Giugno 1966, nelle edicole italiane arriva il supplemento Linus Estate con il primo episodio dei Fantastici Quattro di Stan Lee e Jack Kirby, un fumetto che cinque anni prima negli Stati Uniti era stato il big bang dell’Universo Marvel. La storia però passa abbastanza inosservata. Occorrono altri cinque anni prima che un altro editore, Andrea Corno, rilanci la serie in formato comic book ottenendo un grande successo.


La recente ristampa dei supplementi di Linus ha consentito di rivedere quella prima, pioneristica, edizione. Rispetto alla traduzione che farà la Corno non ci sono differenze nei nomi dei personaggi, ma una sorpresa arriva alla tavola 23. L’Uomo Talpa, primo nemico dei Fantastici Quattro, si prepara a chiamare in aiuto un enorme mostro. Nella versione di Linus la frase dell’originale, “The die is cast”, diventa imprevedibilmente “Alea iacta est”.


Curiosa licenza poetica. Chi tradusse l’inglese con il latino innestando sulla storia ultramoderna dei Fantastici Quattro, piena di razzi spaziali e raggi cosmici, una famosa frase vecchia di duemila anni? Prima di azzardare una risposta, un breve riassunto dei personaggi principali della vicenda.

Caio Giulio Cesare. Condottiero romano (100-44 a.C.). Tornato in Italia dopo la campagna militare in Gallia e Britannia varca il fiume Rubicone (sulla cui identificazione ancora litigano gli storici) e pronuncia la celebre frase “Alea iacta est”, ossia “Il dado è tratto”. Varcare in armi quello che allora era il confine dello Stato romano significava dichiarare guerra al Senato che governava la Repubblica.

Stan Lee. Sceneggiatore e direttore americano (1922). Si dichiara fan di William Shakespeare e nello scrivere i dialoghi delle storie dei supereroi, tra cui l’episodio di cui parliamo, attinge spesso ad arcaismi della lingua inglese e finanche a latinismi, come Imperius Rex o Excelsior. Non in questo caso, però. La vignetta originale parla chiaro.

Giovanni Gandini. Scrittore, giornalista ed editore (1929-2006). Fondando Linus, diede vita alla prima rivista a fumetti indirizzata al pubblico colto. Sapeva che i Fantastici Quattro stavano spopolando negli Stati Uniti (in proposito pubblicò un articolo su Linus), ma non ci credette abbastanza. Abbandonò il campo dopo soli due episodi, lasciando la gallina dalle uova d’oro nelle mani della Editoriale Corno.

? Chi manca a completare il poker? Il nome del traduttore dell’episodio.
Va detto che, ai tempi, non c’era la prassi di accreditare i traduttori nelle riviste a fumetti. Non lo fece nemmeno la Corno, sebbene sia noto che alcuni dei primi albi vennero tradotti personalmente da Luciano Secchi, il direttore generale.

Quanto a Linus, alcuni traduttori divennero noti perché i personaggi di maggior successo furono ristampati nel formato libro e i libri, per tradizione, menzionano sempre il traduttore.

Sappiamo, in questo modo, che i Peanuts di Charles Schulz erano tradotti dai fratelli Cavallone: due insigni giuristi. Il notaio Franco e l’avvocato-professore Bruno, i quali nel tempo libero si dilettavano di studi eccentrici rispetto all’ortodossia giuridica. Il loro ruolo di traduttori (e di creatori di un lessico divenuto familiare ai lettori italiani anche quando infedele, come nel caso del “Grande Cocomero”) è riconosciuto ancora oggi nelle periodiche riedizioni.

Dopo la morte del fratello, Bruno Cavallone ha spesso rievocato quei tempi pioneristici. Esiste anche un suo bell’articolo, uscito nel 2009, intitolato “Sulla traduzione dei fumetti”, nel quale ricorda che, dopo l’inizio a quattro mani, Franco si dedicò principalmente ai Peanuts, mentre lui curò la traduzione di Pogo, altra storica striscia resa celebre dalla rivista di Gandini.

La citazione da Giulio Cesare può aiutarci a identificare il traduttore del primo episodio dei Fantastici Quattro.

Il latino, negli anni sessanta come oggi, viene masticato in Italia soprattutto da tre categorie di persone: gli insegnanti di liceo classico, i preti, i giuristi. È pur vero che a quel tempo, tra diplomati e laureati, c’era ancora il vezzo di fare citazioni in latino per darsi un tono, ma se rimaniamo ai dati certi sappiamo che la terza categoria, quella dei giuristi, era ben rappresentata dai citati fratelli Cavallone.

Potevano, costoro, avere l’intraprendenza di modificare il testo inglese inserendo un latinismo? Certamente sì e ne abbiamo la prova.

Ecco una strip dei Peanuts di ambientazione “legale”, dove Snoopy si atteggia ad avvocato.


Improbabile che Charles Schulz conoscesse Aulo Agerio e Numerio Negidio, i nomi che, nell’antica Roma, venivano dati all’attore e al convenuto delle cause fittizie citate come esempi nei trattati di diritto.

E infatti nell’originale la causa è: John Doe versus Richard Roe, dove il primo è appunto l’americano medio, il Tizio della nostra tradizione, e l’altro il Caio.


E chi altri potevano essere responsabili di questo adattamento, che sostituisce il latino all’inglese, se non i fratelli Cavallone, pacificamente accreditati come traduttori della striscia?

C’è da dire che il povero Schulz provò anche ad inserire una frase in latino, ma la sbagliò: i Cavallone ebbero cura di sostituire il de minimus con il corretto de minimis.

