BUGSY SIEGEL FONDA SIN CITY

La chiamano Sin City, la Città del Peccato. Appena i numerosi turisti scendono dall’aereo, si trovano davanti alle slot machine. Proseguendo sulla strada principale, la Strip (la striscia), si vedono gli enormi edifici degli hotel-casinò. Uno ricorda un palazzo veneziano, un altro un monumento dell’antica Roma. Più in là, si scorgono le gigantesche costruzioni dei parchi giochi. Insegne luminose pubblicizzano i concerti che le popstar terranno nelle prossime settimane. Ovunque vengono distribuiti depliant con foto di donne disponibili a pagamento.

Non per nulla siamo nella Città del Peccato, conosciuta anche con il nome ufficiale di Las Vegas. Quella che oggi è una sfavillante metropoli, negli anni quaranta era un misero villaggio disperso nel deserto rosso del Nevada. Tutto è cambiato quando un gangster chiamato Bugsy Siegel è passato di lì e ha deciso di fondare Sin City per conto della mafia italoamericana. Una storia che vale la pena di raccontare.

Benjamin Siegelbaum nasce nel 1906, in una delle tante povere famiglie ebree immigrate a New York dall’Europa. Da ragazzino si unisce a una banda di strada guidata dal poco più grande Meyer Lansky. La gang impone il pizzo ai commercianti del quartiere ebraico e organizza piccoli furti.

Essendo Benjamin ancora un piccoletto, i soci lo chiamano Bugsy (pidocchio), oltre ad abbreviargli il cognome in Siegel. Sono anni in cui il lucroso contrabbando degli alcolici è in mano a Cosa nostra, la mafia italoamericana.

Invece di combattere le gang degli ebrei, i siciliani preferiscono prenderle a loro servizio. Così, nel 1918, la banda di Lansky inizia a lavorare per Lucky Luciano, il boss emergente della mafia. Bugsy si fa apprezzare dal nuovo capo dandosi da fare nei rami del gioco d’azzardo e dei furti d’auto.
Gli unici problemi li ha con le donne: a vent’anni viene arrestato per aver violentato una showgirl di Broadway. Se la cava solo perché i suoi soci minacciano la vittima, facendole ritirare la denuncia.

Bugsy Siegel è anche un buon killer: nel 1931 fa parte del commando che uccide Joe Masseria, il vecchio capo della mafia di New York. Ottenuto in questo modo il comando su tutte le gang cittadine, nel 1937 Lucky Luciano premia Bugsy per i suoi servizi mandandolo a Los Angeles, dove l’industria cinematografica di Hollywood fa girare molti soldi e la mafia è ancora poco radicata.

Bugsy non lo delude. Organizza le bische su navi ancorate al largo di Los Angeles raggiungibili con i motoscafi, praticamente fuori dalla giurisdizione della polizia. Il gangster stabilisce la propria residenza in una sontuosa villa di Beverly Hills, dove nessuno vede mai la moglie che ha sposato nel frattempo, Esta Krakower, dalla quale ha avuto due figlie.

Non vuole la famiglia tra i piedi perché, da consumato donnaiolo quale è sempre stato, ogni notte si porta a letto un’attricetta diversa. Loro ci vanno volentieri, in cambio della promessa di una raccomandazione ai produttori per una particina in qualche film. E in effetti, gli studios hanno imparato presto a temere Bugsy Siegel, che con uno schiocco di dita può ordinare alle maestranze di non presentarsi nel set.

L’amante preferita del gangster è la volubile e capricciosa Virginia Hill, una prostituta soprannominata Flamingo (fenicottero) per il suo corpo flessuoso. Lui le affida il controllo della prostituzione, un mercato alimentato dalle numerose ragazze accorse a Hollywood nella speranza, rivelatasi illusoria, di diventare attrici.

Virginia non si accontenta del ruolo di tenutaria, e lo convince a usarla anche come “consulente finanziario”. D’ora in poi, i soldi della mafia che circolano a Los Angeles passano tra le sue mani, che si riveleranno piuttosto avide.

Bello, dal sorriso accattivante e gli occhi azzurri, sempre vestito all’ultima moda, Bugsy Siegel è ormai un uomo affermato e rispettato, compagno di bisbocce di attori del calibro di Clark Gable, Gary Cooper e Cary Grant.

