Se non l’hai visto all’epoca, oggi, a dodici anni di distanza, perché dovresti vedere Breaking Bad? Perché spendere circa sessanta ore della tua vita per seguire le vicende di personaggi immaginari? Beh, una volta li chiamavamo telefilm. Oggi, con l’avvento del nuovo ordine mondiale e l’ascesa di Netflix, sono diventate serie televisive.

Tuttavia le cose non è che cambino dalla sera alla mattina. Spesso, il progresso va con comodo e i programmi che alimentano il focolare dell’homo televisivus ci mettono un po’ a evolvere. Dalle kitschissime scazzottate in tuta del Batman di Adam West, fino allo spropositato consumo di lacca pro capite dei personaggi di Dallas, il piccolo schermo ne ha fatta di strada…

… Breaking Bad: I am the one who knocks.

 

BREAKING BAD, PERCHÉ VEDERLO 12 ANNI DOPO?

Vero è che lo schema del cattivo, cuore pulsante delle serie, cominciò a cambiare molto tempo prima di Breaking Bad. Più o meno all’epoca in cui l’agente Dale Cooper arrivò a Twin Peaks e Dana Scully venne messa a fare squadra con Fox Mulder per indagare sugli X-Files.

Però, tolti loro e magari la sarcastica controcultura rappresentata da I Simpson (i primi, quelli veri), queste erano ancora eccezioni. Eccezioni che confermavano la regola di una televisione dominata da Cin Cin, Genitori in blu jeans, I Robinson, Baywatch e via dicendo. Quando l’argomento sono i telefilm, serial televisivi o come diavolo uno li voglia chiamare, si potrebbe andare avanti a ciarlare per ore.

A fare mattina magari, a ragionare su chi fosse il comandate migliore tra Kirk e Picard. Questo per dire che, negli anni, sono apparse opere diventate così importanti da essersi ritagliate un posto nell’immaginario collettivo. Tanto da trasformarsi in archetipi, trasformando i fan in eserciti di disperati pronti a tutto per difendere la propria serie-feticcio.

BREAKING BAD, PERCHÉ VEDERLO 12 ANNI DOPO?

 

Il punto però è sempre lo stesso: il modo convenzionale con cui Hollywood tratta la narrazione in generale. Ovvero pompare cliché. C’è voluto tempo, ma Breaking Bad è stato, appunto, quello che bussa. Anzi. Più che bussare, Breaking Bad è il postmodernismo che ha preso a calci la porta delle pigre, rassicuranti convenzioni che dominavano la televisione.

Walter White (Bryan Cranston), insegnante di chimica ad Albuquerque (Nuovo Messico, Usa) è un uomo semplice. Mite, remissivo tanto da essere quasi sottomesso da colleghi e famiglia. Afflitto da un profondo senso d’insoddisfazione per la piega che la sua vita ha preso, viene visto e trattato come il classico medio-man che si trascina giorno dopo giorno in una vita grigia e piatta, tra piccole gioie e grandi problemi.

Suo figlio Walter Junior (R.J. Mitte) è affetto da paresi cerebrale. Disturbo che gli provoca difficoltà di linguaggio e motorie, costringendolo all’uso delle stampelle. Oltretutto la nascita di un altro figlio, che sia lui che sua moglie Skyler (Anna Gunn) non avevano previsto, costringe Walter, sulla soglia dei cinquanta, a fare un secondo lavoro in un autolavaggio per sbarcare il lunario.

BREAKING BAD, PERCHÉ VEDERLO 12 ANNI DOPO?

 

A questo, metti pure che suo cognato Hank (Dean Norris), agente speciale della Dea (l’ente antidroga americano), non perde mai occasione di sottolineare le differenze tra la sua vita, emozionante e avventurosa, e quella patetica di Walter. Le cose cambiano quando a Walter viene diagnosticato un cancro terminale ai polmoni.

Elaborata con fatica la cosa, c’è solo un tarlo che rischia di farlo impazzire: la paura di lasciare moglie e figli sul lastrico e pieni di debiti. La risposta, del tutto inaspettata, avviene dall’incontro casuale con Jesse Pinkman (Aaron Paul). Jesse è un suo svogliatissimo ex alunno, diventato un piccolo spacciatore da quattro soldi.

A quel punto Walter realizza che le sue conoscenze scientifiche, unite agli agganci di Jesse, potrebbero assicurargli un veloce e grossissimo guadagno con cui risolvere i suoi problemi e sistemare la famiglia prima della dipartita. Da lì, Walter White diventerà Heisenberg: il cuoco della metanfetamina più pura che si sia mai vista.

BREAKING BAD, PERCHÉ VEDERLO 12 ANNI DOPO?

 

La popolarità di una serie è legata a due cose. Da un lato, all’ombra nera del salto dello squalo. L’ansia della cazzata che sempre t’accompagna ogni volta che ti appassioni a una serie, e pensi, sicuro prima o poi verrà fuori. Dall’altro, la necessità matta e disperata di battere cassa.

Questo significa dover diluire qualunque contenuto in, come dire… una specie di molle semolino digeribile da chiunque. Dall’ultimo ottusissimo Peter Griffin allo svogliatissimo Homer Simpson di turno tutti possono applaudire, felici e contenti di aver capito cosa cacchio sta succedendo a schermo.

“Io non sono in pericolo, Skyler. Io sono il pericolo”, diceva Walter alla moglie in una delle sequenze iconiche della serie. Sparata che probabilmente è il punto migliore da cui partire per riassumere Breaking Bad. Perché Breaking Bad è Walter White.

BREAKING BAD, PERCHÉ VEDERLO 12 ANNI DOPO?

 

La parabola di Walter è un dramma shakespeariano simile alla bottiglia di Klein: non esiste un sopra o un sotto. L’evento più tragico della sua vita è la cosa migliore che gli sia mai capitata. Il motivo che lo ha spinto verso una lenta discesa all’inferno, ma, allo stesso tempo, rappresenta la scalata al riscatto personale. Alla rivalsa nei confronti della vita che l’aveva sempre preso per il culo.

Le cose non sono bianche o nere. Poco alla volta, il cancro diventa sempre più un pretesto per Walter. Grazie al quale ottenere uno scopo, un obiettivo, che man mano diventa ossessione. Lui continua a ripetersi che sta facendo tutto per la sua famiglia, ma i contorni si fanno sempre più sfumati, la morale sempre più ambigua. In questo senso, Breaking Bad non perde mai di vista la direzione.

Era un attimo a scivolare dalle mani e trasformarsi nel classico from zero to hero. Walter White non passa all’improvviso da medio-man a Tony Montana. Cambia, evolve a causa del mondo di violenza e omicidi in cui si sta addentrando. Ma la sua indole rimane la stessa: è un uomo normale. Tutto lo spaventa e contemporaneamente lo affascina.

L’intero arco narrativo di Breaking Bad, nella sua lucida chiarezza, non è mai banale o scontato. Non esistono personaggi-autore, messi lì apposta per imboccarti con il cucchiaino. Per sottolineare situazioni e concetti, spesso, fastidiosamente ovvi. No, ci sei solo tu, i personaggi e le loro vicende. Questa, del resto, è una cosa che si riflette pure nei vari plot twist (colpi di scena – NdR).

BREAKING BAD, PERCHÉ VEDERLO 12 ANNI DOPO?

 

Molte volte l’agnizione, cioè la scoperta, è fiaccata da trovate prevedibilmente irritanti. Invece, pure quando sembra che qualcosa stia per accadere, la serie ti prende sempre alla sprovvista. I personaggi sono brillanti, definiti, carismatici e mai sovradimensionati o sottostimati. Ognuno è il tassello di un mosaico funzionale ai fini della storia.

Nessuno sta lì, buttato a casaccio, tanto per allungare il brodo e continuare a far fare cose a Walter. In questo senso, Breaking Bad si sciacqua con disinvoltura l’eventualità di trasformarsi in un buco nero propendente all’unilateralismo verso il singolo personaggio. Cosa che le serie tv, quando non s’arenano contro il muro di gomma del minutaggio eccessivo, fanno fin troppo spesso.

Il creatore della serie, Vince Gilligan, conosciuto all’epoca per essere stato sceneggiatore e regista di un cospicuo numero di episodi di X-Files, con Breaking Bad ha segnato il passo. Al suo apice, la storia dà un’impressione tipo senso di vertigine. Un po’ come affacciarsi su un baratro. Il baratro delle emozioni umane. A un certo punto tutti sono ossessionati da tutto e tutti, nel paranoico tentativo di distruggersi a vicenda.

 

La traiettoria tonale e stilistica è sorprendente: i contorni si fanno sempre più sfumati e i confini sempre più sottili. L’ago della bilancia morale continua a spostarsi da una parte all’altra e diventa difficile anche solo dar torto o ragione a chicchessia. Proprio come nella vita vera, spesso il problema è che di problemi ce ne sono tanti e le cose non possono essere risolte in modo semplicistico.

Lo stesso Walt, più s’addentra nel sudicio sottobosco della propria psiche e più ne è spaventato. Ma più si spaventa, tanto più l’alter ego Heisenberg diventa forte. Come se il burattino controllasse il burattinaio. Una costante lotta interiore che si riflette sull’intera serie, che lentamente somiglia sempre più a una proiezione da incubo della visione del mondo di Heisenberg.

Walter White è uno dei personaggi più complessi e meglio scritti nella storia del piccolo schermo. Bryan Cranston, famoso prima di Breaking Bad per essere stato il padre mezzo scemo nella sitcom Malcolm in the Middle, è assolutamente eccezionale. Per il ruolo si è aggiudicato una carretta di premi, a quest’uomo i premi glieli dovevano tirare a manetta con la fionda.

Mica pare strano il fatto che Breaking Bad sia considerata quasi all’unanimità la serie migliore di sempre. Perché vedere Breaking Bad si diceva all’inizio, no? Vivere senza aver visto Breaking Bad è un po’ come essere un Thomas Magnum senza baffi o un Arthur Fonzarelli senza giubbotto. Ti manca qualcosa di fondamentale.

 

Ebbene, detto questo credo che sia tutto.

Stay Tuned, ma soprattutto Stay Retro.

 

 

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