Se la proprietà transitiva ha un senso, la conclusione è che Franco e Bruno Cavallone, o uno solo dei due, sono i traduttori del primo episodio italiano dei Fantastici Quattro. Anche se tale onore, per quel che se ne sa, non l’hanno mai rivendicato né gli è stato mai tributato.

Va aggiunto che pressoché tutte le edizioni italiane recenti traducono alla lettera “The die is cast” con “Il dado è tratto”; così le ultime due consultate per questa nota: Fantastici Quattro Classic della Marvel Italia (1996, a cura di Francesco Meo) e Super Eroi Classic, allegato alla Gazzetta dello Sport (2017, traduzione di Andrea Plazzi).

E la Corno? Niente dado, niente alea, niente die: risolve il problema con una traduzione totalmente libera che possiamo leggere qui sotto.


Va detto che l’intera traduzione dell’episodio da parte della Corno contiene numerosissime licenze poetiche, tanto da far pensare che sia opera di uno di quegli scrittori convinti che la fedeltà filologica sia un male, e che un testo altrui si possa sempre abbellire. La traduzione è sicuramente opera di Luciano Secchi, che per la Corno fu anche sceneggiatore (creò Kriminal, Satanik e Alan Ford), prefatore, romanziere. Ecco un paio di licenze divertenti, ottenute mettendo a confronto la fedele traduzione di Andrea Plazzi e quella della Corno.

Qui, forse, l’allucinazione è del traduttore. Ma non c’è dubbio che la poco plausibile affermazione del poliziotto aggiunga un po’ di colore al dialogo.


Qui, invece, la Corno fa perdere all’agente il nome di battesimo… e ipotizza che i poliziotti di Central City possano anche alzare il gomito.

Fabrizio De André, traduttore di canzoni di George Brassens, Bob Dylan e Leonard Cohen, invocando Benedetto Croce sosteneva che non esistono traduzioni fedeli o infedeli, ma solo belle o brutte. Sull’argomento, però, ci sono opinioni e sensibilità diverse. Anche sui supereroi Marvel, ognuno può farsi la propria opinione, ora che l’accesso ai materiali originali è molto più diretto e facile che in passato.

Post Scriptum. Un serio lavoro di ricerca storica dovrebbe basarsi in primis sulle fonti. Nel caso de quo, sarebbero consultabili sia fonti scritte (l’archivio di Giovanni Gandini custodito dal Centro Apice dell’Università di Milano) che orali: Bruno Cavallone è vivo e lotta insieme a noi, come dimostra lo splendido saggio “La Borsa di Miss Flite”, tre edizioni per Adelphi dal 2016 ad oggi.

Ma un viaggio ad hoc a Milano è complicato, e un certo metus reverentialis ci ha impedito di contattare il Professore. Inter nos, confidiamo che la pubblicazione di questo scritto aiuti a scoprire il punctum dolens.

Mutatis mutandis.

 

© Francesco Lentano 2018

 

 

Un pensiero su “CHI HA TRADOTTO PER PRIMO LA MARVEL?”
  1. Le traduzioni di Max Bunker e dei suoi giannizzeri per la Editoriale Corno erano spesso infedeli – il bimbo che fui ( mi rendo conto che sembra un titolo di una storia dei Fantastic Four di Lee/Kirby ) aveva un orecchio interno a sventola come quello esterno e notava una perturbazione nella Forza, un cambio di ritmo o di passo, ma solo con gli Essentials della Marvel ( volumi in b/n con la ristampa di cicli di storie ndr ) il vecchio che sono ha potuto constatare quanto a volte Secchi e la sua posse atterrassero lontano dai concepts di Lee, Starlin o Englehart. Oggi, per esempio, non avrei la forza di affrontare un ettaro abbondante della Pantera Nera di Don McGregor ( preso per il lato B dal prolisso Steve Gerber per la mancanza di sintesi già nei seventies ndr ) filtrata dai talenti e dai vocabolari siti in viale Romagna ( storico indirizzo della Corno ndr ) nel decennio delle targhe alterne e dei Trasferelli.
    Erano davvero altri tempi. Ricordo la posta di All American Comics della Comic Art nei primi anni novanta con il curatore traduttore Paolo Accolti -Gil che commentava le lettere dei lettori che segnalavano le ” perle ” in altre testate di altri editori. Mi è rimasto impresso un Guinea’s Pig ( cavia ) tradotto letteralmente come maiale della Guinea in un Wolverine della Play Press e le celie di P.A.G. sul fatto che Logan era canadese e semmai un Ghiottone. Naturalmente anche al tempo della Corno era più facile scivolare sulle locuzioni come the real McCoy ( Hank McCoy è l’alter ego della Bestia degli X-Men ) e mancavano le note che chiarivano i riferimenti USA ( ricordo un Ben Grimm che risponde ad una matrona che gli chiede come sia diventato sì forte affermando che un tizio in spiaggia gli ha tirato della sabbia sul muso e che lo sta ancora cercando e dieci anni dopo un Johnny Storm che dice di un gigante che ha una stretta che renderebbe orgoglioso Charles Atlas ).
    Oggi so chi è stato Atlas e per contrappasso ogni tanto me lo ritrovo tra le pagine – note di un Sandman Mystery Theatre della Magic Press ed origini del Flex Mentallo della Doom Patrol di Grant Morrison – e non posso perdermi, come il Johnny be good dei Men At Work, immaginando quale bizzarro avversario dei Fantastici Quattro si nomasse Carlo Atlante e se per caso reggesse il mondo quando si approssimava Galactus.
    Allora un pomeriggio mi sembrava eterno e non arrivava mai il crepuscolo.

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