LE CONTRADDIZIONI DEGLI ANIMALI UMANIZZATI DELLA DISNEY

È difficile prendersi sul serio quando si parla di animali umanizzati. Immaginare un’oca, un cavallo, un topo che cercano di assomigliare a noi soffrendo sul lavoro, pagando le tasse, cercando un compagno di vita, richiede una grossa sospensione dell’incredulità.

Eppure c’è chi ha studiato seriamente la questioni relative all’antropomorfismo nella letteratura, nei fumetti, nel cinema, giungendo a conclusioni contrastanti. Limitando l’attenzione al mondo di Walt Disney, per esempio, c’è chi accusa il creatore di Topolino di aver creato animali bamboleggianti, fintamente somiglianti agli uomini. D’altra parte, sempre recentemente, uno studio internazionale ha attribuito all’antropomorfismo, anche disneyano, un’utilità nel rendere l’opinione pubblica più favorevole ai progetti di protezione e conservazione dell’ambiente.

Cominciamo con il distinguere l’antropomorfismo dagli animali parlanti, che nel mondo disneyano trovano un ottimo esempio nel film Bambi. Qui cervi, gufi, conigli, parlano tra di loro una lingua comune, ma si comportano pur sempre da animali e ne mantengono le fattezze.

Nel mondo del fumetto disneyano, l’antropomorfismo è incompleto e problematico.

Incompleto perché, se è vero che tutti i personaggi simil-umani hanno fattezze di animali, vi sono però molti animali che mantengono le loro caratteristiche naturali. Così Pippo si assume essere un cane, ma anche Pluto lo è; sicché non si comprende perché il primo sia dotato di un (limitato) raziocinio, parli e guidi l’auto, mentre il secondo scondinzola e mangia nella ciotola come si conviene a un quadrupede domestico.


Problematico perché, in primo luogo, non sempre è chiaro a quale universo appartengano questi personaggi e se si tratti del mondo “vero”. Non mancano, infatti, storie in cui Paperino e compagni vengono fatti interagire con personaggi che hanno fattezze definitivamente umane. Una delle storie più celebri di questo filone è “Paperino e le spie atomichedi Carl Barks, ma anche nel cinema esistono esempi di questo tipo, come nel celebre I tre caballeros, dove Donald Duck balla una samba scatenata con l’attrice Aurora Miranda.

Ma l’aspetto più problematico è un altro. All’origine, ciascuno dei personaggi disneyani è una sorta di monade, e l’appartenenza a diverse specie animali non crea particolari problemi. Mickey Mouse può combattere, sin dai primi cortometraggi, contro un grosso gatto, che è poi una sorta di antenato dell’attuale Gambadilegno; e Donald Duck, da buon animale della fattoria, può interagire con un maiale sbruffone (Meo Porcello) e una gallinella saggia.

Il problema si crea quando le storie disneyane perdono il tratto rurale che le caratterizza, i personaggi si imborghesiscono, e i loro autori pensano di farne dei perfetti americani, inseriti in una società complessa.

Qui sorge il problema principale, perché l’appartenenza a una specie animale non solo caratterizza singoli personaggi e rende problematici i rapporti con gli altri membri della stessa specie, ma crea imbarazzi legati a una visione interspecista.

In altri termini, il mondo disneyano tradizionale (parliamo ormai solo di fumetti, perché la produzione animata è orientata da tempo verso altre direzioni) non è popolato da membri di tutte le specie che esistono in natura, ma solo da alcune.

Realizzare una storia a fumetti con animali antropomorfi di tutte le specie non è agevole, anche se esistono interessantissimi esempi in tal senso: si veda da noi, qualche anno fa, il graphic novel “Un fatto umano”, opera di Manfredi Giffone ai testi, Fabrizio Longo e Alessandro Parodi ai disegni, dedicata a mafia e magistratura, in cui troviamo anche tacchini, facoceri, elefanti, coccodrilli, cinghiali, rane… insomma un intero zoo, nel quale spiccano Giovanni Falcone-gatto, Paolo Borsellino-fox terrier, Giulio Andreotti-pipistrello, e così via.

