’aiutasse a scoprire l’assassino. Con aria vaga Gregorius accetta il caso, dato che per hobby si diletta a fare il detective, e congeda Frida.

Sempre piuttosto laconico, Gregorius chiede a Mark di scoprire se la ragazza è davvero ebrea. Poi guarda il cielo serale e constata che non ci sono nuvole: non è ancora tempo di pioggia. Farà un salto alla sede del Partito nazista di Victoria la sera stessa.
Nel seminterrato del minuscolo partito, Gregorius parla con il capo dei nazi. Un tizio magrolino e malmesso che si lamenta del patto di non aggressione tra la Germania nazista e l’Unione Sovietica comunista: se a questo punto non cambia il nome del suo partitino locale, da nazista a fascista, è solo perché gli fanno schifo gli immigrati italiani. Gregorius, parlando pacatamente, gli dice che la polizia potrebbe indagare il suo partito per l’omicidio di Helmut, date le minacce a cui era stato oggetto. Il pavido capo nazista schizza dalla sedia spaventato: sapeva che sarebbe finita così, ma giura che non c’entra. Fidandosi di Gregorius, che ha già avuto modo di conoscere in passato, il nazi gli chiede consiglio su come uscire dalla situazione incresciosa in cui lo hanno cacciato. L’ordine di mandare qualcuno a minacciare Helmut era arrivato direttamente da Berlino. Bisognava impaurirlo senza torcergli un capello per non avere problemi con le autorità locali, nella speranza che lasciasse perdere l’idea di quell’imbarazzante matrimonio con una ebrea. Gregorius osserva che non è normale per il governo tedesco intromettersi in questioni marginali di uno Stato estero. Il nazi è perfettamente d’accordo, anche lui era rimasto stupito, ma gli ordini non si discutono.

Il giorno successivo, girando nel quartiere della comunità ebraica, Mark accerta che Frida è veramente quella che dice di essere: alcuni esuli l’avevano conosciuta personalmente anni prima in Germania. Appartiene a una famiglia ebraica molto povera e a Victoria la ragazza si guadagna da vivere lavando i piatti in un ristorante.
Quando torna al suo bar, Mark vede il giornalista Dick Turner che lo aspetta al bancone. Dick, di nuovo quasi ubriaco, dice a Mark che deve farlo parlare subito con Gregorius. Non per la vecchia richiesta dell’intervista in esclusiva di cui ha perso la speranza, deve dirgli qualcosa di importantissimo sull’omicidio di Helmut.

Nella “serra”, il giornalista Dick Turner racconta la sua storia a Gregorius e a Mark.
Un mese prima, all’università di Victoria, si era svolta una conferenza scientifica con fisici illustri venuti apposta dagli Stati Uniti, come Albert Einstein ed Enrico Fermi. Il giornalista c’era andato senza un vero motivo, dato che il tabloid popolare per il quale lavora non era molto interessato all’evento. Con la sua indole di ficcanaso alla ricerca di notizie, Dick aveva notato un tedesco agitato che cercava di avvicinarsi a Einstein. Dando le spalle, ma allungando le orecchie, aveva sentito lo stupito Einstein chiamare il tizio Helmut, e domandargli cosa facesse lì. Helmut gli aveva risposto circospetto che doveva dirgli cose molto importanti riguardo la Germania, ma in un posto riservato. Einstein aveva replicato che il rettore gli aveva concesso in uso il proprio ufficio, proponendogli di andare lì. Dick allora era schizzato in un altro corridoio per entrare prima nell’ufficio del rettore, dove, facendo un po’ di contorsionismo, si era chiuso dentro un mobiletto a un secondo dall’ingresso dei due. Einstein aveva letto la mattina stessa degli attacchi dei nazisti locali per impedirgli di sposare un’ebrea, ma solo ora aveva collegato Helmut alla persona conosciuta una decina di anni prima, quando era andato a trovare il collega Werner Karl Heisenberg. Helmut gli aveva risposto che il famoso fisico tedesco ora sta lavorando per costruire l’atomica di Hitler! Lo sapeva per certo perché Heisenberg aveva chiesto pure a lui di collaborare, anche se per cose di poco conto come il controllo di certi calcoli. Poi i due si erano messi a usare parolone scientifiche che il giornalista non aveva afferrato. Alla fine Einstein, con aria grave, aveva detto a Helmut che ne avrebbe parlato con il presidente degli Stati Uniti. Aggiungendo che se c’è in America qualcuno in grado di costruire l’atomica, questi è Enrico Fermi.

