“I nostri nemici possono toglierci la vita ma non ci toglieranno mai la libertà”, diceva Mel Gibson in Braveheart.
Era il 1995 e il vecchio Mel aveva ancora una reputazione da difendere. Ne è passata d’acqua e di accuse, sotto i ponti, da allora.

Dall’articolo sulle 10 curiosità su Rambo è passato un po’ di tempo. Visto che le curiosità sui film sono sempre sfiziose, tanto vale riprendere. Perciò, nell’episodio di oggi abbiamo…

… cose, curiosità e fatti che forse non sapevi su Braveheart – Cuore impavido

BRAVEHEART, 10 CURIOSITÀ POCO NOTE

In Braveheart, epico dramma d’azione che, seppur in modo piuttosto fantasioso ripercorre le gesta del realmente esistito William Wallace, di violenza ce n’è a pacchi.
Tuttavia, nel primo montaggio alcune scene davano al film un tono molto più brutale.

Mel Gibson, oltre a essere protagonista e regista di Braveheart, era pure uno dei produttori. In altre parole, aveva messo del dinero per fare il film.
I primi test screening erano andati piuttosto male, perciò, per evitare un bel R-17 e la conseguente perdita d’incassi, Gibson intervenne personalmente nel montaggio. Tagliando tutto quello che avrebbe potuto tenere i ragazzini (e i loro soldi) lontani dalle sale.

BRAVEHEART, 10 CURIOSITÀ POCO NOTE

All’inizio Mel Gibson tutto voleva tranne che interpretare il ruolo del protagonista. Si sentiva troppo vecchio di almeno dieci anni per la parte.
Braveheart uscì nel 1995 e all’epoca Gibson andava per la quarantina. Mentre William Wallace al tempo dei fatti narrati nel film aveva all’incirca vent’anni.

Va be’, dettagli.
Alla fine, Gibson accettò di vestire i panni dell’eroe costretto dal contratto con Paramount. Papale papale: o fai il protagonista, oppure da noi non vedi manco un soldo.

BRAVEHEART, 10 CURIOSITÀ POCO NOTE

Iniziate le riprese, la zona scelta come location per le sequenze relative all’infanzia di William Wallace fu la valle di Glen Nevis. Caratteristica, bella, suggestiva, ma, unico difetto, si tratta della località più piovosa d’Europa.

Le riprese in zona si allungarono per ben sei settimane e, in tutto questo, ci furono solo tre giorni di sole e manco consecutivi. Alla fine si arresero a girare tutto come nei piani, fradici fino alle mutande. Tanto il bel tempo non sarebbe mai arrivato.

BRAVEHEART, 10 CURIOSITÀ POCO NOTE

Altro problema, un gruppo ambientalista per la difesa dei diritti animali s’appiccicò a Mel. Questi tipi arrivarono sul set di Braveheart convinti che gli animali utilizzati subissero maltrattamenti durante le riprese. Una volta lì se la presero in saccoccia: quasi tutti gli animali, cavalli in questo caso, erano finti.

In pratica si trattava di “animatroni” utilizzati per le scene di battaglia. Animatroni pure costosi. Erano equipaggiati con un sistema d’alimentazione a bombole d’azoto, con cui riuscivano a raggiungere la bellezza di 50 km/h in campo aperto. Altro che carote, il cavallo di William Wallace andava a Nos.
Mel Gibson ci scherzava pure su, sfidando chiunque a distinguere i cavalli finti da quelli veri.

BRAVEHEART, 10 CURIOSITÀ POCO NOTE

Fin dall’uscita di Braveheart, film e sceneggiatori sono stati accusati di aver commesso gravi errori storici.
Tipo la battaglia di Stirling Bridge: nella realtà, la cavalleria pesante inglese precipitò dal ponte, venuto giù per il troppo peso. Nel film, invece, viene sopraffatta da uno scudo umano di lancieri.

In termini di spettacolarizzazione sarebbe stata la stessa cosa? No.
In una intervista del 2009, Mel Gibson tornò sulla questione di Braveheart e la reinterpretazione dei fatti storici in chiave romanzata. All’epoca, diceva, era consapevole del fatto che stava incasinando la storia. Cosa che gli fregava zero.

“Il dovere di un film è, innanzitutto, intrattenere raccontando una storia. Successivamente, nel caso, quello d’insegnare”, concluse.
Entrando nello specifico della questione sulle inesattezze, ce n’erano pure nei documenti storici visionati per il film.

“In fin dei conti, ho dato al pubblico un eroe dal volto nuovo, migliore. Quello che ho letto di lui, e che mi si accusa di aver romanzato… Beh, non era proprio lusinghiero. Almeno, il mio Wallace non puzzava sempre di fumo e carne bruciata, perché non andava in giro a bruciare villaggi. In sostanza, il vero Wallace era quello che i vichinghi chiamavano berserker. Noi abbiamo soltanto riadattato e messo il personaggio sotto una luce migliore a uso del linguaggio cinematografico”.

Un conto è un film, altro paio di maniche un documentario, no?
Invece, non sarebbe più divertente trovare i piccoli “colpi d’ignoranza” sparsi qua e là in Braveheart?