La scelta degli autori disneyani si è invece andata attestando verso un’altra direzione, in cui emergono due specie dominanti: i topi e i paperi.

Primo problema: le due specie possono vivere insieme? La tradizione dei fumetti vuole che Topolinia (in inglese Mouseton solo dagli anni novanta su ispirazione italiana, prima nei fumetti americani la città non aveva alcun nome – NdR) sia ben separata da Paperopoli (la Duckburg di Barks – NdR), ma non è stato sempre così. Nelle vecchie strisce di Floyd Gottfredson per i giornali quotidiani a volte Paperino è spalla di Topolino, e davvero non si vedono le ragioni per non far interagire due personaggi diversi, il cui incontro-scontro può essere, già di per sé, occasione di gag e trovate umoristiche.

Ora, se una città si chiama Topolinia, ci si aspetta che sia abitata essenzialmente da topi; ma, a ben vedere, costoro costituiscono un’assoluta minoranza etnico-zoologica (proprio perché nei fumetti americani originali, che l’hanno mostrata per la prima volta, non aveva nome – NdR).

Di sorci, in realtà, se ne vedono ben pochi: Minnie, naturalmente, e qualche saltuario parente di costei o di Mickey Mouse. Non è nemmeno vero questo, perché, tanto per citare una storia recentemente ristampata (“Topolino e il cugino hippy”, disegni di Sergio Asteriti, del 1973), il protagonista Toppy, pur essendo un parente del nostro eroe, non ha affatto le fattezze di un roditore.

Gli altri abitanti noti di Topolinia sono Orazio (un cavallo), Clarabella (una mucca), Pippo, Basettoni, Manetta (dei cani). Più una pletora infinita di comprimari le cui fattezze sono genericamente “animali” (il nasone e le orecchie lunghe), ma che non sempre sono riconducibili a una specie definita.

Rari i tentativi di introdurre altri appartenenti alla classe dei roditori, sebbene gli esperimenti non manchino (si pensi a Topesio), e se ne comprende bene la ragione. Topolino è un personaggio dalla silhouette inconfondibile, la cui immagine si materializza non appena due grossi cerchi si innestano, a mo’ di orecchie, su un cerchio maggiore che funge da testa. La sua dimensione iconica è tale da avere attirato l’attenzione di artisti di tutto il mondo. C’è uno splendido libro mai tradotto in italiano, “The art of Mickey Mouse”, curato da Craig Yoe, in cui il topo per antonomasia è “interpretato” da fumettisti insospettabili come Jack Kirby, Charles Schulz e Moebius, da artisti indiscussi come Andy Warhol, da grafici e designer. Topolino resta riconoscibile anche quando si riduce, appunto, a un insieme geometrico di cerchi o a macchie di vernice scolate su un pavimento.

Qualsiasi altra creatura disegnata in questo modo finirebbe con l’assomigliare al modello, renderebbe difficile scorgere le differenze, confonderebbe le idee dei giovani lettori, ove ad esempio gli fosse attribuito un ruolo da antagonista dell’eroe.

Si potrebbe concludere che esiste un’unica famiglia di topi, e un indizio a favore di questa tesi risiede nell’uso del cognome (Mouse, appunto), che nell’originale accomuna sia Mickey che Minnie. Ma le conseguenze che possono discenderne sono discutibili: se fratelli e sorella, i due eroi commetterebbero incesto. Se cugini, avrebbero bisogno, per unirsi in matrimonio, di una speciale autorizzazione religiosa in Italia, mentre negli Stati Uniti, dopo l’Ottocento, sarebbe stato più problematico ancora. Nel caso di parenti più alla lontana, difficilmente avrebbero potuto conoscersi nelle circostanze fortunose in cui ciò avviene nei primi short animati e nei primi fumetti.