Dick spiega che pur avendo la notizia del secolo non può divulgarla per non mettere in allarme i nazi. Una decisione tormentata, ancora adesso ci beve sopra. Ora però c’è stato l’omicidio di Helmut: sicuramente i nazi lo hanno scovato e ucciso. Bisogna trovare il modo per aiutare la ragazza sospettata dalla polizia, la quale, tra l’altro, ha avuto pure lei l’idea di rivolgersi a Gregorius. La sera prima, preso da agitazione, Dick se ne era andato dopo averla vista in sala d’aspetto.
Gregorius domanda in quale lingua parlassero tra loro Einstein ed Helmut. Naturalmente in tedesco, risponde Dick. Lingua che comprende abbastanza bene perché parlata da sua madre nata in Germania.
Affacciandosi alla finestra, Gregorius guarda con attenzione le nubi addensarsi. Poi congeda Dick, promettendo che nei prossimi giorni avrà l’intervista che gli ha chiesto da tempo: sarà la prima e ultima che rilascerà alla stampa.

Mark accende la radio per ascoltare il notiziario serale già iniziato. Si sentono le ultime parole di Frida, che viene intervistata: dice che i nazisti locali, quando li avevano assaliti, avevano minacciato di morte il suo Helmut, nel caso l’avesse sposata. Mark sta per salutare Gregorius quando questi riceve la telefonata del capo dei nazisti. Il nazi è, come al solito, in preda al panico: quegli idioti dei suoi giovani camerati hanno deciso di dare una ripassata all’ebrea perché ha mentito alla radio, in quanto non avevano mai esplicitamente minacciato di morte nessuno. Così la polizia sospetterà più che mai di loro, esclama il pavido capo dei nazi. Gregorius appende il telefono e dice a Mark che la serata non è ancora finita.

Nella grossa e lussuosa auto guidata dalla figona silenziosa in divisa, separata da un pannello di vetro dai sedili posteriori, Gregorius fa il punto della situazione con Mark. Secondo lui Helmut era un agente tedesco uscito dalla Germania con la giovane ebrea (ignara) per passare da perseguitato del nazismo agli occhi di Einstein, conosciuto fugacemente anni prima. Le minacce dei nazi locali, orchestrate da Berlino, dovevano rafforzare questo concetto.

Il motivo? Forse Heisenberg, il massimo fisico nucleare del mondo, ha spiegato a Hitler che la tecnologia attuale non è ancora matura per la costruzione della bomba. Allora i tedeschi hanno mandato Helmut per fare in modo che Einstein proponga al presidente americano Roosevelt di iniziare i lavori per la costruzione dell’atomica, facendo spendere così quantità colossali di denaro per niente. Gli Stati Uniti non sono in guerra con la Germania, ma prima o poi vi entreranno. L’unica cosa che non ha capito è il motivo dell’omicidio di Helmut.
Mentre parla, scoppia un temporale e il corpo di Gregorius subisce lentamente la trasformazione in Jaguar: i peli si rizzano, i muscoli si contraggono…

Finalmente arriviamo alla scena della selvaggia e acrobatica scazzottatura tra Jaguar e il branco dei nazi che sta aggredendo Frida nel suo appartamento, in un edificio fatiscente destinato alla demolizione.
Mark aiuta Frida a rialzarsi dal pavimento, dove era stata sbattuta. Lei gli spiega che i nazi sono penetrati in casa e l’hanno aggredita appena rientrata dagli studi radiofonici. Da parte sua, Mark spiega che Gregorius ha una alterazione ormonale che gli provoca quella incredibile trasformazione durante la pioggia. Alterazione che aveva colpito anche alcuni suoi avi, i quali avevano preferito per questo motivo abitare in zone semidesertiche dell’Arizona dove non piove mai, mentre Gregorius ha fatto l’opposto trasferendosi nell’isola di Vancouver.

Scappati gli aggressori, con la pioggia che si riduce man mano, nell’appartamento della ragazza Jaguar subisce la lenta trasformazione inversa in Gregorius (bloccandosi, per il momento, più o meno a metà dato che continua a piovigginare un poco). Jaguar/Gregorius, indicando i vestiti stracciati indosso a Frida, nota che sono costosi mentre quelli che indossava precedentemente erano dozzinali. Nota anche che ha preparato le valige, come per andarsene precipitosamente. Dalla sua borsetta aperta caduta sul pavimento prende alcune banconote di grosso taglio che si intravedono. Le sfrega con due dita per capire se sono false, come quelle distribuite dai tedeschi ai loro scagnozzi occasionali, ma sembrerebbero autentiche. In ogni caso, dice, ha cambiato idea sul suo conto: è stata lei a uccidere Helmut, anche se non gli quadra tutta la faccenda. Ora la ragazza ha in mano una pistola, che punta verso Jaguar e Mark.

Sì, Helmut l’ha ucciso lei. Qualche giorno fa, quando Helmut era via, in quella casa fatiscente dove abitano si era rotto un tubo dell’acqua. Cercando di aggiustarlo da sola era andata alla cassetta degli attrezzi, che non aveva mai aperto prima: dentro c’erano centomila dollari (dollari della città-stato di Victoria, non degli Usa). Non sapeva come Helmut fosse riuscito a ottenere quella ingente somma che sicuramente prima non aveva, ma ora sarebbe stata sua. Un gruzzolo tale da garantirle la tranquillità economica per qualche anno. Non amava Helmut, lo aveva usato solo per scappare dalla Germania, e con tutti quei soldi non aveva più bisogno di un uomo dall’età di quasi quella di suo padre, per questo lo ha ucciso.

Frida conclude dicendo che avrebbe ammazzato anche loro due dando la colpa agli aggressori nazi: dato che le avevano sfasciato l’appartamento, la polizia stavolta le avrebbe creduto. Un fulmine e il tuono successivo fanno sobbalzare la ragazza, mentre Jaguar torna in un attimo completamente nella forma ferina. Si lancia su Frida facendola cadere dalla finestra. Muore schiantandosi al suolo.

Di ritorno sull’auto, Gregorius si domanda quale sia la verità. Helmut era un agente tedesco o no? Probabilmente sì, e i soldi trovati per caso da Frida erano il suo compenso. I nazisti stanno costruendo l’atomica o no? Di sicuro avrebbero cercato di costruirla gli americani, e anche se fossero stati soldi sprecati avrebbero vinto la guerra lo stesso grazie alle loro immense risorse.

(Heisenberg disse veramente al governo nazista che ci sarebbe voluto troppo tempo per costruire la bomba atomica. Ancora oggi non si sa perché, essendo la massima autorità mondiale della fisica nucleare. Vero anche che, nel 1939, Einstein convinse il presidente Roosevelt a costruire la bomba atomica, temendo che Heisenberg lo potesse fare per i tedeschi).

Lo so, questo soggetto filerebbe meglio senza la strana ambientazione e lo strano protagonista, ma a me della storia non importa niente, è solo un pretesto per mostrare quell’ambientazione (si vedano le fotografie di questo mio articolo) e quel protagonista, che incarna il tipo di “supereroe” accettabile ai lettori dei tradizionali fumetti europei.

Di Sauro Pennacchioli

Contatto E-mail: info@giornale.pop

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