Alberico Motta

Se ne è andato il 23 maggio 2019, all’età di 81 anni, Alberico Motta.
Ai giovani lettori forse questo nome non dirà molto, ma ai vecchi lettori come chi scrive dice molto, moltissimo…

Sceneggiatore, disegnatore, illustratore, redattore, direttore artistico, ideatore di testate, coordinatore di intere linee editoriali, Alberico Motta ha collaborato con molti editori, lasciando la propria firma su decine di personaggi, propri e altrui.

“Ho iniziato a disegnare le prime storie sui banchi della scuola media, di nascosto dagli austeri professori di allora, che ti davano le bacchettate sulle mani quando ti scoprivano a fare qualcosa di diverso dal calcolo di quante parti di torta ti rimanevano se ne mangiavi tre quarti (magari!). Erano gli anni cinquanta e si era fortunati quando si riusciva a rimediare un block notes a quadretti, mentre per l’album da disegno e i pastelli si doveva aspettare Natale!”.

Così ricorda la sua infanzia Alberico Motta, una delle matite, e penne, più prolifiche del panorama italiano, che di quella originaria passione per le nuvolette ha fatto una professione.

Nato a Monza il 6 ottobre 1937, Motta abbozza le prime storie a fumetti in giovanissima età, influenzato dalle storie lette sul settimanale Il Vittorioso. Dimostrando una notevole determinazione, oltre a un pizzico di sfacciataggine, ancora adolescente decide di proporsi a un editore.

“Mi rivedo ragazzino di 14 anni, con il blocchetto e una matita nella tasca dei calzoni corti un po’ sgualciti, ma con tanto coraggio da uscire dalla vecchia cascina della campagna monzese per avventurarmi con il tram nella grande Milano… e nessuna paura di presentarmi a un editore vero, uno che aveva il suo nome stampato sul giornaletto di Cucciolo e Tiramolla. Beppe Caregaro, un vero signore! Mi fece entrare nel suo ufficio e sedere accanto a lui, sulla poltrona di pelle nera. Si fece un sacco di risate con le mie storielle strampalate. Che successo!”.

Quel ragazzino intraprendente è ancora immaturo, ma i consigli di Caregaro gli sono utili per migliorare i propri disegni, che continua a realizzare anche mentre frequenta l’Istituto Tecnico da Perito Industriale. Qualche anno dopo decide che è arrivato il momento di riprovarci e questa volta bussa alla porta dell’editoriale Dardo, il cui titolare, Gino Casarotti, lo invita a sostituire il ragazzo di redazione partito per il servizio di leva. È il 1954, Motta comincia ad affrontare il lavoro di redazione (di pomeriggio, dopo la scuola), tagliando e impaginando storie a fumetti altrui, ma anche sviluppando la propria manualità completando vignette e scrivendo titoli.

Inoltre, entra in contatto con alcuni professionisti del tempo, come Antonio Canale, la EsseGesse, Antonio Terenghi, Sandro Angiolini. Proprio quest’ultimo è il suo primo maestro, e gli insegna i fondamentali del disegno, quella tecnica necessaria per mettere sui giusti binari la sua creatività. È proprio in sostituzione di Angiolini che realizza le sue prime storie da professionista, brevi fumetti di Chicchirichì, buffo galletto protagonista di una testata, a cui seguono quelli di altri personaggi, come Romoletto, Stanlio e Ollio, Pachito e Lala eccetera. Si cimenta inoltre nella stesura delle prime sceneggiature e nella realizzazione di copertine, in stile realistico a tempera, per Capitan Miki e Blek.


Poiché in Dardo le testate umoristiche cominciano a scarseggiare, nel 1957 comincia a collaborare con l’Alpe, disegnando storie del simpatico Cucciolo e dell’elastico Tiramolla.


Dopo il servizio militare, il rapporto di amicizia con Pier Luigi Sangalli, con cui da ragazzino aveva disegnato il giornalino dell’Oratorio, favorisce l’approccio alla casa editrice di Renato Bianconi. Sono i primi anni sessanta. Dopo aver scritto e disegnato storie di suoi personaggi – Ursus, Napoleone Sprint, Alì Salam, I due carcerati, Nerone e altri – Motta comincia a realizzare testi per altri autori dello staff.