Se il cognome Mouse, dunque, designa una famiglia allargata, una sorta di ceppo etnico, si può concludere che tutti i topi disneyani ne facciano parte? E se sì, come mai la loro presenza resta così sporadica in una città cui pure essi sembrano aver dato nome?

Certamente, se si vuol ragionare per gruppi o minoranze etniche, Topolinia è una città di grande tolleranza, in cui ogni specie convive pacificamente con le altre, e non sembrano esserci rivendicazioni circa il maggiore peso politico dell’uno o dell’altra. Di contro, le varie specie sembrano non mescolarsi tra di loro. Non è documentata la possibilità di ibridare un topo con un gatto, anche se gli eterni fidanzati Orazio e Clarabella darebbero vita, nel caso in cui il connubio dovesse realizzarsi, a un ibrido tra cavallo e mucca, non ancora immaginato neanche dai più biotecnologi.


La situazione dei paperi è un po’ diversa. La loro città, Paperopoli, è parimenti abitata da individui di diverse specie, tra cui animali “generici” in tutto simili a quelli di Topolinia. Tuttavia intorno a Donald Duck, Primo Papero dell’universo Disney, gli autori hanno costruito un mondo di comprimari che appartengono indubbiamente alla medesima specie.

Non solo ci sono i vari membri della famiglia allargata che tutti conoscono (Paperone, Gastone, Paperoga), ma continuamente vengono introdotte creazioni minori e saltuarie, che certamente non sono legate da vincoli di parentela, ma fanno mostra di un bel becco e di zampe palmate. Tra queste Miss Paperett, segretaria di Paperone.

Mentre il mondo dei topi sembra circoscritto a una città, i paperi sono indubbiamente diffusi nel mondo. È una papera Amelia, la fattucchiera che ammalia, alla quale viene però attribuita, sin dal creatore Carl Barks, un’origine partenopea (si dice fosse ispirata all’attrice Sophia Loren) con residenza sul Vesuvio.

Rispetto ai topi, la cui genealogia è sempre rimasta problematica, i paperi hanno avuto vari tentativi di sistematizzazione (soprattutto a opera di Don Rosa), e anche la loro città è stata dotata di una storia, assumendosi fondata da tale Cornelius Coot. Ma poiché si immagina che costui sia discendente da una famiglia di coloni della Virginia, si può ben concludere che i paperi sono presenti in tutto il mondo, ove convivono con altre specie animali.

Il maggiore successo commerciale dei paperi, soprattutto nelle pubblicazioni italiane, è conformato dalla circostanza che è questa la forma utilizzata per introdurre saltuariamente, nel mondo disneyano, personaggi di successo dello spettacolo, della politica o dello sport. Abbiamo così Paperica, versione a fumetti del giornalista Vincenzo Mollica, grande esperto di fumetti e giornalista cinematografico della Rai; Papertotti, omaggio al leggendario capitano della Roma; Umperio Bogarto, trasposizione del mito di Hollywood Humphrey Bogart.

Anche di questo si comprende bene la ragione: realizzare graficamente un papero è cosa più semplice, basta munirlo di un becco e il gioco è fatto. (Inoltre l’effetto è molto più vivace rispetto all’idea di presentare tanti personaggi con il “casco” nero di Topolino sormontato dalle due grandi orecchie paraboliche).


Ma pure per queste creature “paperesche” sorge qualche problema di adattamento. Se i paperi sono un ceppo isolato della popolazione, ben si comprende la loro propensione a frequentarsi solo tra di loro. Ecco che Paperino, quando sogna di intervistare Marilyn Monroe nel capolavoro di Romano Scarpa “Paperino e i gamberi in salmì”, le chiede: “Vi sono simpatici i paperi?”. Ma se l’attrice non appartiene a quel gruppo, la simpatia faticherà a diventare qualcosa di più concreto, a meno di non accettare, appunto, l’idea della specie ibrida.