Tra i suoi amici ci sono anche Tony Curtis e Frank Sinatra, al momento due spiantati, ma destinati a una carriera luminosa. Diventa molto intimo di Jean Harlow, la sex symbol del cinema americano di quegli anni.

Nel 1939, Bugsy Siegel viene arrestato di nuovo, con l’accusa di avere ucciso un informatore della polizia che minacciava di rivelare i suoi affari sporchi, ma rimane in prigione solo un mese e mezzo, ottenendo nel frattempo ben 18 permessi per uscire durante il giorno. Le accuse vengono presto ritirate per mancanza di prove.

La mente di Bugsy non è quella di un bandito di strada, lui sa ragionare come un grande imprenditore. Sa bene che le bische illegali sono costose da gestire, per metterle al riparo dai raid della polizia: riflette sul fatto che lo Stato confinante della California, il Nevada, è l’unico degli Stati Uniti ad avere legalizzato il gioco d’azzardo.

Il Nevada è praticamente un deserto, ma il gangster ha l’idea di costruirvi un casinò per attirare gli amanti del gioco da tutta l’America. Un casinò che dovrà sorgere a Las Vegas, un paesotto polveroso di ottomila abitanti che ha il vantaggio di avere una stazione ferroviaria e di sorgere su una delle poche riserve d’acqua naturali sotterranee.

Mentre infuria la Seconda guerra mondiale, Bugsy mette alla prova la sua idea comprando l’El Cortez Hotel, ma ben presto si rende conto che è un locale troppo piccolo e modesto per diventare un richiamo nazionale. Inoltre bisogna aspettare che finisca la guerra, per avere una ripresa del turismo e del gioco d’azzardo.

Nel frattempo convince i boss di New York, dei quali è pur sempre un “dipendente”, a finanziarlo con un milione e mezzo di dollari. Il suo progetto si rivela così monumentale che, alla fine, di milioni ne occorreranno sei. La costruzione dell’enorme edificio avviene a rilento per continui problemi economici, tanto che, esasperati, nel 1946 i capi di New York ordinano l’immediata apertura del locale.

Bugsy lo chiama Flamingo, in onore alla sua amante, ma siccome è ancora incompleto, deve chiuderlo subito dopo l’apertura simbolica. I problemi dipendono dal fatto che una parte dei soldi investiti dalla mafia è stata intascata da Virginia, la quale scappa a Parigi insieme al nuovo amante, un ragazzino che ha la metà dei suoi 30 anni.

L’ammanco viene scoperto dai boss newyorkesi solo nel 1947 e, pensando che la donna abbia fatto la cresta d’accordo con Bugsy, condannano a morte quest’ultimo. Il 20 giugno, mentre legge il giornale sul divano in soggiorno, un proiettile proveniente dalla finestra uccide Bugsy trapassandogli la testa. Il suo assassino non verrà mai scoperto.

Virginia, spaventata, da Parigi spedisce ai boss i soldi che aveva sottratto. Nello stesso anno viene aperto definitivamente il Flamingo, il primo grande casinò legale di Las Vegas e di tutti gli Stati Uniti: lussuosissimo, gli interni sono in marmo di Carrara.

Così, la vita di Bugsy si spegne a 41 anni mentre quella di Las Vegas inizia a fiorire intorno al locale che ha costruito. La vicenda del gangster ha ispirato diverse pellicole, tra le quali Bugsy, un film del 1991 con Warren Beatty.

Ancora oggi, Las Vegas è la città americana con la maggiore crescita di popolazione, raggiungendo i due milioni di abitanti con l’area metropolitana, ed è il principale centro turistico dopo New York. Il Flamingo esiste ancora, anche se, a causa della forte concorrenza dei casinò aperti successivamente, nel 1960 i mafiosi preferirono venderlo, incassando 10 milioni di dollari.

Il fondatore non è mai stato dimenticato e, malgrado si dica che Bugsy avesse ucciso almeno 30 persone, in un angolo del giardino dell’hotel, vicino alla cappella dove si celebrano i matrimoni-lampo (un’altra particolarità di Las Vegas), c’è una targa di bronzo che ne racconta le gesta. L’unica in America dedicata a un mafioso.



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Di Sauro Pennacchioli

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