All’interno della struttura Bianconi diviene una sorta di direttore artistico, anche se ufficialmente non investito di tale responsabilità. Un ruolo, questo, inizialmente spettante a Michele Gazzarri, ma poi passato nelle mani di Motta, che all’interno di una divisione programmata dei compiti scrive quasi tutte le sceneggiature dell’editore, firmando circa 8.000 pagine l’anno per Soldino, Felix, Pinocchio, Chico, Braccio di Ferro, Provolino e molti altri. Anche Geppo viene a lungo sceneggiato da lui, dopo che Sangalli ha varato la testata del diavolo buono e ne ha tenute le redini per quasi due anni. Uno dei disegnatori con i quali ha lavorato di più è stato Sandro Dossi.
Inoltre, Motta introduce il metodo dello storyboard, fornendo un maggiore supporto visivo agli artisti.


In mezzo a tale sterminata produzione trova anche il tempo per alcuni progetti personali, come una testata tutta sua, Pierino (in seguito divenuto Niko), storie di Felix, Chico, Tom & Jerry e infine, nel 1980, la serie Big Robot, sorta di risposta italiana all’invasione dei robottoni giapponesi, nella quale con un disegno pulito e plastico reinterpreta i topoi grafici del genere, personalizzandoli in modo piacevolissimo. A quel tempo per gli artisti italiani il futuro sembra nero, incapaci di far fronte all’invasione dei personaggi giapponesi che incantano telespettatori e lettori. Ma Motta non si arrende e impugna la matita per disegnare la propria serie robotica, Big Robot, che strizza l’occhio a quelle giapponesi ma è tutta made in Italy. Non solo, in un fumetto progettato per un pubblico di giovanissimi ha il coraggio di inserire temi difficili e delicati come la guerra nucleare, il suicidio, il diverso.


Alla ricerca di nuove opportunità e di nuovi stimoli, nel 1980 Alberico Motta approda allo Staff di If dedicandosi alla realizzazione di storie Disney per il settimanale Topolino, inclusa la prima colorata con tecniche digitali, e ad attività collaterali quali illustrazioni per manuali Disney, copertine di videocassette di cartoni animati e immagini pubblicitarie.

Con il subentrare della crisi editoriale, negli anni novanta si concentra sul mondo della pubblicità in qualità di art director di un’agenzia, mentre nel decennio successivo si occupa di comunicazione per importanti aziende. Ma la sua passione per il fumetto resta, manifestandosi nella cura di alcune mostre e nella ristampa di sue opere del passato, come la splendida serie di Big Robot parzialmente rieditata da Kappa Edizioni dopo essere stata restaurata e reimpaginata dalla stesso Motta.

Infine, un ricordo personale. Circa sei anni fa ho organizzato un incontro tra Alberico Motta e i lettori per una fumetteria. Motta vi ha partecipato con entusiasmo. Se il suo fisico mi è apparso un po’ provato dall’età, la sua mente e la sua passione per il fumetto rimanevano vivacissime. Cortesissimo, dialogò con tutti e firmò copie di Big Robot con grandi sorrisi.
Grazie di tutto, Alberico.

Marcello Toninelli ricorda Alberico Motta

Alberico Motta non era un cesellatore di vignette. Non gli interessava produrre tavole ricche di particolari e “artisticamente” strabilianti. Al contrario, inseguiva la massima efficacia col minimo sforzo.