Però in natura di animali ibridi ce n’è ben pochi. Il più famoso è il mulo, ottenuto incrociando asino e cavalla, ma incapace di riprodursi a sua volta.

Un’ulteriore contraddizione dell’antropomorfismo disneyano sta nella non corrispondenza tra le caratteristiche umane dei personaggi e quelle della specie animale associate.

Se Topolino ha in comune con il roditore le piccole dimensioni, non disgiunte però da grande abilità e coraggio, davvero si fatica a capire perché un avaro come Zio Paperone debba essere un papero. Manca dunque, nel mondo disneyano, quell’abbinamento tipico dell’antropomorfismo tradizionale, risalente alle favore di Esopo e Fedro, per cui la furbizia è della volpe e la crudeltà è del lupo.

Aporie? Contraddizioni? Cretinate? Può darsi. Ma, sullo sfondo di questioni non essenziali per il futuro del genere umano, resta una considerazione. L’universo Disney nasce sull’ispirazione di molteplici fonti. Il vecchio Walt si rifaceva, nel creare animali antropomorfi con un nome di battesimo e il cognome della specie animale, a una tradizione che nel mondo anglosassone aveva basi consolidate anche grazie all’opera di Beatrix Potter, i cui racconti illustrati avevano per protagonisti personaggi come Peter Rabbit o Tom Kitten.


Ma queste caratterizzazioni funzionano fintanto che i personaggi della storia sono pochi animali che interagiscono tra loro in un contesto da favola campestre. Quando si sviluppa l’ossessione del realismo, emergono le contraddizioni. Faticosamente i nuovi autori disneyani cercano di stare al passo con i tempi e di mostrare paperi e topi con il cellulare, la carta d’identità e il codice della previdenza sociale, ma sono proprio queste situazioni a far emergere continue incongruenze.

Per rimediare all’errore di non aver dato inizialmente un nome di battesimo a Donald Duck, i traduttori italiani si sono inventati le generalità di Paolino Paperino, creando un nome che non viene praticamente mai usato (ma che ripristina la regolarità anagrafica) e determinando un’ulteriore contraddizione: non si sono mai visti tre nipotini e una fidanzata che chiamano lo zio o il moroso con il cognome anziché con il nome.

Forse aveva capito tutto l’editore Nerbini quando nell’anteguerra, per continuare a pubblicarlo nel momento in cui si “accorse” di non avere avuto i diritti dalla Disney, cambiò il personaggio chiamandolo Topo Lino. O Steve Gerber, che rinverdì per la Marvel i fasti del papero antropomorfo creando Howard the Duck, facendolo però diventare un alieno e inserendolo però in un mondo umano (quello terrestre) ove il palmipede dava, per contrasto, il meglio di sé.

Forse si tratta solo di questioni troppo oziose, in fondo, che si chiami Mickey Mouse o Topolino, il personaggio resta sempre un sorcio. Come insegna il recente successo dei cartoni animati di Peppa Pig, l’abbinamento tra un nome di battesimo e un cognome di specie animale, rigorosamente allitteranti, è sempre una garanzia.

 

© 2018 Francesco Lentano

 

LE CONTRADDIZIONI DEGLI ANIMALI UMANIZZATI DELLA DISNEY
Gli umanizzati Tre porcellini e la fin troppo realistica fine del loro padre

 

13 pensiero su “LE CONTRADDIZIONI DEGLI ANIMALI UMANIZZATI”
    1. Beh, ho sempre letto le storie di Paperino e topolino e credo che le abbia lete chiunque conosco ma a nessuno è mai venuto in mente di fare la conta di quanti topi, gatti o paperi esistessero nel mondo disney e che tipo di ibrido nascerebbe da Orazio e Clarabella o tra Paperino e minnie. I dubbi erano sul perchè fossero tutti zii e nipoti e nessuno avesse un papà e/o una mamma e su come si pronunciasse il nome.da super eroe di Paperino, Paperinìk o Paperìnik.. In ogni caso mi scuso se l ho offesa. Un saluto . Luigi

