CARLOS, UN TERRORISTA CHIAMATO SCIACALLO

Vienna, mattina del 21 aprile 1975. Il terrorista Carlos, detto lo Sciacallo, guida un commando di sei persone nel palazzo dell’Opec, l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio. Le guardie all’ingresso, davanti alle armi, alzano subito le mani. “Il mio nome è Carlos”, dice il terrorista, “forse avete sentito parlare di me”. In testa ha un berretto alla Che Guevara, i modi sono quelli di un gentiluomo.

Si fa indicare la sala dove sono riuniti gli undici ministri dei Paesi petroliferi. Davanti alla porta un agente di sicurezza tenta di reagire, ma viene freddato da Gabrielle Tiedermann, l’unica donna del gruppo. Appena entrati, è sempre lei a uccidere un membro della delegazione irachena che stava cercando di allontanarsi: un fraintendimento, era lui l’infiltrato che aveva favorito il loro piano.

Il ministro libico si avventa sul mitra dello Sciacallo per cercare di strapparglielo. Anche se la Libia di Gheddafi simpatizza per lui, Carlos non può evitare di ucciderlo. I terroristi respingono l’intervento della polizia austriaca e radunano gli ostaggi, che sono una settantina: vogliono un autobus e un aereo.

Dopo  due giorni sono tutti a bordo di un Dc-9 diretto ad Algeri. L’atmosfera è distesa. Tra gli ostaggi c’è il ministro del petrolio del Venezuela, connazionale di Carlos. Davanti alla sua innata eleganza, il ministro pensa tra sé che lo Sciacallo è il tipo di gentiluomo che ogni padre vorrebbe avere come pretendente per la propria figlia, come racconterà anni dopo. Peccato che quell’uomo continui a ripetere: “Se qualcosa va storto dovremo uccidervi tutti”.

Il ministro del petrolio nigeriano si spinge a chiedere un autografo al famoso terrorista. Da parte sua, Carlos consegna al ministro venezuelano una lettera pregandolo di recapitarla a sua madre.

Quando l’aereo atterra ad Algeri, ai terroristi viene comunicata la proposta dello scià di Persia e del re dell’Arabia Saudita: liberare gli ostaggi in cambio di 20 milioni di dollari. Una cifra enorme, considerata la svalutazione odierna, che Carlos accetta subito prima di sparire, diventando il terrorista più ricercato del mondo.

Carlos non si chiama davvero così. Ilich Ramirez Sanchez, questo è il suo vero nome, nasce in Venezuela nel 1949. Figlio di un avvocato comunista (fu chiamato “Ilich” in onore di Lenin, pseudonimo di Vladimir Ilich Uljanov), ancora diciasettenne si addestra a Cuba come guerrigliero.

Quindi, come se niente fosse, vola a Londra per finire le scuole superiori. Frequenta  l’università  a Mosca, almeno fino al 1970, quando viene espulso. Nel frattempo ha imparato diverse lingue: oltre allo spagnolo, parla inglese, francese, russo e arabo.

Partecipa a un altro addestramento per guerriglieri, stavolta in un campo palestinese in Giordania. Dopodiché torna a Londra per iscriversi alla facoltà di Economia, pur essendo ormai un militante del Fronte popolare per la liberazione della Palestina con il nome di battaglia Carlos.

La sua carriera di terrorista inizia nel 1973, firmando il primo attentato a Londra: il suo obiettivo è Joseph Sieff, un facoltoso ebreo inglese legato a Israele. Carlos si introduce in casa sua e gli spara mentre è immerso nella vasca da bagno. Il proiettile lo colpisce sulla dentiera facendolo svenire per il contraccolpo, ma il criminale non riesce a colpirlo di nuovo perché la pistola si inceppa, ed è costretto a fuggire senza portare a temine la missione.

Dopo questo episodio maldestro, per rifarsi compie una serie di attentati dimostrativi a Londra e a Parigi, capitali di due Stati alleati di Israele, facendo esplodere bombe nelle banche, nelle sedi di giornali e in un ristorante. Nell’ultimo attacco muoiono due persone e trenta rimangono ferite.

Soltanto il 27 giugno 1975 la polizia francese apprende da un informatore libanese che Ilich Ramirez Sanchez potrebbe essere un esponente del terrorismo palestinese. Accompagnati dalla loro fonte, due agenti vanno incautamente a trovarlo a casa, dove si sta svolgendo una delle tante feste organizzate dal giovane venezuelano.
Gli agenti e il loro informatore vengono presi alla sprovvista, quando la persona che stanno cercando estrae velocemente la pistola e li uccide uno dopo l’altro.

Nasce così il mito di Carlos, soprannominato lo Sciacallo dalla stampa francese perché tra i libri trovati in casa sua dopo gli omicidi c’è una copia del romanzo “Il giorno dello sciacallo” di Frederick Forsyth.

I giornali iniziano a raccontare che si comporta come un dandy d’altri tempi, collezionando belle donne malgrado il suo sgraziato fisico corpulento. Gran bevitore e fumatore di sigari, continua a frequentare in incognito i night delle capitali europee e nordafricane, dove si trova spesso “per affari”.

Dopo due anni, nel 1975, Carlos pianifica il suo colpo più famoso, l’attacco alla sede dell’Opec, una delle istituzioni più importanti del mondo perché ha l’incarico di fissare il prezzo del petrolio.