Da ragazzo, uno dei fumetti che più mi attraevano e incuriosivano era Napoleone Sprint, che appariva su una testata di Bianconi. Il protagonista era una versione moderna di Napoleone alle prese coi problemi del traffico moderno. Quello che mi affascinava in quei brevi episodi era il contrasto tra i personaggi realizzati nella maniera più umoristicamente sintetica che si possa immaginare, e le automobili (Napoleone guidava una Fiat Cinquecento) realizzate invece con proporzioni e dettagli assolutamente realistici. All’epoca non sapevo il nome dell’autore di quelle strane storielle, e solo molti anni dopo scoprii che fra i tremila tipi esistenti di “trasferibili” professionali (i caratteri usati per fare i titoli, prima che il computer spazzasse via l’intero comparto industriale, così come i “puntini” che permettevano di realizzare i toni di grigio su fumetti come Diabolik, per non citare che uno dei più noti) c’erano anche dei fogli che riproducevano vari tipi di automobili. Ed ecco quel geniaccio di Alberico che, evidentemente ispirato dalla possibilità di riempire pagine e pagine di fumetti lavorando la metà ma ottenendo un prodotto di grande perfezione, si inventa il personaggio che gli permette di sfruttare al meglio questo trucco. Regalando a noi lettori un protagonista fantozziano che, alla guida della sua utilitaria, si trasforma psicologicamente in un “imperatore” della strada, prepotente e collerico. E insieme un non banale spaccato sociologico dell’Italia dell’epoca.

Una versione tarda di Napoleone Sprint, con il personaggio più “realistico” e l’auto – non più una Cinquecento – disegnata normalmente

Ma Alberico non era soltanto un autore di fumetti per ragazzi, più o meno belli, più o meno conosciuti. Era piuttosto uno di quei rari autori “pensanti” sempre alla ricerca di nuove sfide, di idee che uscivano dal tranquillo corso dei fiumi dell’editoria mainstream e creavano rivi capaci di scavarsi percorsi diversi, magari tortuosi, forse destinati a fare poca strada, ma comunque ridisegnando la geografia del settore. In questo senso, il suo lavoro più personale è sicuramente la rivista SuperGames (poi diventata Supergiochi) per la Mondadori. Un prodotto editoriale totalmente ideato e realizzato da Motta che ci ha riversato tutto il suo gusto per il colore, l’inventiva per i giochi… e qualche scorciatoia (come le foto “solarizzate” per farle sembrare disegni) per fare in fretta, tanto per non perdere le buone abitudini.

All’epoca avevo avuto il pacere di conoscerlo, collaborando allo stesso studio milanese per il quale realizzava anche illustrazioni di albi da colorare per l’infanzia. Dove, abituato a lavorare con l’abituale fretta, senza documentazione e riflettendo poco su quello che disegnava, buttò giù una diligenza con la “carrozzeria” di un’automobile, intagli per le ruote compresi. Quando glielo feci notare se ne stupì. E naturalmente non si preoccupò minimamente di rifare il disegno. Come credo non abbia mai corretto il Topolino camminante che aveva disegnato con braccio e gamba avanti dallo stesso lato del corpo. Quando gli feci notare (sì, lo so, sono sempre stato un “maestrino” rompicoglioni) che quando si cammina se si porta avanti la gamba destra si porta avanti il braccio sinistro e viceversa, si stupì ancora di più: non ci aveva mai fatto caso.

Insieme abbiamo passato molte giornate allegre, e ancora più allegramente abbiamo condiviso più volte la tavola nell’intervallo del pranzo insieme agli altri collaboratori dello studio. Alberico era il classico “compagnone”, capace di stare festosamente in compagnia anche con i colleghi più giovani. Se io mi sono permesso di “correggergli” un paio di errori, da lui ho avuto molto di più: vederlo lavorare in redazione era una continua fonte d’apprendimento. Conosceva tutti i passaggi tecnici della preparazione di un giornale, e li svolgeva con pari rapidità ed efficacia. Mi sono tornati tutti utilissimi quando, qualche anno più tardi, mi sono improvvisato editore.

Dopo che ho interrotto la collaborazione con lo studio, ci siamo persi di vista. L’ho risentito qualche anno fa, “ritrovato” su uno dei tanti social che collegano le persone in tutto il mondo (credo si trattasse di Linkedin). Ho così scoperto che da qualche tempo si occupava soprattutto di pubblicità con un’agenzia che aveva aperto col figlio, poi siamo tornati alle nostre occupazioni quotidiane e non ci siamo più sentiti.
Oggi ho saputo che, all’età di 81 anni, se n’è andato per sempre.

 

 

 

Un pensiero su “ALBERICO MOTTA, MAESTRO DEL FUMETTO UMORISTICO”

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