  1. Comunque a me è sempre sembrato che Topolinia e Paperopoli fossero abitate in maggioranza da cani, magari cani molto strani, alcuni con parrucche ed orecchie corte, altri ancora con calvizie o con riportini, altri capelloni e con orecchie lunghe. Certo a Paperopoli ci sono anche molti paperi e diverse oche, e persino qualche gallina. Comunque ci sono cose in comune alle due città : sindaci,politici e salumieri hanno sembianze suine, cioè sono maiali o cinghiali, mentre i magistrati sono gufi, avvoltoi e corvi.

    1. Grazie dell’osservazione; sul giudice gufo, ho scritto qualcosa sul libro GIUSTIZIA A STRISCE e sull’omonimo blog

  2. Non è stato analizzato l’ aspetto religioso del mondo disneyano : indubbiamente il mondo disneyano è tipicamente laico, ma i suoi personaggi invocano e bestemmiano le divinità pagane greco-romane, nell’ unica storia in cui compare una chiesa a Paperopoli – una storia in cui Paperino e Paperina si sposano – il sacerdote è una figura lontana e sfocata, la chiesa dovrebbe essere una cattedrale gotica ma è priva di qualsiasi croce o immagine religiosa, sia all’ interno che all’ esterno.

  3. Interessante la riflessione su Topolinia. Talvolta si parla di una minore popolarità di Topolino rispetto a Paperino, e forse il motivo è anche nella maggiore articolazione dei mondo paperesco, personaggi e luoghi, la famiglia di zii e nipoti, Archimede, Filo Sganga, Brigitta, eccetra, il deposito e la sua collina, la casa di Paperino con la capanna sull’albero, il laboratorio di Archimede, la casetta di Amelia sul Vesuvio … quante storie fanno tappa nell’officina di Orazio rispetto a quelle che fanno tappa nel laboratorio di Archimede? E qui l’opera di Carl Barks si sente.
    E si, qualche topo in più ci vorrebbe; ricordo una (buona) storia italiana nella quale Topolino aveva una “Zia Topolinda” che tanto simile a lui non era.
    È anche vero che quando in una ristampa recente dei paperi Paperino ha salutato un papero simile a lui la cosa è stata evidenziata dalle note, parlando di un quasi-clone …

  4. La “soluzione” dichiarata sia da Barks che da Don Rosa è che semplicemente, Paperino e tutti gli altri sono normalissimi esseri umani, solo “disegnati” come paperi per convenzione. Nelle loro storie in genere (non sono sicuro siano sempre stati al 100% rigorosi su questo, ma stando alle loro dichiarazioni sì) i paperi non fanno mai riferimento a piedi palmati o a piume, e se parlano di “becco” ne parlano come se fosse una bocca.
    È una soluzione elegante, ma quasi tutti gli altri autori disneyani non si sono mai posti il problema e hanno fatto un sacco di storie in cui i paperi covano uova o usano le loro piume….

  5. Sulla discendenza degli ibridi animali non ci si tormenti: gli ibridi dei grandi felini ( ligre, leopone, tigone) sono interfecondi.

  6. Ma sul fatto che Paperino allevi galline , mangi uova, e se non ricordo male mangi il tradizionale tacchino, non vi incuriosisce?
    Le uova sono di volatili non antropomorfizzati? Ne siamo sicuri?

  7. Grazie per tutte queste interessantissime considerazioni. Ho avuto il piacere di riflettere, sorridendoci, su aspetti sui quali non mi ero mai soffermata.
    E poi mi piace associare Amelia a Sophia Loren 😘
    Ciao Francesco 🤗

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *