CHARLIE HEBDO, PER NON DIMENTICARE

Mercoledì 7 gennaio 2015, ore 11.20. Una Citroën C3 si ferma in via Nicolas Appert, Parigi, vicino alla piazza della Bastiglia. Ne escono due uomini mascherati e con i mitra kalashnikov in pugno. Sono i fratelli Said e Chérif Kouachi, 34 e 32 anni, musulmani francesi di origine algerina. Con passo deciso puntano verso il numero 6 della via. Quando capiscono che non è quello che cercano, tornano indietro. Ecco il numero 10, un grande edificio per uffici: è li che devono andare. Corrono dal portiere, Frèdéric Boisseau, e puntandogli i mitra gli chiedono dove si trova la redazione del giornale satirico Charlie Hebdo. Appena il portiere glielo spiega, la sua vita viene spezzata da una raffica.

Ore 11.25. I terroristi salgono al secondo piano, ma l’ingresso dei locali della redazione è chiuso: per entrare occorre formare un codice numerico. Proprio in quel momento si avvicina una giovane donna, che li scambia per poliziotti incaricati della sicurezza. Si tratta di Corinne Rey, detta Coco, una disegnatrice del giornale. Minacciandola, i due le ordinano di aprire la porta. Poi le spiegano che fanno parte di Al Qaeda, l’organizzazione fondamentalista creata da Bin Laden. Nel primo momento di distrazione dei terroristi, la giovane si nasconde dietro una scrivania. Come ogni mercoledì, c’è la riunione di redazione: per questo tutti i giornalisti e i disegnatori sono in sede. I terroristi uccidono Franck Brinsolaro, l’agente addetto alla sicurezza, poi entrano nella stanza della riunione. Chiedono di Charb, cioè del direttore Stéphane Charbonnier, il quale si alza subito in piedi guardandoli dritti negli occhi. Gridando «Allah è grande», i due uomini armati aprono il fuoco all’impazzata. In pochi secondi uccidono 8 persone, tra le quali Georges Wolinski, un autore satirico noto per lo stile dissacrante e allo stesso tempo leggero pubblicato in Italia da Linus. Perdono la vita pure i vignettisti che si firmavano con gli pseudonimi di Cabu, Tignous e Honoré. Tra le vittime c’è una donna, la giornalista Elsa Cayat, e il correttore di bozze Mustapha Ourrad: un musulmano.

Ore 11.50. Tornando in strada, i terroristi si imbattono in Ahmet Merabat, 42 anni, un francese algerino come loro che sta dall’altra parte della barricata: fa il poliziotto. Con la bicicletta, l’agente passa regolarmente davanti a quella redazione spesso minacciata dagli estremisti islamici. Dopo una breve sparatoria, Merabat cade ferito. A terra e ricoperto di sangue, alza le mani in segno di resa, ma viene finito con un colpo alla testa. I fratelli Kouachi tornano in auto gridando trionfanti: «Maometto è stato vendicato!». Si riferiscono alle immagini satiriche del Profeta pubblicate da Charlie Hebdo per condannare il fanatismo religioso. Dietro di loro, i terroristi si lasciano 12 morti e 11 feriti.

Ore 12. I terroristi scendono dalla Citroën e si impossessano di una Renault Clio, nel trasbordo Said Kouachi dimentica la carta d’identità, che viene subito trovata dalla polizia: adesso si sa chi sono gli aggressori, non potranno andare lontano. Nelle ore successive, 88 mila agenti delle forze dell’ordine iniziano una grande retata nella zona a nord di Parigi, dove gli assassini si sono diretti con la Clio.

Giovedì 8 gennaio, ore 8. Un complice dei fratelli Kouachi, Amedy Coulibaly, 34 anni, originario del Mali, arriva nel quartiere Montrouge di Parigi. Vuole fare una strage di ragazzi in una scuola ebraica, per allentare la pressione dei poliziotti sui suoi due complici in fuga. A causa di un piccolo incidente mentre parcheggia davanti alla scuola, viene avvicinato da Clarissa Jean-Philippe, una vigilessa di 25 anni in servizio da pochi giorni. Lui le spara a bruciapelo, uccidendola, e si dà alla fuga. All’inizio, si pensa che con il maliano ci sia la compagna di 26 anni, Hayat Boumeddiene, la quale, invece, pur essendo coinvolta nella pianificazione della strage al Charlie Hebdo, sarebbe partita per la Siria alcuni giorni prima.

Ore 10.30. Una settantina di chilometri a nord di Parigi, nella regione della Picardia, un benzinaio telefona alla polizia che i fratelli Kouachi hanno fatto il pieno nella sua stazione di servizio. Sulla loro auto ha intravisto una grande quantità di armi. Però la notte cala di nuovo senza che i due vengano presi. 

Venerdì 9 gennaio, ore 9.30. Dopo la sparatoria a un posto di blocco, i fratelli Kouachi finiscono la loro fuga barricandosi nella piccola tipografia di Dammartin en Goele, un paesino nelle vicinanze dell’aeroporto parigino di Roissy. Lasciano libero il proprietario e non si accorgono che l’unico impiegato presente, Lilian Lepére, si è nascosto in un grande scatolone: da lì, inizia a comunicare con la polizia attraverso gli Sms. Ma la sua vita non è in pericolo, perché i due fratelli hanno già deciso di morire come “martiri”.

Ore 13. Amedy Coulibaly, l’assassino della vigilessa, entra in un negozio dove si vende cibo kosher per gli ebrei. Siamo a Porte de Vincennes, un quartiere di Parigi. Il terrorista ammazza a caso quattro clienti ebrei e prende in ostaggio i superstiti, una decina di persone. Alla polizia che si raduna all’esterno grida: «Non toccate i miei amici, altrimenti uccido tutti».

Ore 17. Le forze dell’ordine irrompono nella tipografia di Dammartin. I fratelli Kouachi escono allo scoperto sparando intorno a loro, rimanendo subiti uccisi dalle raffiche della polizia come desideravano nel loro fanatismo. Nello stesso momento a Parigi, per impedire che il loro complice inizi il massacro come minacciato, i poliziotti assaltano anche il negozio kosher. Vedendosi perduto, pure Coulibaly va incontro agli agenti sparando per essere ucciso. Appena il rumore delle armi da fuoco cessa, gli ostaggi escono dal negozio correndo in preda al panico. In tre giorni, per colpire i vignettisti di Charlie Hebdo sono stati uccisi 17 innocenti.




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Di Sauro Pennacchioli

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