Premetto che non amo le serie tv. Non le amo semplicemente perché sono impaziente. Un film o uno spettacolo teatrale (se valgono) sono emozioni che durano un tempo limitato, nel quale mi lascio trasportare altrove e non penso più a nulla. Vivo un’altra vita. Poi, però, finisce lì.

Le serie hanno, invece, puntate molto brevi (anche di 30 o 40 minuti), ma si protraggono nel tempo. Personalmente, non riesco ad aspettare la puntata successiva: oltretutto spesso mi capita qualcosa per la quale dimentico di guardare l’episodio successivo. In realtà, una volta uscito da quel mondo narrato, è come se la mia vita gridasse di essere vissuta senza distrazioni. La stessa cosa, a pensarci bene, mi capita con i libri: ma almeno con quelli sono io a decidere quando e dove leggerli e, soprattutto, posso tornare qualche pagina indietro e reimmergermi nella storia con maggiore facilità.

Tuttavia, durante queste vacanze natalizie, avevo voglia di vedere qualcosa di eccitante e mi sono ricordato dei commenti entusiasti di alcuni amici relativi a “Le regole del delitto perfetto”. Così ho voluto vedere le prime puntate … in tre giorni ho divorato tutta la prima stagione (2014)!

Che dire? Decisamente ben fatto. L’intreccio principale, ovvero quello che lega tutti gli episodi, è particolarmente complesso e richiede attenzione. Pieno di rimandi temporali indietro e in avanti che arricchiscono di colpi di scena l’intera trama. Poi, in ogni singola puntata viene narrata una micro storia parallela che inizia e finisce con quell’episodio. Tutto questo movimento narrativo consente ai personaggi di tirare fuori i loro caratteri e le loro storie personali. Infine, ma non per ultimo, c’è una tecnica filmica veloce e sapiente.

Il tutto si svolge in uno studio legale di diritto penale: omicidi, stupri, corruzione. Insomma, episodi drammatici che solleticano sempre la curiosità dello spettatore. Gli avvocati sono giovani, di bell’aspetto e intelligenti. L’avvocato penalista che li istruisce è una donna senza scrupoli il cui unico obiettivo è vincere. Tutti, in un modo o nell’altro, sono diversi da ciò che sembrano.

La gran parte del suo successo, però, credo dipenda anche da altro. A una lettura più profonda della storia, si intravede una velata critica al sistema giudiziario americano: “Non esiste la verità, ma solo la versione (della verità) più convincente”, e questo sottintende che vincerà la verità meglio rappresentata dall’avvocato più bravo (e pagato).

Infine il sesso! Tanto sesso, di ogni tipo: etero, omo, lesbo… usato per lo più a scopi diversi rispetto a quanto ci si attenderebbe. L’amore, infatti, è marginale in questa serie e costantemente in bilico tra verità e utilità. Ma come direbbe Annalise (la boss dello studio), non importa se esiste davvero, conta solo se raggiunge lo scopo!

Ne esce una realtà americana a tanti volti, fatta di cattivi (per lo più), ma anche di buoni, forse disorientati e in cerca di loro stessi.

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