“L’Operazione Opec” ottiene risonanza mondiale, ma per come si conclude delude i dirigenti del Fronte palestinese. Contestano a Carlos di non avere ucciso, come si era deciso, i ministri del petrolio iraniano e saudita, nemici della loro causa perché alleati degli americani, grandi protettori di Israele.

Inoltre, lo criticano per aver condotto l’operazione senza una strategia precisa e per avere accettato il denaro come un volgare bandito. Carlos si difende dicendo che non avrebbe potuto comportarsi in maniera diversa, perché altrimenti la polizia algerina lo avrebbe ucciso.

Alla fine i palestinesi accettano una parte del bottino, ma scaricano Carlos. Neppure i guerriglieri che lo avevano seguito apprezzano il suo comportamento: “Carlos è un rivoluzionario solo a parole, ama le macchine di grossa cilindrata e gli hotel di lusso”, dicono.

Lo Sciacallo è comunque abbastanza ricco, ormai, per fondare un gruppo terroristico tutto suo. Lo chiama Organizzazione araba per la lotta armata: composto da elementi mediorientali ed europei, si mette a disposizione di chiunque voglia colpire gli alleati occidentali di Israele.

I primi a servirsene sono i servizi segreti dell’Europa dell’Est legati all’Unione Sovietica, che gli commissionano l’eliminazione di alcuni dissidenti politici espatriati. Poi anche il Fronte di liberazione palestinese torna ad affidargli alcune operazioni, assieme ai dittatori Gheddafi e Saddam Hussein.

In questo periodo, Carlos si lega sentimentalmente a Magdalena Kopp, una tedesca che ha lasciato la professione di fotografa per unirsi al gruppo dell’amante. Nel 1982, la donna viene arrestata in Francia perché trovata in possesso di esplosivo.

Per vendetta e per ottenere la sua liberazione, il fidanzato fa esplodere una bomba davanti alla redazione di un giornale di Parigi, che provoca la morte di un uomo, poi ne mette una su un treno diretto a Tolosa, uccidendo cinque persone, e altre cinque ne uccide la bomba piazzata su un treno per Marsiglia.

Queste azioni spregiudicate, addirittura infantili, fanno perdere a Carlos il sostegno dei governi che fino a quel momento avevano chiesto i suoi servigi. La Siria, malvolentieri, continua a ospitarlo a Damasco.

In questa città, nel 1985, Carlos può riabbracciare l’amata Magdalena, liberata per buona condotta. I due si sposano nello stesso anno, e hanno una figlia alla quale danno il nome di Elba Rosa.

La famiglia resta in Siria, ma poi, per motivi di opportunità politica, il governo impone allo Sciacallo di cessare le attività definitivamente. Abbandonata la lotta armata, Carlos si trasferisce in Iraq, poi in Giordania e, infine, in Sudan. Qui divorzia dalla moglie tedesca e sposa una donna palestinese, Lana Jarrar.

I francesi, però, non hanno perso la speranza di arrestarlo. Approfittando del fatto che lo stile di vita “libertino” di Carlos mette in imbarazzo il regime militare islamico del Sudan, i governi dei due Paesi si accordano per la sua consegna.

Nel 1994, dopo una rissa in un locale, i sudanesi ammanettano Carlos e lo spediscono in Francia, dove viene subito incarcerato. Si dice che la goccia che ha fatto traboccare il vaso sia stata il litigio scoppiato tra due donne che si contendevano il terrorista-playboy.

Tre anni dopo, Carlos viene processato a Parigi per l’uccisione dei due poliziotti e dell’informatore che nel 1975 erano andati a casa sua per interrogarlo. Viene quindi incastrato per l’unico delitto compiuto in territorio francese di cui ci siano prove certe.

Riconosciuto colpevole, viene condannato all’ergastolo. Alla lettura della sentenza, l’ex guerrigliero alza il pugno gridando: “Viva la rivoluzione!”. Ma non è finita qui. I francesi non hanno dimenticato, anche se sono passati trent’anni, i morti e le bombe degli anni settanta e ottanta rimasti senza colpevoli.

Dopo quasi vent’anni di carcere, nel 2011, lo Sciacallo torna in tribunale, accusato di essere il responsabile di quattro attentati che a Parigi hanno causato undici morti e duecento feriti: i giudici lo condannano a un secondo ergastolo e nel 2013 la pena viene confermata in appello.

Dopo aver divorziato dalla seconda moglie, Carlos si risposa nel carcere parigino della Santé con Isabelle Coutant-Peyr, la sua avvocatessa francese, con rito musulmano dato che lui si è convertito alla religione islamica. La Coutant-Peyr è una donna impegnata nel sociale dalla carnagione scura, ossuta e con i capelli ricci sempre tagliati corti.

La figura semileggendaria di Carlos ha ispirato, nel 1997, il film The Assignment – L’incarico di Christian Duguay, con Aidan Quinn, Donald Sutherland e Ben Kinsley. E nel 2010, in Francia, è stata girata una miniserie di Olivier Assayas intitolata semplicemente Carlos, trasmessa anche in Italia (dalla quale abbiamo tratto le foto di apertura dell’articolo – NdR).

 

 

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Di Sauro Pennacchioli

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