RIFLESSIONI TARDIVE SULL’ASSOLUZIONE DI TINTIN DALL’ACCUSA DI RAZZISMO

Può una sentenza cambiare la storia?

Certamente sì. Dal processo di Ponzio Pilato a Gesù, sino ai nostri giorni, grandi infamie sono state commesse in aule cosiddette di giustizia. Al tempo stesso, grandi trasformazioni sociali si sono compiute per via giudiziaria piuttosto che alla volontà di governi o parlamenti: basti pensare alle sentenze della Corte suprema americana che, negli anni sessanta, diedero il colpo di grazia alle norme che, in alcuni Stati del sud, ancora impedivano a un nero di sedersi di fianco a un bianco in autobus.

L’impatto giudiziario può essere molto forte anche per le arti, dato che grandi scrittori furono sottoposti a processo penale: Oscar Wilde e Gustave Flaubert, per fare dei nomi. Nei libri di storia del cinema è citata la cosiddetta “sentenza Paramount”, decisione della Corte suprema che, nel 1948, smantellando il sistema in base al quale le major possedevano le proprie sale, cambiò per sempre le regole della produzione e distribuzione cinematografiche.

Chiunque segua lo sport, poi, sa che il mercato dei calciatori è stato rivoluzionato dalla “sentenza Bosman”, pronunciata nel 1995 dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea.

Anche la storia del fumetto è costellata di episodi giudiziari. Se si legge una autobiografia come quella di Joe Simon, creatore con Jack Kirby di Capitan America (The Comic Book makers, 1990), si resta stupiti dal notevole numero di controversie legali delle quali l’autore riferisce. Alcune lo riguardarono personalmente, a tutela dei suoi diritti d’autore. Simon depose poi come teste nella madre di molte cause civili: quella per plagio intentata nel 1941 dalla Dc Comics contro la Fawcett, al fine di far cessare le pubblicazioni di Capitan Marvel, un personaggio che rischiava di offuscare la fama di Superman (ora si chiama Shazam e gli hanno fatto un film).

Altre controversie giudiziarie hanno attraversato la storia del fumetto. Negli anni sessanta, ancora negli Usa, fece scalpore il processo ai cosiddetti “Pirati dell’aria”, un gruppo di autori underground, capeggiato da Dan O’Neill, che utilizzava i personaggi della Disney in situazioni poco consone allo spirito tradizionalista della casa madre. La storia è narrata in un bel libro pubblicato anche da noi: Un pornotopolino tra i pirati, Free Books, 2006.

Si sa che in Italia i fumetti “neri” dovettero schivare denunce e sequestri disposti da vari pretori. Mostrando grande attenzione per l’argomento, Davide Barzi ha dedicato ampio spazio, nella sua biografia delle sorelle Giussani (Le regine del terrore, Edizioni BD, 2007), alle vicende processuali relative a Diabolik.

Ancora problemi penali li ebbe, negli anni novanta, l’autore spagnolo Miguel Angel Martin. Meritoriamente, nella ristampa integrale di qualche anno fa Total ovefuck (Nicola Pesce Editore, 2016), sono stati inseriti anche gli atti giudiziari, così che ciascun lettore possa farsi una sua idea.

Ma negli ultimi anni il processo più interessante, tra quelli che hanno visto gli eroi del fumetto in tribunale, è la causa civile intentata a Bruxelles da un cittadino belga, di origine congolese, contro la Moulinsart e la Casterman, detentrici dei diritti sull’opera di Hergé.


In rete è agevole trovare ampi riferimenti alla vicenda, e anche il testo integrale della sentenza, che però può risultare di difficile comprensione per chi non conosca la lingua e le sottigliezze del diritto.

Approfittando del recentissimo compleanno di Tintin (90 anni ben portati), proviamo a ricapitolare i termini della faccenda.

Bienvenu Mbutu Mondondo

Invocando una legge belga del 1981, che reprime atti ispirati a razzismo e xenofobia, nel 2010, il signor Bienvenu Mbutu Mondondo si rivolse al tribunale di prima istanza di Bruxelles chiedendo che Tintin in Congo, il secondo album della serie, venisse ritirato dal commercio o, in via subordinata, pubblicato con una fascetta rossa che mettesse in guardia i lettori circa il suo contenuto. Motivo? Nell’albo gli africani sono rappresentati come tutti somiglianti tra loro e somiglianti alle scimmie, con bocche enormi, fattezze grossolane e caratteristiche caricaturali. Il testo utilizza il termine “negro”, almeno nella prima edizione, e Tintin dimostra, verso i nativi, un atteggiamento di superiorità e disprezzo.


