I fumetti servivano a combattere la noia in un periodo in cui i media non erano ancora numerosi e sviluppati come oggi.
Negli anni settanta i primi videogiochi avevano schemi molto elementari e ripetitivi. Soprattutto, le televisioni commerciali non c’erano ancora (sarebbero arrivate alla fine del decennio) e quindi ci si doveva accontentare delle due reti Rai che trasmettevano solo di sera, presentando non sempre programmi ultrapopolari (tanto la concorrenza non c’era). Internet, infine, si chiamava in altro modo ed era ancora riservato a ricercatori e militari.
Per contrastare la noia rimanevano i giornali, molti dei quali dedicati ai fumetti, appunto.


C’erano i fumetti per bambini in formato tascabile. Topolino, pubblicato dalla Mondadori, e i suoi concorrenti della Bianconi (Braccio di Ferro, Geppo, Soldino e Nonna Abelarda) e della Alpe (Cucciolo e Tiramolla).
Bianconi e la Alpe presentavano delle storie tirat
e via nei testi e nei disegni, ma erano più trasgressive rispetto a quelle di Topolino, soprattutto da quando lo sceneggiatore Guido Martina venne accantonato dalla Disney proprio per la sua trasgressività.

 


I settimanali per bambini di grande formato, come il Corriere dei Piccoli (del Corriere della Sera, poi Rizzoli) e Il Giornalino (della San Paolo), percorsero due strade diverse.
Il primo, limitando i fumetti franco-belgi che presentava in precedenza, cercò di proporsi a un pubblico di ragazzi “sofisticato”, finendo per rompersi le corna, mentre il secondo preferì accontentarsi del proprio pubblico naturale, con risultati migliori.

 


Anche se in declino come genere cinematografico, i western cartacei vendevano l’ira di dio. Tex, con le sue 500mila copie vendute, si tirava dietro gli altri personaggi Bonelli. Solo nel 1975, con Mister No, venne presentato un aviatore al posto del solito mandriano. La fortuna della Bonelli è stata quella di avere avuto un ottimo sceneggiatore anche nella seconda generazione di editori, ovvero Sergio Bonelli (detto Guido Nolitta), figlio di Gian Luigi.
A differenza dei concorrenti dell’Editoriale Dardo, dove Gino Casarotti non ha avuto un erede sufficientemente creativo e così il Grande Blek e Capitan Miki, dopo aver fatto sfracelli di vendite negli anni cinquanta, nei settanta campavano solo con tristi ristampe.

 


La Casa Editrice Universo era l’azienda maggiore con due colossi come il settimanale Intrepido, sulle 600mila copie vendute, e il settimanale Il Monello, con più di 400mila. Ai quali negli anni settanta si aggiunsero altri settimanali, più moderni ma meno fortunati. Il format era quello delle riviste antologiche, con storie senza personaggio fisso alternate a storie con personaggio fisso. In genere ricordavano i telefilm, che all’epoca si vedevano ancora poco alla tv italiana.
Recenti concorrenti erano i due settimanali dell’Eura: Lanciostory e Skorpio, che partiti con i fumetti italiani virarono ben presto sul promettente fumetto argentino.

 


L’Astorina proponeva Diabolik, un quattordicinale per ragazzi un po’ più grandi, non osando farlo diventare settimanale come il rivale Kriminal dell’Editoriale Corno, che proprio in quel decennio chiuse i battenti insieme a Satanik, altro personaggio di Max Bunker (Luciano Secchi) e Magnus (Roberto Raviola).
L’estrema cura di Angela Giussani ha avuto la meglio su una certa approssimazione di Luciano Secchi, che doveva curare un sacco di altre serie.

 


Il pubblico intellettuale poteva trovare in edicola Linus della Milano Libri, un mensile molto più seguito dell’attuale versione. Il solito Luciano Secchi lo tallonava con il quattordicinale Eureka, decisamente meno prestigioso e “impegnato”.
Queste due riviste, e altre, come Il Mago della Mondadori e lo straordinario Cannibale di Andrea Pazienza e Tanino Liberatore, erano una lettura obbligata per gli esperti del fumetto. Fatelo voi, oggi, un altro Cannibale!

 


Di contro, Edifumetto ed Ediperiodici presentavano decine di tascabili erotici quattordicinali, dal protofantasy Biancaneve (in versione hard) all’evocativo Corna Vissute, per un pubblico adulto meno esigente. Qui si formarono grandi disegnatori come Milo Manara e Leone Frollo, per dirne un paio. Più tradizionali gli sceneggiatori, salvo il geniale Carmelo Gozzo di Storie Blu.
Questi numerosi tascabili chiusero negli anni ottanta a causa dell’arrivo delle videocassette hard.

 


Per quanto riguarda i comic book, gli anni settanta sono stati il decennio che ha visto il lancio dei fumetti Marvel con numerose testate da parte della Corno, mentre la Cenisio non fu altrettanto abile a continuare la pubblicazione dei fumetti Dc Comics iniziata dalla Mondadori. Certo, la qualità delle storie era molto differente.

Si tenga comunque presente che i fumetti stranieri erano un po’ un’eccezione nell’Italia dell’epoca, ricca com’era di vendutissimi fumetti autoctoni.

 


Questi e altri fumetti riempivano le case degli italiani durante gli anni settanta, finché la nostra noia esistenziale venne combattuta e sconfitta dalle nuove reti televisive, che all’improvviso riversarono sullo spettatore un ventennio di telefilm in gran parte ancora inediti, come Star Trek e Batman, senza contare le serie animate giapponesi…

Così l’italico mercato del fumetto, pur grandissimo e diversificato, è crollato in pochi anni. Secondo me i responsabili maggiori della sconfitta sono i supervisori delle case editrici che, salvo eccezioni, puntavano su fumetti convenzionali. Convenzionali come le serie televisive che scimmiottavano, le quali però erano gratuite.

 

A chi fosse interessato, consiglio due miei altri articoli più interessanti di questo: quello dedicato alla chiusura delle grandi case editrici di fumetti, lo si può leggere cliccando qui, e quello con i dati di vendita delle testate uscite nel decennio: qui.

 

 

(Immagine di apertura: Andrea Pazienza, “Pippo – Antologia psicotropa”, Mondadori)

 

 

Di Sauro Pennacchioli

Contatto E-mail: info@giornale.pop

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