Per esempio: Murron, la moglie di Wallace. A quanto pare il vero nome della donna era Marian. Per evitare che i vari Bob e Cletus del Kentucky andando al cinema potessero confondersi con Lady Marion, fidanzata di Robin Hood, il nome fu cambiato.

La famosa pittura facciale a strisce blu, icona di Braveheart, non è una cosa buttata lì dal film. Si tratta di una sorta di rituale chiamato guado. Il nome deriva da una pianta da cui si ricava un colorante, blu appunto, che era inteso il colore del coraggio. Dipingersi il viso in questo modo prima di una battaglia significava investirsi di coraggio.

Peccato che la storia di Braveheart si svolga intorno i primi anni del 1300 in Scozia. Perché a usare il guado per scendere in battaglia erano i guerrieri britanni, ne parla pure Cesare nel De bello Gallico. Questa usanza cessò di essere praticata verso la fine dell’Impero romano. Diciamo quegli appena appena ottocento-novecento anni o giù di lì.

L’idea di un film su Braveheart venne allo sceneggiatore Randall Wallace dopo un viaggio a Edimburgo nel 1983. Girando per la città scozzese si trovò davanti la statua di un certo William Wallace. Di cui non aveva mai sentito parlare, ma annoverato come eroe nazionale.

Incuriosito da questo personaggio con cui condivideva il nome, si mise a fare alcune ricerche. Seppe così che il Wallace del Trecento veniva descritto come il più grande campione della Scozia e qui scattò l’idea per il film.
Ora, meno male che il Wallace moderno si mise a fare ricerche, eh. Figurati cosa sarebbe venuto fuori, altrimenti.

Avete presente la scena in cui Murron dona quel fiore a William, che poi conserverà fino alla fine? Benissimo, quel fiore è un cardo tipico della Scozia. Come simbolismo ci sta a palla, no? Nello script originale però, prima della revisione, Randall scriveva che Murron donava a William una rosa.

Qualcuno gli fece notare che la rosa è un simbolo tradizionale dell’Inghilterra.
Sarebbe stato strano che l’eroe della Scozia conservasse con affetto un simbolo del regno contro cui lottava.
Sempre riguardo al discorso che per Braveheart si erano messi a fare le ricerche”, un altro bell’esempio di scrupolosità è il kilt.

Tenendo presente che Braveheart è ambientato nel 1300, all’epoca, gli indumenti usati dagli scozzesi si limitavano generalmente a un abito chiamato plaid.

Il plaid era una specie di veste di stoffa grezza che ricopriva il corpo per intero, cosa che permetteva di essere usata pure come coperta, e stretta ai fianchi con una cintura. In questo modo, la parte inferiore formava una sorta di gonna, che rendeva più agevole la marcia nella brughiere (oggi chiamiamo plaid la coperta da viaggio che teniamo in auto – NdR).

Invece il kilt, oggi considerato un abito tradizionale, in realtà fu ideato da Thomas Rawlinson, un imprenditore tedesco trasferitosi in Scozia agli inizi del Settecento.
Per facilitare il lavoro nei boschi, si inventò una gonnella prendendo spunto dai vecchi abiti tradizionali come il plaid, appunto. Questo succedeva verso gli anni trenta del 1700.

Ergo, il kilt è un indumento moderno. Nato quattrocento e passa anni dopo le gesta di William Wallace.

Sorvolando su panni, fiori e fatti, negli anni novanta Mel Gibson era un super-divo-super-celebrità dalla reputazione impeccabile. Ma dall’uscita di Braveheart cominciavano a venir fuori alcune zone d’ombra.
In un’intervista rilasciata in Spagna, Gibson si tirò appresso parecchie lamentale e, successivamente, venne accusato di omofobia.

Questo, per aver rappresentato nel film il principe di Galles, futuro re inglese Edoardo II, come effeminato omosessuale. Dal punto di vista storico c’è da dire che intratteneva relazioni con uomini. Tanto da avere i suoi favoriti. Però sarebbe stato più preciso parlare di bisessualità, in quanto aveva rapporti con entrambi i sessi.

In Braveheart viene raffigurato ai limiti di una checca isterica.

In un’altra intervista rilasciata a Playboy nel 1995, Gibson si rifiutò di chiedere scusa. Salvo “ritrattare” alcuni anni dopo, verso il 1999.

Nell’ennesima intervista, per il Daily Telegraph, stavolta, tornando su Braveheart disse “di essere rammaricato per l’accaduto”. Perché all’epoca di quell’intervista era ubriaco di Vodka.

Ebbene, detto questo credo sia tutto.

Stay Tuned, ma soprattutto Stay Retro.

 

 

3 pensiero su “BRAVEHEART, 10 CURIOSITÀ POCO NOTE”
  1. A mio modesto parere, il film è sullo stesso fil rouge di mad max, che vendica la morte della moglie e del figlioletto, però ambientata nella Scozia ed arricchita con con aspetti folcloristici, anche se non corretti storicamente. Sono d’accordo sul fatto che un conto è un film, un conto un documentario storico. Anche nei film è concessa la “licenza poetica”.

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