Rigettata la domanda dal tribunale, Mbutu, con l’appoggio della Cran, una associazione senza scopo di lucro, impugnò la sentenza.

In data 28/11/2012 la Corte d’appello di Bruxelles, nona sezione, rigettò l’appello. La sentenza, per quanto se ne sa, è divenuta definitiva, non essendo stato proposto ricorso in cassazione.

La lettura della decisione è una vera goduria per gli appassionati di fumetti, ed è singolare notare le differenze tra la corte belga e i nostri giudici. Mentre da noi sembra spesso esserci dell’imbarazzo nel parlare di questi temi (in certe sentenze la parola fumetto è messa tra virgolette, come se fosse un termine improprio, gergale o sconveniente), la corte d’appello di Bruxelles parla dell’opera di Hergé con cognizione di causa, citando anche i risultati dell’analisi critica.

Foto pubblicitaria del 1929 con un missionario bianco

Non è chiaro, dalla lettura della decisione, se le convinzioni espresse dai giudici facciano parte di quella che il nostro codice chiama “scienza privata”, e vieta di utilizzare, o se ponderosi trattati di fumettologia siano stati acquisiti agli atti della causa. Certo è che la Corte non ha dubbi: “È unanimemente ammesso da tutti i commentatori dell’opera di Hergé – e da lui stesso nelle interviste successive – che egli non era mai stato in Congo, e che si ispirò alla documentazione del Museo coloniale di Tervure … Egli non ha fatto altro che riprodurre gli stereotipi veicolati nell’ambiente borghese e cattolico al quale apparteneva. Tintin in Congo è, prima di tutto, una testimonianza della storia comune del Belgio e del Congo in una data epoca. A questo proposito, è sufficiente comparare le fotografie scattate in Congo nel 1930 con certe vignette dell’albo per essere colpiti dalla similitudine delle situazioni. Hergé ha del resto riconosciuto, dopo la Seconda guerra mondiale e l’evoluzione delle mentalità, senza rinnegare la sua opera originaria, che l’avrebbe rifatta in modo del tutto differente, cominciando con il recarsi personalmente in Congo, documentarsi e immergersi nella atmosfera del Paese”.

Insomma, i magistrati belgi conoscono il pensiero di Hergé quanto i critici del fumetto.

 

“La vostra patria è il Belgio”
Tintin e gli africani maldestri

 

Questa la loro conclusione: “Nulla permette di affermare, come sostengono gli appellanti, che i ragazzi del XXI secolo, di fronte a questo fumetto, non sarebbero in grado di relativizzare gli stereotipi del passato e di collocare l’opera nel suo contesto storico”.

Albert Mourlain, 1919: una tipica rappresentazione degli africani nei primi decenni del Novecento

Quanto alla domanda subordinata di apporre una fascetta rossa di avvertimento (soluzione peraltro adottata dalla Egmont nella versione inglese), i giudici d’appello la risolvono agevolmente sostenendo che “essa costituirebbe una ingerenza nell’esercizio della libertà d’espressione, urterebbe contro il diritto morale all’integrità dell’opera e non può essere opposta” alle parti in causa Moulinsart e Casterman, che detengono solo i diritti di sfruttamento economico dell’opera di Hergé (mentre il diritto morale, spiegano ancora i giudici, fu lasciato da Hergé alla moglie, Fanny Rodwell).

Forse opportunamente, per non dare altra pubblicità alla vicenda, i curatori dell’ottima edizione uscita dal 2016 al 2017 in edicola in allegato al Corriere della Sera hanno scelto di non commentare gli accadimenti giudiziari, limitandosi a menzionare le tentazioni censorie che affliggono questo episodio, e a ricordare l’opera per quello che era: il fumetto umoristico di un autore alle prime armi, destinato a un pubblico di bambini che non avrebbero capito nulla se Hergé si fosse fatto, in contrasto con la mentalità dell’epoca, paladino di una decolonizzazione ancora da venire.

Non è da escludere che, un giorno o l’altro, i comics tornino in tribunale e trovino qualche toga meno disposta a studiare il significato di un’opera e a difendere la sua integrità.

 

© Francesco Lentano 2019

 

 

Un pensiero su “L’ASSOLUZIONE DI TINTIN DALL’ACCUSA DI RAZZISMO”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *